Ma voi siete pazzi a volervi vedere le quattro puntate del Volume 1 di seguito. Guardateve una a settimana e gli altri sei giorni rivedetevi i film degli anni Ottanta che l'hanno ispirata
Dovete leggervelo tutto, questo articolo, se volete sapere cosa ne penso di Stranger Things 5. Non ci sono spoiler e alla fine della lettura mi ringrazierete, fidatevi. Niente potrà uscire dalla mia bocca, a proposito di questa serie, che non sia assolutamente al servizio del suo mondo narrativo, che è il mio, il nostro, il loro. Che “è”. Punto.
E quindi secondo voi io dovrei vedermi le quattro puntate di Stranger Things 5 Volume 1 tutte insieme solo per scrivere una recensione totale, globale, e dirvi che cosa? Che se ne sono un fan sfegatato un motivo ci sarà? No, perché il motivo c’è eccome, e c’è talmente che manco me lo sogno di bruciarmi le quattro puntate per voi e poi stare un mese a bocca asciutta, io, proprio io che amo il binge watching e detesto quelle serie sulle piattaforme streaming che vengono rilasciate una puntata alla volta, perché allora meglio com’era una volta, con la televisione, il giorno di uscita e anche l’orario. E invece Stranger Things 5 mi piace anche per questo, perché vuole farci assaporare quest’ultima stagione accompagnandoci per tutte le feste fino al primo gennaio.
E d’altronde cosa abbiamo sempre visto noi che negli anni ’80 avevamo all’incirca la stessa età dei protagonisti, indossavamo gli stessi abiti e gironzolavamo in bici per le vie dei nostri paesi fingendo che fosse provincia americana? Horror e fantascienza. E così, di questa stagione 5, vedrò una puntata alla volta e intermezzerò la visione della serie con la visione dei film di quegli anni, quando le case odoravano di cera delle candele e zucchero a velo e passavamo dal freddo delle strade al caldo dell’albero di Natale e non volevamo dormire e potevamo anche non farlo perché c’erano le vacanze, e così le televisioni commerciali – spesso – ci riempivano le nottate accanto alle tavole ancora imbandite (sempre imbandite, non si disimbandivano mai, durante le feste) con i film di fantascienza e horror e, al limite, se proprio quella notte si andava di commedie romantiche (filone Una poltrona per due), c’erano le VHS, con i film registrati direttamente dai canali televisivi, pubblicità comprese (avanti veloce), che ci scambiavamo anche se quei classici li avevamo visti già tutti più e più volte; e se volevi una novità dovevi andartene al cinema, perché le novità uscivano al cinema, ma c’era anche la seconda visione (la terza visione – un film western, un poliziottesco e uno di arti marziali – l’avevano tolta da qualche anno).
E comunque Stranger Things è anche un poliziottesco alla Distretto 13 di John Carpenter che, con La Cosa, è una delle pietre miliari di Stranger Things.
Ma comunque.
Non volete rivedere il volto del vero Amore?
1) Terminator (1984).
E lo so che vi sembrerà strano, perché ancora Terminator non era stato citato tra le influenze di ST, e invece… non lo so quanto abbiano avuto questa sensazione, ma io l’ho avuta netta, al primo apparire di Undi in questa stagione 5, nella prima puntata appunto, che avesse un qualcosa, un non so cosa, una sorta di essere diventata adulta ma con le cicatrici nell’anima e nel corpo di chi è costretta, in qualche maniera, a diventare una guerriera.
E se abbiamo visto Millie Bobby Brown, in questi anni, diventare una signora adulta, lontanissima dal personaggio di Undi, ecco che invece, in questa prima apparizione dopo tanto tempo, quello che risaltano sono i muscoli: i muscoli di chi è costretta ad allenarsi fisicamente perché il nemico può apparire da un momento all’altro e bisogna farsi trovare pronti.
Che sono gli stessi muscoli, ma proprio gli stessi, della nostra amata, indimenticabile, meravigliosa Sarah Connor, la mamma di John Connor, destinato a diventare il capo della resistenza umana contro le macchine di Skynet.
Ed ero ancora lì, beato, che mi dicevo “ma tu guarda i Duffer Brothers” che sullo schermo appaiono i suoi occhi, i suoi inconfondibili occhi – con tutte le rughe del passare del tempo che volete, ma lo sguardo è quello, è assolutamente quello – e i Bros ce la fanno vedere in mascherina, perché lo sanno che per noi, che negli ’80 eravamo adolescenti, Sarah Connor era muscoli, canottiera e occhi. E quindi gli occhi che appaiono, che sono quelli: gli occhi di Sarah Connor, gli occhi di Linda Hamilton.
E io, giuro, ho urlato: “Caz*o sì!”.
2) E.T. (1982).
Perché c’è un’immagine, un frame di qualche secondo appena, un suggerimento subliminale, in cui ST5 ti dice, testualmente e fotograficamente, che E.T. è lì, nell’empireo di tutte le nostre mitologie. Non solo per le bici, per le torce, ma anche per il dibattito sull’alieno, sul diverso, che può essere buono o cattivo, dibattito al quale Steven Spielberg non solo non si è mai sottratto, ma lo ha alimentato girando E.T. e Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo, ma poi anche La Guerra dei Mondi. E se nella prima stagione Undi era assolutamente l’E.T. da salvare, nonostante gli umani la temessero, adesso, nella quinta stagione, l’alieno è Vecna e il mondo alieno è ovviamente il Sottosopra. E in quell’immagine, che non vi svelo, vediamo qualcuno contro luce davanti alla luna ma immerso in un’atmosfera che è l’esatto contrario di E.T., perché ST5 è anche questo: è il Sottosopra di E.T.
3) La Cosa (1983).
Perché la stazione radio immersa nel nulla, la stazione radio rurale, che abbiamo visto in centinaia di film attraverso cui le voci si lanciavano nello spazio come segnali segreti, è la stazione di ricerca immersa nei ghiacci in Antartide e Kurt Russell ha il volto e il barbone di Jim Hopper che, nella stagione 5, è proprio lui R.J. MacReady, ossia il volto assoluto di noi nerd degli anni Ottanta, chiuso in una camera, con un personal computer davanti (lui ci giocava a scacchi, come noi del resto) e fuori il ghiaccio, l’avventura e il mistero. E ancora ci vestiamo come lui, adesso che finalmente la barba ci è cresciuta.
4) La città verrà distrutta all’alba (1973).
Non solo perché questo film di George Romero, ancora negli anni Settanta, ha dettato la linea estetica di tutta la filmografia di fantascienza e horror degli anni Ottanta, con i pick-up, le camicie di flanella a scacchi, la ruralità di una cittadina che da sogno di boom economico anni Sessanta diventa incubo avventuroso, ma anche e soprattutto perché Hawkins in quarantena “è” Evans City, Pennsylvania, e i militari che la presiedono sono i militari del film di Romero. La stagione 5 di Stranger Things è ambientata dentro La città verrà distrutta all’alba. E voi non volete rivederlo?
5) Nightmare (1984).
Non solo perché Wes Craven non può mancare in una settimana dove vedete film di Carpenter e di Romero, ma perché Freddy Krueger e Robert Englund sono il mostro che ti entra in testa, il mostro dal quale non puoi scappare neanche chiudendo gli occhi, e che anzi proprio in quel momento appare. Molte delle battaglie di Undi (e buona parte della quarta stagione) si combattono nel mondo di Nightmare.
6) Alien (1979).
Perché il laboratorio della dottoressa Key, cioè di Linda Hamilton, ha l’estetica dei laboratori sulla USCSS Nostromo e abita lo stesso mondo alieno e ha a che fare con lo stesso tipo di alieni che aprono le bocche come – lo dico o non lo dico? – come clitoridi pazzi, il cui unico scopo è la continuazione della specie, la propria. Perché nel design di entrambi i mostri, Demogorgoni e Xenomorfo, sta “Il Mondo come Volontà e Rappresentazione” di Arthur Schopenhauer, e se ancora non lo avete capito, voi non siete nerd, non lo siete veramente, profondamente, scientemente. E poi, perché guardando Alien avrete sotto gli occhi (Alien) e nella mente (Sottosopra) le due eroine della canottiera, le due superdonne degli ’80, l’archetipo della madre, della fidanzata, della moglie dell’amica, quella che mentre i mostri ti assalgono (perché i mostri ci assalgono) ti dice: “Scansati un attimo che ci penso io.” Che poi è l’archetipo dell’Amore, con la A maiuscola, e che per noi ha avuto il volto di Linda Hamilton e di Sigourney Weaver.
Chi è ancora all'altezza della "Missione"?
E veniamo a cosa ne penso di questa prima puntata di Stranger Things 5 Volume 1. Cupa, ma di quella cupezza che ti fa capire che i Duffer Brothers, con questa ultima stagione, hanno voluto alzare l’asticella alla grande riflessione sull’adolescenza, e c’è un dialogo, che ovviamente non vi svelerò, che lo esplicita. È cupo e battagliero e Dustin è in pieno lutto per Eddie ed è rabbioso e Undici è Sarah Connor in Terminator, e Hopper è Russell Crowe ne La Cosa e sappiamo che è l’ora di rimboccarci le maniche perché non siamo più in sala giochi.
Ecco: la sala giochi, altro topos degli anni ’80 con gli arcade game e tutto il resto, fino a questo momento Stranger Things è stata un’immensa sala giochi dell’intrattenimento e della nostalgia. Con l’ultima stagione, con questa prima puntata, arriva Stand by Me, il racconto e il film tratto da un racconto di Stephen King. Non che fino adesso Stranger Things non sia stato anche un immenso romanzo di formazione, ma – ed è questo il punto – lo scontro finale sta arrivando: l’adolescenza deve pur finire. Ed è questa la cupezza in fondo all’esaltazione, ed è qui che la narrazione di ST diventa insieme chiamata alle armi e risposta alla domanda: “Ti sei mai chiesto chi sei?”
Perché i Duffer Brothers lo sanno: un gruppo di persone diventa “amici” nel senso più alto del termine, ossia quando hanno una “missione” comune (e il titolo della puntata proprio quello è: “Missione”) soltanto quando si è adolescenti e soltanto quando si continua a esserlo. Poi accade qualcosa, accade a tutti, si entra nell’età adulta, magari le amicizie sopravvivono, anzi lo fanno spesso, e sono le più solide. Quello che finisce, per sempre, è la “missione”. Ha poca importanza se il “nemico” è stato sconfitto per sempre o meno (nessun nemico viene mai sconfitto per sempre, almeno non nel mondo delle storie o della Storia, se dobbiamo dirla tutta) e già si intravedono i nuovi “adolescenti”, la nuova “squadra”, ma i nostri eroi? Che fine faranno? È la domanda di questa stagione e noi sappiamo già la risposta. Qualcuno forse morirà, qualcuno forse resterà impigliato nella nostalgia di chi per un arco di tempo della propria vita è stato, in qualche maniera, un eroe, ma la maggior parte crescerà e questo significherà, inevitabilmente (inevitabilmente?) dire addio a quella perfezione etica che per un momento sono, siamo, siete stati.
Salvare il mondo o renderlo quasi accettabile
Vi siete mai chiesti perché sono sempre adolescenti i protagonisti di queste immense storie dove si deve “salvare il mondo” o almeno “migliorarlo quel tanto da renderlo quasi accettabile”? (Il mondo, questo mondo, non potrà mai essere accettabile del tutto, è fatto apposta così). Perché solo gli adolescenti possono credere nelle missioni. Gli adulti no, gli adulti sono piegati, spezzati, rintuzzati nel sistema che li ha divorati. Anche gli adulti di “successo”. Soprattutto gli adulti di successo.
Ed è per questo che, mi auguro per me, per voi, per i Duffer Brothers, che alla fine di questa stagione non tutto vada chiuso, non tutto vada perduto. Mi auguro una piccola crepa che si apra da qualche parte, una piccola crepa che renda “visibile” che il Sottosopra è ancora qui, che determina ancora il nostro mondo anche se nessuno lo vede, anche se nessuno si accorge di quella crepa nella struttura narrativa attraverso cui vengono svelati i percorsi oscuri (e sotterranei, ci sono molti sotterranei in questa stagione) dai quali il mondo “normale” viene influenzato. Perché sono sempre gli adolescenti a scovarle, nelle loro scorribande, queste crepe, e anche gli adulti, in Stranger Things, sono stati sempre adulti fino a quando non hanno visto con i loro occhi che il mondo nascosto visto dagli adolescenti (sì, nella prima puntata c’è anche chi vede qualcosa che gli altri non vedono, come quando si aveva un amico invisibile, o un angelo custode, vi ricordate?) era del tutto reale.