Chi ha ammazzato Aurora Livoli? La risposta è “tutti noi”. Sì, tutti noi se continueremo a raccontare la morte di quella ragazza come un fatto di cronaca nera, come un mistero da risolvere, o, più ideologicamente come già fanno in tanti, come un femminicidio. Sì, è una ragazza morta ammazzata probabilmente da un maschio e nessuno vuole togliere valore a certi temi, ci mancherebbe. Ma è, prima di tutto, il racconto di un essere umano che s’era ritrovato senza vita – accecato da qualcosa che sembrava simile alla vita senza esserlo - prima ancora di perderla definitivamente. La vita. I fatti, per carità, sono i fatti. E il fatto è una ragazza di 19 anni, trovata senza vita in un cortile di Milano, il 29 dicembre scorso. Il suo corpo era stato rinvenuto seminudo, con segni di violenza. E nessun documento che permettesse di identificarla. Solo dopo giorni di angoscia e indagini, i genitori, che avevano denunciato la sua scomparsa, l'hanno riconosciuta in uno dei fotogrammi diffusi dai carabinieri. Le immagini di un video di sorveglianza mostravano Aurora camminare con un uomo, che ora è al centro delle indagini per omicidio. Gli ultimi fotogrammi raccontano che sono entrati insieme in un cortile da cui lui, poi, è uscito da solo. Lo troveranno e su questo non ci sono grossi dubbi.
Ma se da un lato l’assassino sembra avere le ore contate, l’assassinio di Aurora solleva questioni ben più profonde e inquietanti, legate al mondo giovanile di oggi. A quella fragilità che troppo spesso non trova ascolto, ma che si trasforma in disperazione. Mancanza di progetti. Negazione di sogni. Pessimo rapporto con la fatica che si deve fare per inseguirli. E vita vissuta così, come viene, quasi fuggendo eternamente. Le indagini sulla morte di Aurora portano alla luce un aspetto della sua vita che è comune a tanti: un disagio che, pur provenendo da una famiglia benestante e affettuosa, ha continuato a crescere nell’ombra. Nata a Roma e adottata a cinque anni da una coppia di Monte San Biagio, Aurora sembrava aver tutto ciò di cui un ragazzino avesse bisogno. Un padre odontoiatra e una madre architetta. Una famiglia stabile, affettuosa e solida, senza traumi evidenti. Eppure, c’era una fragilità che non era visibile, se non a chi aveva a che fare con lei ogni giorno senza tuttavia riuscire a trovare un modo concreto per aiutarla.
Quella fragilità, che si era manifestata più volte con allontanamenti volontari, da novembre 2023 non si è più risolta. Quando Aurora ha deciso di andarsene di casa per l'ultima volta, lo ha fatto con un silenzio che ha lasciato i suoi genitori sgomenti e impotenti. La sua telefonata del 26 novembre, “sto bene, non vi preoccupate, non torno a casa”, ha dato il via a un calvario di giorni in cui la famiglia ha cercato. Senza trovare aiuto. Senza trovare risposte. E, forse, sentendosi pure rispondere “ormai è maggiorenne, non potete nulla”. Solo raccogliere di trafugo qualche informazioni per cercare di capire, di ricostruire la vita di quella figlia e farsi un’idea su cosa stesse accadendo. La ragazza, che aveva frequentato la scuola superiore e si era iscritta alla facoltà di Chimica, sembrava aver scelto Milano come punto di riferimento, ma nessuno sapeva realmente cosa stesse facendo o con chi fosse in contatto.
"Volevo solo la libertà". E’ la frase che, come oggi ha raccontato al Messaggero un padre distrutto, Aurora ha detto ai suoi l’ultima volta che si sono sentiti. Niente di chiaro, se non il desiderio di scappare. Ma quella libertà – che è sacrosanta sempre - si è trasformata in un percorso solitario e pericoloso, culminato in un omicidio. Non era libertà, era altro. Era disagio che, oltre alla tragica morte, ha lasciato in eredità il dovere di una riflessione che nessuno sembra voler davvero affrontare: quanto, oggi, i giovani sono soli? E quanto lo sono i genitori? Certo, la psicologia aiuta a capire come un malessere interiore possa crescere in silenzio, come un disagio che si radica in una parte intima della persona e si nutre della solitudine, della ricerca di un’identità che non trova più spazi di confronto. Ma la risposta deve andare oltre la storia individuale e investire il sistema sociale. Un sistema che non è minimamente in grado di accogliere, ma preferisce trasformarsi in investigatore che si appassiona a casi di cronaca o in giannizzero ideologicizzato che si sta a puntare sul fatto che fosse donna in un mondo di maschi violenti. Aurora Livola era un essere umano solo. E sperso. Come lo sono tantissimi ragazzi.
Dai suoi messaggi sui social emerge una realtà inquietante. “Ho Lucifero dentro di me”- scriveva in uno dei suoi post. Un’espressione che potrebbe sembrare, ai più, una provocazione adolescenziale, ma che rivela una profonda angoscia. Una lotta interiore. Un sentirsi sbagliata come il diavolo. Ma pure in balia del diavolo. La fuga da casa è diventata la sua prigione. E qui entra in gioco un tema più ampio, quello della comunicazione tra generazioni. I genitori di Aurora, pur accorgendosi del suo disagio, non erano in grado di capirlo completamente. Il padre ha raccontato di non essere mai stato in grado di fermarla quando ha deciso di andarsene. La sua voce, segnata contestualmente dal rimorso e dalla rassegnazione,potrebbe essere la voce di tanti padri. Perché solo chi è genitore può effettivamente rendersi conto di quanto sia difficile riuscire a “incontrare” veramente il proprio figlio. Le parole di quel padre, "era come se ci fosse un muro tra noi e lei”, sono il segno di un divario che, purtroppo, è sempre più ampio. Il silenzio, in famiglia, si trasforma in dolore, e questo silenzio non è solo di Aurora, ma anche degli adulti che non sanno cogliere la profondità della sofferenza dei ragazzi. E devono limitarsi a percepirla e soffrirne a loro volta.
Il diavolo, inutile negarlo, è – ovviamente in senso figurato e non certo teologico – in un assassino che ha le ore contate se restiamo sulla storia di Aurora Livoli. Ma è pure nel sistema educativo, nei rapporti sociali, nelle amicizie che dovrebbero essere “protettive” e invece si rivelano essere il riflesso di una disperazione condivisa. Se si perde il dialogo, l’opportunità di confrontarsi con gli adulti, ma anche con se stessi, è la fine di tutto. E siamo già un bel pezzo avanti. L’assassino di Aurora, probabilmente, sarà trovato. Ma questo non cancellerà il fatto che, dietro la morte di questa ragazza, c'è il dovere di una questione sociale ben più grande e il rischio, purtroppo, è che, mentre cerchiamo il colpevole, il vero dramma continui a crescere. Sotto i nostri occhi. Silenzioso. Invisibile. Ma sempre più potente.