Aveva investito e ucciso l’uomo che a suo dire voleva violentarla. In primo grado alla 27enne Aurela P. era stata riconosciuta la legittima difesa, con assoluzione dall’accusa di omicidio volontario. Ora però la Corte d'Assise d'Appello di Torino ha ribaltato la decisione e, pur riconoscendo una vasta gamma di attenuanti, ha condannato l'imputata – commessa di un outlet – a sei anni di carcere. Cambia così, al meno dal punto di vista della verità giudiziaria, il racconto della vicenda della fine di Massimo Garitta (di lui le cronache, per esempio quella del Corriere, parlano come di “un barbone dalla vita disordinata”), morto la notte di Capodanno del 2019 a Ovada.
La storia inizia quando Aurela P. offre un passaggio a Garitta, che accetta. Durante il tragitto, però, secondo quanto riferito, l'uomo la aggredisce. La ragazza cerca di fuggire e durante una manovra di inversione a U si verifica l'investimento di Garitta. Per la difesa l’uomo aveva tentato di intercettare la vettura per costringere la donna a fermarsi e portare a termine la violenza, mentre l'accusa ritiene che Aurela P. abbia ucciso Garitta senza essere in pericolo reale. La donna non aveva denunciato l'incidente, ma i carabinieri avevano identificato la sua auto grazie a una traccia lasciata sulla giacca della vittima e, una volta rintracciata, lei aveva ammesso.
La Corte d'Assise d'Appello ha esaminato nuovamente le prove raccolte, ascoltato testimoni e consulenti tecnici, e alla fine ha ribaltato la sentenza precedente. Nonostante la pena sia stata ridotta, l'avvocato della difesa non è d'accordo con la decisione e crede che la condotta alla guida della sua assistita fosse giustificata dalla necessità di fuggire dalla situazione di pericolo. Ora si andrà in Cassazione.