Tutto in una domenica, one sunday only. Il Distinguished Gentleman’s Ride, lo shooting per questa cover story, l’intervista. Abbiamo incontrato Francesco Montanari ad Alghero, dove si trova per le riprese della terza e ultima stagione de Il Cacciatore. Dopo la cattura di Leoluca Bagarella e dei fratelli Brusca, le nuove puntate si concentreranno su quella di Pietro Aglieri - personaggio stranissimo: ex parà, religiosissimo, appassionato di arti marziali - e Bernardo Provenzano, “anche se a catturarlo”, ci dice Francesco, “è stata la sorella di Sabella, quattordici anni dopo”.
Per chi non lo sapesse, Alfonso Sabella è il magistrato a cui le vicende narrate ne Il Cacciatore si ispirano. Fu sua sorella, giudice anch’essa, a occuparsi - come unica donna del pool anti-mafia - dell’arresto di Provenzano, nel 2006. La necessità di effettuare una parte delle riprese in questa zona della Sardegna non deriva, tuttavia, dalla vicinanza di Alghero all’isola dell’Asinara, come avevamo inizialmente supposto. Era stato proprio all’Asinara, infatti, che Falcone e Borsellino si erano ritirati per preparare la requisitoria per il Maxiprocesso di Palermo. Ma non ci sono flashback o riferimenti a quelle vicende, in questa terza stagione de Il Cacciatore. Le vie e i dintorni di Alghero servono alla produzione perché alcune delle scene che vedremo nei nuovi episodi saranno ambientate in Spagna e, da queste parti, sembra di stare su un’isola della Baleari o in Catalogna. Una discreta botta di culo, per noi, che ci siamo trovati a dover raggiungere Francesco proprio qui - piuttosto che, chessò, a Duisburg - per raccontare la sua personalissima DGR, tra strade da Instagram e calette deserte.
Già perché, per la prima volta da quando è nata, la Distinguished Gentleman's Ride - l’iniziativa attraverso il quale migliaia di motociclisti in tutto il mondo sfilano in selle alla proprie moto, vestiti come veri e propri gentleman, con l’obiettivo di raccogliere fondi per la ricerca contro il cancro alla prostata - da evento di massa, da raduno, da avvenimento sociale, diventa, causa Covid, un appuntamento individuale, un momento di solitudine in moto in cui la condivisione passa solo e soltanto attraverso i social network. Insomma: prendete la vostra moto e fatevi voi la vostra ride, con il migliore dei look che possiate sfoggiare; donate, come sempre, e se qualcuno vi chiederà perché siete vestiti così spiegateglielo, invitandolo a dare il suo contributo. Questo il messaggio degli organizzatori. È così, quindi, che ci siamo messi nella scia di un elegantissimo Montanari e della sua Triumph Street Twin, prima di sederci finalmente attorno a un tavolo, per cercare di capire, assieme a lui, cosa significhi, oggi, produrre, girare e interpretare una serie tv in Italia. A cominciare da Il Cacciatore.
France’, ma non sei stufo di doverti calare, di nuovo, nei panni dello stesso personaggio?
Mah, guarda, il lavoro grosso, in realtà, è quello che fai per la prima stagione. In quelle successive gli sceneggiatori non lavorano più su un personaggio immaginario ma scrivono sulla base di un volto, di una persona, di una interpretazione. Il protagonista, a quel punto, ha un’anima, una voce, un carattere. Quello che viene dopo è un lavoro di mantenimento per così dire.
Ok, però, pensa a Salvatore Esposito, Genny, in Gomorra, o anche a te col Libanese di Romanzo Criminale. Sono personaggi che vi restano addosso. Non vi pesa l’idea di non riuscire a liberarvene?
L’importante è riuscire a sfruttare questa cosa a livello lavorativo. Se ci fosse stato Instagram quando ho fatto Romanzo Criminale, probabilmente adesso avrei chissà quanti milioni di follower. Salvatore in questo è bravo. Adesso, ad esempio, ha fatto lo Spacca Pietre e i cinema erano pieni. Ed erano pieni perché c’era lui, nel film. Poi, di sicuro ci sarà un sacco di gente che va a farsi i selfie con lui perché lui è Genny di Gomorra, ma lui è bravo perché lo sfrutta a suo favore. È una possibilità importante a livello lavorativo. Viviamo in un tempo in cui se tu vai a fare un provino, a parità di interpretazione viene scelto chi ha più follower, ma non è meglio o peggio, è la naturale evoluzione della nostra società. Sono sempre stati scelti gli attori che avevano più seguito. Ora questa cosa è misurabile. Ora, grazie alle nuove piattaforme, un attore italiano che ha recitato in un prodotto come Gomorra, non ha più un mercato che va da Siracusa a Ventimiglia. Salvatore sta lavorando all’estero, in Francia, il mondo sta cambiando.
Però ci sono ancora un sacco di attori italiani che hanno un rapporto quasi nullo con i social network. Perché?
Perché tu non puoi neanche violentarti. Guarda Marinelli: lui non usa i social, non ha niente, eppure è uno dei più noti attori italiani. Secondo me l’esempio lampante di quante e quali possibilità ci siano sono Alessandro Borghi e Luca Marinelli. Borghi è super social, tv, giornali, super tutto. Marinelli invece è un fantasma, però è chiaro che tu devi avere la possibilità di stare nella nebbia, non so come dire, o devi crearti la possibilità di non starci. Dipende anche da chi incontri nella vita, dal percorso che fai anche involontariamente. Prendi Favino: il più grande attore italiano vivente. È stato Sanremo lo spartiacque. E Favino è sempre stato bravo eh, è sempre stato il grande attore che è. Eppure quel grande attore ha capito che è anche un bravo showman e ha capito che quella cosa lì gli avrebbe dato una possibilità in più. E infatti, il Traditore, possiamo raccontarci quello che vuoi, ma ha fatto quattro milioni e mezzo (di Euro di incasso, nda) perché c’era Picchio (il soprannome di Favino, nda). Se l’avessi fatto io il Traditore, non avrebbe fatto quei risultati. Poi ringraziando il Signore è pure un genio di attore, quindi ben venga. Ma è così…
Dai però anche tu fai la tua parte. Per Il Cacciatore hai vinto il premio come miglior interprete maschile all'edizione 2018 del Cannes International Series Festival, e la serie ha funzionato un botto anche fuori dall’Italia. Tra l’altro, in quanti paesi è distribuito?
Più di 250. Proprio ieri è stato venduto a Canal+ Africa.
Ecco, appunto. Però, la cosa che mi colpisce, è che mi sembra un prodotto così local. Cioè, possibile che non riusciamo a fare qualcosa di respiro più internazionale in Italia?
Beh, devi considerare che il genere poliziesco generalmente funziona, se lo fai nel modo giusto. Il Cacciatore, in questo, è molto fedele alla realtà, dal punto di vista della cronaca, e gli spettatori, anche all’estero, sono curiosi di conoscere una parte della storia italiana di cui non sanno nulla… E poi ci devi pure mettere il fatto che le grandi piattaforme di distribuzione non hanno interesse a che una produzione, ad esempio italiana, racconti vicende - per dire - americane. Per quello ci sono gli americani, ti dicono. E questo è il motivo per cui, ad esempio, Netflix stanzia dei budget perché in ogni paese siano realizzate delle produzioni local.
Ok, ma pensiamo alle produzioni di maggior successo di questi anni: Romanzo Criminale, Gomorra, Suburra, Baby. Forse con la sola eccezione di The Young Pope abbiamo sempre a che fare con mafie, criminalità, eccetera. Perché in Italia non vengono realizzati prodotti che parlino di altri temi? È un problema di budget? È perché per fare Stranger Things servono i fantamilioni?
Mah, ti dico, per I Medici, abbiamo speso 5 milioni a puntata, quindi direi che il budget non c’entra… Secondo me è un discorso che ha molto a che fare con le strategia delle piattaforme di distribuzione, almeno in Italia. Netflix, ad esempio, In Italia, ha puntato molto sui teenager. Ora l’obiettivo sono gli over 50. Se ci pensi è un ragionamento che funziona, perché si tratta dei due target che passano più tempo a casa. E non è un caso se Netflix Italia è andata a prendere Eleonora Andreatta, che era la direttrice di Rai Fiction e che ora è diventata vicepresidente delle serie originali italiane proprio in Netflix.
Però, all’estero fanno Fleabag, vengono realizzati dei prodotti che hanno come destinatari i 30-40enni…
Eh ma questo succede in tutti i settori. Però, sai, noi non dobbiamo fare l’errore di paragonarci agli americani o agli inglesi. Noi abbiamo avuto un’involuzione enorme dal punto di vista cinematografico. E questa cosa è successa perché i produttori hanno cominciato a voler semplicemente fatturare. E va bene, ci sta eh, è una scelta chiara e precisa. Il problema è che hanno smesso di fatturare producendo opere e hanno iniziato a farlo cercando di produrre degli… strumenti di fatturazione. Quello che sta succedendo ora è che ci stiamo accorgendo che questo sistema è fallito. Adesso, al di là del Covid, il cinema italiano è da lungo tempo che, su larga scala, è morto, è defunto.
Ma infatti Fleabag, ad esempio, sembra una cosa scritta con tutt’altro scopo dal voler fare soldi. Cioé, Phoebe Waller-Bridge, la protagonista, è la stessa che ha scritto la serie, l’adattamento di uno spettacolo teatrale.
Ma guarda che la scrittura nasce sempre dall’esigenza di voler approfondire un tema e di metterlo nero su bianco. Il problema è che poi arriva un esercente che ti dice ‘questo no, questo neanche, questo sì e questo pure’. Poi, magari, per uno che scrive libri, questo confronto, per quanto stressante, si riduce a uno scontro con l’editore e con l’editor. Per una serie tv o per un film devi passare da: il produttore, il canale, il distributore, il marketing… Io lo vedo anche su di me. Non è solo questione di essere un bravo attore, ma proprio di gusto personale. Se Sollima non si fosse innamorato di me artisticamente, io, il Libanese, non l’avrei fatto. Se a Neil Hartman, il direttore di Sky Cinema, non fosse piaciuto come interpretavo quel personaggio, io Romanzo Criminale non l’avrei fatto. Ma non è che io abbia fatto necessariamente un provino migliore degli altri, è che, evidentemente, chi doveva decidere ha trovato nel mio volto il personaggio che cercava.
Quindi se in Italia non si riesce a far passare un Fleabag è colpa dei produttori?
Guarda, la verità, da quello che ho capito (io, poi, eh) è che il produttore, il distributore, racconta comunque quello che è. Non c’è niente da fare. Sia se vuole speculare, sia se vuole fare un buon prodotto cinematografico. Racconta quello che è. Ed è indiscutibile che viviamo in una società di mediocri. Guarda la politica. A prescindere dai partiti. Abbiamo avuto esempi, nella storia, in cui a sinistra, a destra o al centro c’erano delle personalità gigantesche. Non c’erano delle personalità dozzinali. E quello è uguale eh… Quasi amici te lo ricordi? Quello è un capolavoro, è un film che ha sbancato i botteghini e racconta una storia di fratellanza. Ma se oggi vai da un produttore italiano e gli dici ‘facciamo Quasi amici?’, lui ti risponde che è difficile. Non è vero, o per lo meno non è più difficile di fare Lockdown all’italiana.
A proposito, cosa ne pensi?
Bah, guarda, sicuramente io non faccio parte del pubblico a cui si rivolge un film del genere. Posso farti un discorso un po’ distaccato, dicendo che mi sembrano un po’ dei rimasugli, mi sembra di grattare la padella quando ormai la pasta è finita, scotta, ricotta, rimangiata e ricacata, però è giusto che esista, va bene. Ci sarà un pubblico a cui si riferisce o forse no. Perché, poi, la verità è che ci sono anche molti film che non hanno un pubblico a cui riferirsi e sono stati fatti a caso.
Però io trovo che l’idea che, a priori, su un tema come il lockdown, non si possa fare un film, sia del tutto sbagliata. Cioè, dobbiamo avere la capacità di osservare dall’esterno i nostri tic, la nostra miseria, anche, se vuoi, pure in un momento tragico come il lockdown.
Ma quello figurati, è giustissimo. Il problema è come lo fai. Perché un argomento del genere può trasformarsi in un film dimenticabilissimo, non pervenuto, oppure può diventare la bandiera culturale di un momento storico difficilissimo.
Abbiamo sempre avuto chi ci metteva a nudo, anche nei momenti peggiori. Non so, penso a Paolo Villaggio, a Fantozzi…
Nessuno ha visto sto Lockdown ma possiamo dedurre non sia Paolo Villaggio che fa Fantozzi, che viene studiato in psicanalisi. Figurati, Alberto Sordi è diventato quello che è, raccontando il vicino di casa. È giusto fare un’indagine sul momento storico che abbiamo vissuto e che stiamo vivendo. Però a me sembra soltanto un’operazione di…
Speculazione?
Ma manco. Perché se speculi fai un abuso ma almeno ti porta dei profitti. Poi uno può farne un discorso etico ma di fronte alla furbizia intellettuale io alzo le mani. Qui non c’è neanche questo, mi sembra. C’è la volontà di fare una cosa del genere ma ho l’impressione che nella pratica poi non ci si sia riusciti.
Lockdown, però, ha attirato molte polemiche e con questo molta visibilità. Secondo te è possibile applicare al cinema quella stessa strategia di comunicazione che si è dimostrata così vincente in altri ambiti? Penso alla politica o all’editoria, ad esempio. Per chi lavora in questi due campi, sfruttare i social a proprio vantaggio, oggi, vuol dire dare sempre un taglio divisivo alle proprie affermazioni. Solo in questa maniera si è certi di ottenere un ritorno, di essere premiati dall’algoritmo. Mi sembra che in ambito cinema, serie tv, non si sia ancora arrivati a cavalcare questa cosa, anzi mi sembra che si punti di più sull’opposto, sull’inclusività - vedi Quasi amici o le nuove disposizioni dell’Academy circa i nuovi criteri affinché i film siano considerati in lizza per un Oscar. Non funzionerebbe di più - o, addirittura, non è proprio necessario - essere divisivi, anche nel vostro settore?
In teoria un’opera è di per sé divisiva. O, per lo meno, dovrebbe esserlo. È un punto di vista preciso sul mondo. Woody Allen ci ha fatto tutta la carriera sull’essere divisivo. Ma non è che è divisivo lui, è semplicemente un altro canto rispetto al canto comune. Guarda The Young Pope… Analizzare in quella maniera la figura del Papa e tutto quello che ci sta intorno, è tutt’altro che inclusivo.
Qual è il futuro delle serie tv in Italia? Dobbiamo davvero aspettarci solo prodotti destinati a teen e over 50?
Probabilmente sì, con l’eccezione di qualche produzione che avrà una chiave più sperimentale, per cercare di capire come reagisca il mercato davanti a cose diverse. Dobbiamo tornare a far capire alle grandi piattaforme che è ancora possibile fatturare con prodotti differenti…
Eh ma è davvero possibile questa cosa?
È possibile se ti danno la possibilità di farlo. Gabriele Mainetti ha fatto Lo chiamavano Jeeg Robot, ma ha lottato 7 anni per poterlo fare. Alla fine ci è riuscito ma perché ci ha messo dei soldi di tasca sua. Probabilmente se non avesse avuto questa possibilità, non l’avrebbe ancora fatto. Ora è percepito come un genio. Anche Favolacce è un gran film. Il punto è che dipende da chi incontri e da come il sistema percepisce il tuo essere diverso. Se lo percepisce come cool, allora ti dà tutto, anche troppo probabilmente. Se non lo percepisce, non c’è niente da fare, ma niente oh. Questo funziona in tutti i settori dello spettacolo, perché noi, purtroppo, l’obiettività come valore non ce l’abbiamo. Un medico ce l’ha, perché ti può stare simpatico, sul cazzo, può fare quello che vuole, si può scopare chi vuole, ma mi cura? Sì. Non mi cura? No. Noi questa cosa non ce l’abbiamo.
Non sono i numeri questa cosa?
Eh no, attenzione. Perché il video più cliccato nella storia di YouTube è il video di uno che suona il flauto col culo. E se io sono una piattaforma multimediale, indipendentemente da qualsiasi valutazione sul fatto che il video sia bello o brutto, non posso non tenere in considerazione questa cosa. Perché anche noi, che ci raccontiamo di essere persone elevate, alla fine il video del flauto l’abbiamo visto. Poi il nostro interesse si esaurisce e abbiamo bisogno di altro, ma l’azienda non ragiona sul bisogno di altro, ragiona sul bisogno di fatturare. E noi dobbiamo tornare a far capire che anche il resto può fatturare. Come o più del flauto suonato col culo.