Miguel Oliveira è stato molto sfortunato. Nelle ultime tre stagioni ha saltato tredici gare per infortuni causati da problemi tecnici o da manovre scellerate di alcuni suoi colleghi. Quest’anno l’ennesimo periodo di stop forzato (lussazione del legamento sterno-clavicolare dovuta ad un contatto con Fermín Aldeguer in Argentina) gli è costato il posto in MotoGP. Tutto figlio di una concatenazione rapida e letale di eventi: col raggiungimento di alcuni obiettivi di classifica, dopo metà stagione, Miguel avrebbe potuto avvalersi della clausola di prestazione posta nel suo contratto con Yamaha per restare in Pramac anche nel 2026, ma quegli obiettivi - con una spalla fuori uso - sono diventati impossibili da centrare. Così Iwata ha sfruttato la situazione per annunciare anzitempo (in primavera) l’approdo di Toprak Razgatlioglu nel Team di Paolo Campinoti, dove si è innescato un ballottaggio per la sella rimanente tra Oliveira e Jack Miller, già in fiducia con la M1. A settembre la decisione definitiva di Yamaha, che ha riconfermato l’australiano e lasciato al portoghese due sole opzioni: passare in SBK da protagonista o restare in top class come collaudatore.
Quando ci accomodiamo del dehors dell’hospitality Pramac di Misano, Miguel Oliveira è la serenità fatta a persona. Non ha alcuna voglia di affrontare quest’intervista, ma sorride placido mentre rovistiamo nel suo passato recente ed inzighiamo su un futuro che ha già nitido in testa. In tanti si chiedono come sia possibile che la carriera di pilota che in MotoGP ha vinto 5 gare (solo 35 esseri umani nella storia della massima cilindrata hanno trionfato di più) rischi di concludersi ad appena trent’anni. Eppure Miguel non condanna questo mondo che di certo va troppo veloce, non biasima le scelte affrettate altrui, non perde troppo tempo a rimuginare su ciò che non ha funzionato, non si intristisce quando il suo nome viene accostato al fatidico “potenziale inespresso”. Sembra sapere qualcosa che molti ignorano: sarà pure in debito con le corse, col percorso professionale, ma non è finita qui, mica esiste solo quello. Parla cinque lingue, ha due bellissimi bambini e sfoggia una vena malinconica negli occhi che consolida una spiccata sensibilità, una certa intelligenza. Per schivare la saudade, usa l’ironia. Evviva.
Ciao Miguel, stato d’animo?
“Buono, sono carico, carico perché sono su una buona strada con la moto, inizio ad avere un buon feeling. Barcellona è stata una gara positiva, quindi dai, c’è motivazione”.
Replicherà il nono posto del Montmeló anche a Misano.
Correre senza lo stomaco che si stringe per una decisione pendente aiuta?
Annuisce, poi diventa impassibile: “Si può spiegare a livello tecnico in realtà. Barcellona è un circuito dove c’è poco grip. Quando c’è poco grip, di solito noi facciamo fatica, ma lì ci siamo avvicinati agli altri, abbiamo potuto usare bene la gomma anteriore. E poi da Balaton abbiamo deciso bene la direzione da prendere col setting. Con questa configurazione, riesco ad avvicinarmi al limite più velocemente”.
Adesso che le cose cominciano a girare, quanto ti dispiace lasciare? Quanta voglia hai di dimostrare da qui alla fine del campionato che si sono sbagliati?
“Guarda, non ho voglia di dimostrare nulla. Non sto qui a lanciare messaggi del tipo ‘avete sbagliato’. Mi dispiace umanamente, ho trovato persone fantastiche nel team e tecnici capaci in Yamaha. Mi dispiace non portare avanti almeno un altro anno questo progetto, soprattutto con il cambio regolamentare in arrivo”.

Sei ben voluto in Pramac.
“Sì, si è creata velocemente una bella atmosfera, anche perché ho saltato quattro gare e sono tornato quando tutto era già in marcia. Ho dovuto conoscere e farmi conoscere. Devo dire che mi sono trovato molto bene”.
Due infortuni per colpa decisamente non tua, proprio all’inizio delle tue ultime due avventure (Aprilia RNF e Yamaha Pramac). Secondo te si è parlato un po’ troppo poco della tua storia, di queste sfortune?
“Credo che non fosse nell’ordine del giorno parlare della mia sfortuna. È andata così. Ora che le opzioni in MotoGP stanno finendo, non posso fare altro che dare importanza a questi due infortuni, che mi hanno condizionato parecchio”.
Un anno fa mi dicevi che Dorna - adesso Liberty Media - potrebbe fare qualcosa in più per promuovere le storie dei piloti.
Miguel sghignazza ironico: “Certo, mi ricordo. Non è stato fatto. Della mia storia credo si possa raccontare molto di più. Io non sono un esperto di marketing, ma credo sia importante per Dorna dimostrare che dietro ai piloti ci sono persone. La MotoGP è uno sport che va venduto anche emotivamente”.
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Jorge Martín voleva lasciare Aprilia sfruttando una clausola. Yamaha ha fatto lo stesso con te. Possiamo dire che i contratti MotoGP non valgono più niente?
“No, credo che valgano ancora molto. Martín non è andato via e Yamaha ha sfruttato una clausola scritta e accettata da entrambe le parti”.
Però tu non hai potuto disputare diverse gare…
“Vero, non ho corso molte gare, ma lo sport è così. Va accettato”.
Yamaha M1: cosa ti ha stupito? Cosa ti ha deluso?
“Non mi ha deluso niente, nel senso che sapevo sarebbe stato difficile ottenere risultati subito. Mi ha stupito positivamente la capacità della moto di usare bene la gomma anteriore. È il suo grande punto di forza”.
Hai lavorato nei team privati di KTM, Aprilia, e Yamaha. Hai trovato mentalità diverse nella gestione della squadra clienti da parte della Casa di riferimento?
“Sì, sono state esperienze diverse. In KTM era tutto nuovo. In Aprilia c’era una separazione marcata, poi avevamo le moto dell’anno precedente, quindi non aveva così tanto senso avere tanti ingegneri factory nel box. In Pramac invece non mi sono accorto di essere in un team satellite”.
Hai detto che la Ducati perdona di più l’errore del pilota rispetto ad altre moto. Intendi che ti permette di sbagliare in frenata perché poi sai di poter recuperare in accelerazione?
“È una moto che funziona bene in tutte le fasi della curva. Se sbagli in ingresso, puoi rifarti in uscita. Ti permette anche di utilizzare stili di guida diversi, perché si ferma bene, gira bene e accelera bene. Con la nostra, ogni errore pesa di più. Sbagliare una linea con quella moto è meno penalizzante rispetto alla M1”.
Con la M1 il tempo lo devi fare tutto in staccata?
“Molto in frenata, e anche un po’ in percorrenza. Devi sfruttare bene l’ingresso e la frenata per fare il tempo”.
A proposito di staccatori, tu sei forte. O sbaglio?
“No, non così forte (sorride, ndr). Fabio è più bravo. Con Jack siamo pari, dipende dalle curve. Jack è più forte sulle frenate lunghe a moto dritta”.
In che fase sei più bravo tu invece?
“In uscita e in percorrenza”.

BMW, Superbike…c’è una sella libera lì. È una moto che nella peggiore delle ipotesi sarà vice campione del mondo. Come la vedi?
“Non lo so, la vedo come un’opportunità. Da fuori sembra ci sia margine per migliorare. Resta sempre il dubbio su quanto dipenda dal pilota, da Toprak, e quanto dalla moto. È difficile dire ‘vado lì e vinco perché la moto è performante’, senza correre nessun rischio”.
E un ruolo da tester in MotoGP?
“È interessante perché resti all’interno del paddock, puoi fare wildcard, sei sempre in contatto con la tecnologia, con gli sviluppi. Ma non è stimolante come correre, come fare le gare”.
L’anno scorso mi raccontavi del tuo trasferimento a Verona. Come va? C’è un luogo particolare a cui ti sei affezionato?
“Bene, tutto a posto. La mia casa è ciò che mi piace di più. Difficile scegliere un posto solo perché Verona è troppo bella…mi piace molto andare in Lessinia, girarla in bici o a piedi. Sono posti bellissimi e non molto turistici. È il compromesso giusto. Sì, è tranquilla”.
Non molto lontano c’è Noale, la sede di Aprilia. Non vorresti andare lì?
Miguel, con innocenza, domanda: “A vivere?”
No, a lavorare.
Ride nervosamente, poi di colpo torna serio: “No, no, no. Guarda, mi sono lasciato molto bene con Aprilia. Ho un bel rapporto con Massimo, con tutto il team. Sono persone che tengo vicine. Sarebbe bello tornare insieme, perché no? Ma ci sono una serie di cose da valutare”.
Quindi hai qualcosa da dirmi per l’anno prossimo?
“Io so cosa vorresti che ti dicessi (ridacchiamo ancora, ndr), ma non te lo posso dire. Sono valutazioni private. Quando ci sarà davvero qualcosa, lo saprete tutti”.

Allora torniamo un attimo indietro. Rifaresti qualche scelta degli ultimi anni in modo diverso?
Miguel abbassa la testa e in maniera quasi impercettibile emette un “Hmmmm”.
Poi replica deciso: “No. Le cose sono andate come dovevano andare. Non farei nulla di diverso”.
Jack Miller ti ha sostituito nel 2023 in KTM e ora è stato scelto al posto tuo in Pramac per il futuro. Che rapporto hai con lui?
“Buono, è un rapporto di amicizia e rispetto, come dovrebbe essere con un compagno di squadra. È un ragazzo molto aperto, trasparente, parliamo spesso nel weekend. Ho stima di lui, è una bravissima persona. Ci conosciamo da un sacco di anni e adesso i nostri bambini giocano insieme”.
Ah sì?
“Sì, qui in hospitality”.
Cosa fanno?
“Niente di che… saltano tra i divani”.
Sono tranquilli insomma.
Alza gli occhi in maniera scherzosa: “Più o meno”
Recentemente hai dichiarato che, se finisse qui la tua avventura in MotoGP, ti sentiresti incompleto.
“Sì, mi rimane questo sentimento. Credo di essere più bravo di quello che ho potuto dimostrare”.
Vincere un titolo in Superbike ti completerebbe?
Sorride, come se l’idea lo galvanizzasse: “Un titolo è sempre un titolo. Sarebbe una bella sfida. Dovrei guardare, ma non credo ci siano tanti piloti che hanno vinto gare in Moto3, Moto2, MotoGP e anche in Superbike. Mi farebbe piacere, sì”.
C’è qualcosa che ti ha dato fastidio nel modo in cui ti hanno gestito quest’anno? Se ti avessero comunicato prima la decisione, avresti trovato una sella per il 2026?
"Questo sì, mi ha dato fastidio. Ci hanno comunicato prima dell'estate che la scelta tra me e Miller avrebbe richiesto più tempo del previsto. Forse avrei avuto bisogno di ricevere un responso in quel momento. Anche Jack l’avrebbe preferito, almeno credo”.

Hai vinto 5 gare - due in fuga sull’asciutto, due sul bagnato, un con un doppio sorpasso all’ultima curva. Se dovessi scrivere un’autobiografia sulla tua esperienza in MotoGP, quale immagine sceglieresti per la copertina?
Mentre la mente di Oliveira va silenziosamente a ritroso nel tempo, scorrono cinque secondi: “Difficile, mi passano per la testa tanti momenti. C’è una foto che mi piace molto. Sono nel parco chiuso, dopo aver vinto a Portimao. Ho la testa bassa, sono emozionato. Si vede solo il braccio di mia madre che mi tiene (Miguel per un istante mi afferra il braccio, ndr). È una foto bellissima perché mi trasmette tanto, soprattutto un senso incondizionato di passione e affetto. Per la prima volta la MotoGP tornava Portogallo, c’erano tante aspettative. È un ricordo forte”.
La cosa che più ti ha fatto godere della MotoGP?
“La vita che facciamo: viaggiare, stare sempre in giro per il mondo. A volte non lo apprezziamo abbastanza, perché certi voli e certe destinazioni non sono il massimo, ma vedere altri posti bellissimi è la vera magia del Mondiale”.
Il posto preferito? Quello che, quando sei lì, ti fa pensare: “Che privilegio!”.
“Il Portogallo”.
Ridiamo.
“Dai, diciamo che essendo ormai mezzo veronese, quando torno in Portogallo cerco di godermela”.
Ti consideri addirittura mezzo veronese?
“Di adozione, sì (sorride)”.
Hai imparato qualche parola di veneto?
“No…solo bestemmiare”.
Scoppiamo a ridere, l’addetta stampa del Team Pramac cerca giustamente di contenere la situazione, senza successo.
Miguel alla fine ritratta: “Non si dicono, scherzavo”.
Tra dieci anni, come ti vedi? Pilota, manager, opinionista?
“Non lo so, ma mi vedo con tanto potenziale per fare un sacco di cose. Il cielo è il limite. Potrei avere un ruolo importante in un team, in una federazione, in un’azienda. Non escludo niente. Mi sento capace di tutto. Anche di fare il pilota di macchine. Sì, posso passare dal correre nel WEC a fare il dentista nella clinica di mia madre a Lisbona. Posso godermela (ride)”.
