No, no, Delia, no. Sicilia Bedda no. Non ti prestare, cazzo, a questa pizza-spaghetti-mandolino con la lamentazione di fondo che stiamo male ma la Sicilia è bedda, questa faccenda consolatoria mentre il tuo comune, Delia, è stato appena sciolto per mafia, sotto la bellezza dell’Etna e di tutto il cucuzzaro della mulinciana fritta con la ricotta salata, perché in Sicilia – te lo sei scordato, nel testo – si mangia bene e il problema, non ti dimenticare, è anche il ciaffico. No, Delia, no: la cartolina dell’anima dell’emigrante no. Perché non ci aggiungevi anche la valigia di cartone? Non si affitta ai meridionali, strappati dagli affetti e dalla propria terra invece sì, lo hai messo, ma non ti sembra un po’ già sentito, già ripetuto, un qualcosa che ci ha già sfracassato le palle.
Sia ben chiaro: li conosco i meccanismi di chi cerca materiale da mainstream per fare girare l’economia, e trova fantastico che tu voglia cantare in siciliano. Ma hai mai sentito le canzoni in siciliano di Carmen Consoli? O di Franco Battiato? Lo so, lo so, Delia: il tuo Sicilia Bedda vuole traslitterare Veni l’Autunno, proprio di Battiato, che “sicilia bedda” ce l’ha anche nel testo e che sembra – attenzione: sembra – una canzone banale, perché tutta la canzone è la preparazione per l’ultimo verso, così come C’era una volta a Hollywood è tutto un film preparatorio per l’esplosione finale. È Battiato che stende i veli e fa piovere le rose, e tocca l’anima solo al servizio di quell’ultimo, ultimissimo verso: “cu sapi si si in gradu di capiri, no sacciu comu mai ti vogghiu beni.”
Così come ’A Finestra, di Carmen. Ascolta, Delia, ascolta: “Tempi di biddizza e di puisia, d'amuri e di saggezza / zoccu ha statu aieri, oggi forsi ca putissi riturnari / si truvamu semi boni di chiantari / 'nta sta terra 'i focu e mari oggi sentu ca mi parra u cori / e dici ca li cosi stannu pì canciari.”
E allora perché, Delia, i luoghi comuni che ci siamo finalmente lasciati dietro? Lo so, lo so, quello è X Factor e mi sembra davvero ingiusto da parte mia dirtelo, queste cose. Ma ne ho discusso con PISTO, il direttore, e mi ha detto: “scrivile queste cose”, e le sto scrivendo. E lo so che non dovrei prendermela con te ma con Jack La Furia, che ti fa fare queste cose. Lo so che è lui che si sottomette al mainstream perché i soldi piacciono a tutti, ci mancherebbe. Ma proprio Jack La Furia dovrebbe saperlo, che operazione stai – e ti stanno – facendo fare. E sta muto. Inchinato al potere delle major e del mercato musicale che vogliono sciuscià sciuscià, abballate abballate, fimmini schetti e maritati. Omertoso, Delia, omertoso. Ti dice niente questo aggettivo?
Ovviamente stiamo parlando di canzonette, ossia di minchiate. Reagisco solo perché, quando usate il siciliano, allora dovete rispettarlo, perché non è un dialetto, è una lingua: una lingua che affonda nei secoli e dentro i cui anfratti si nasconde sapienza misterica, esoterica, dettagli che attraversano le generazioni ammucciandosi in una desinenza, in un accento spostato, nelle profondità dell’etimologia.
Non fare il pennacchio, Delia, non fare il pennacchio in testa a un cavallo che tira un carretto siciliano suonando ’u bummulu e ’u friscalettu. O almeno, non permettere che ti riducano a questo.
Ovviamente, se a te piace, divertiti. Però credo che abbia ragione PISTO: bisogna dirle, queste cose.