Se il 2025 doveva essere l’anno della pace nel mondo, diciamo che è stato più che altro l’anno delle paci fallite. E le paci fallite, si sa, lasciano dietro di sé guerre in potenza. Sotto Natale tutto rallenta nel mondo dell’informazione: i giornalisti, giustamente, scrivono meno, non fanno uscire scoop, si tengono il materiale per dopo la Befana. Anche perché, banalmente, la gente durante le feste non legge i giornali. Nel frattempo, però, gli Stati e i loro apparati di sicurezza premono sull’acceleratore della Storia. La gente comune a Capodanno stappa una bottiglia di spumante, ma nelle varie stanze dei bottoni c’è chi, mentre tutti sono distratti tra cenoni e brindisi di San Silvestro, potrebbe anche ordinare il bombardamento del Venezuela, oppure dell’ennesimo villaggio sbagliato in Nigeria, dove – purtroppo – non si nasconde nessun affiliato di Boko Haram, né alcun grande capo jihadista. Oppure c’è chi potrebbe decidere di muovere guerra all’Iran, come ad esempio Israele, mentre il sistema di alleanze costruito negli ultimi anni scricchiola vistosamente. Il Patto di Abramo, concepito da Donald Trump insieme al genero Jared Kushner, mostra tutte le sue fragilità sul fronte mediorientale, a partire dallo Yemen, lì Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, un tempo allineati, sono ormai su posizioni divergenti nella gestione del conflitto contro gli Houthi, milizia sciita sostenuta e armata dall’Iran.
Un Iran che, guarda caso, si ritrova di nuovo nel mezzo di un caos generalizzato: sommosse popolari, piazze gremite, proteste che chiedono libertà. Libertà che però, da quelle parti, non si pronuncia esattamente “USA” o “Israele”, mentre a queste latitudini sì, perché fa comodo che sia così. E in tutto questo marasma c’è pure chi si ingelosisce e alza la voce per attirare l’attenzione su di sé, la Cina di Xi Jinping, o meglio, la Repubblica Popolare Cinese, che torna ad accerchiare Taiwan proprio nel momento di massimo dialogo tra Stati Uniti e Russia. Due superpotenze che, ciclicamente nella storia, litigano ferocemente per poi trovare un accordo. Accordo che, puntualmente, fa ingelosire Pechino. Da oltre settant’anni la Cina mantiene alta la tensione nello Stretto di Taiwan: esercitazioni militari, manovre navali, simulazioni di blocco, talvolta colpendo isole periferiche o zone contese per ricordare al mondo che la partita è ancora aperta. Allo stesso modo, dagli albori della loro potenza globale, gli Stati Uniti hanno rovesciato regimi poco simpatici in America Latina e nel Pacifico, prima in funzione antisovietica, oggi in chiave anticinese.
Negli anni Sessanta, mentre Washington e Mosca si fronteggiavano su Cuba, era già in atto un altro grande negoziato europeo. Il Muro di Berlino, costruito nottetempo nell’agosto del 1961, fu uno degli strumenti con cui si tentò di congelare il conflitto tra i due blocchi. La crisi dei missili cubani sarebbe arrivata l’anno dopo, nel 1962, sancendo quella pace armata che ha segnato la Guerra Fredda. Una pace armata destinata a ripetersi in Ucraina? Chissà. Tempi e soprattutto modi sono molto diversi, così come il temperamento degli attuali leader. Volodymyr Zelensky non è tipo da gettare la spugna in fretta ed è, di fatto, un terzo attore scomodo da piegare nel confronto tra superpotenze. Un personaggio che, in un discorso alla nazione, ha detto: “Certo, qualcuno morirà, qualcun altro no”. Lo stesso giorno, a poche ore di distanza, figure chiave legate al mondo militare e scientifico russo venivano uccise in attentati mirati, mentre alti ufficiali dell’esercito di Mosca cadevano uno dopo l’altro nel giro di pochi giorni. Episodi che hanno mostrato una capacità di penetrazione impressionante negli apparati di sicurezza russi.
Quindi sì, ci sono i negoziati sull’Ucraina. Siamo forse nella loro fase finale, ma sono anche gli attimi più turbolenti, quelli in cui tutto può succedere, soprattutto mentre siamo tutti distratti. Trump per primo. Basta ascoltare le sue parole sul presunto attacco con droni alla residenza natalizia di Vladimir Putin, subito attribuito dal Cremlino all’Ucraina. Alla domanda di un cronista, a Mar-a-Lago, che gli chiedea: “Ci credete davvero? Non avete forse i servizi di intelligence statunitensi che monitorano attentamente questa regione?” Trump ha risposto:
“Beh, lo scopriremo”. “Quindi state dicendo che l’attacco potrebbe non essersi verificato?”
“È anche possibile, immagino. Ma Putin me l’ha detto questa mattina”. Beh se gliel’ha detto Putin allora possiamo starcene tutti molto tranquilli, perché d’altronde non ci resta grossa alternativa che, anche questo capodanno stappare un Francia Corta e sperare in un anno migliore.