No spoiler. Anche perché sarebbe impossibile. "Crimes of the Future", il nuovo film di David Cronenberg in sala dal 24 agosto, a giudicare dalle recensioni (e perfino dalle sinossi) disponibili online, ha tutta l'aria di essere la classica supercazzola intellettualoide di cui nessuno capisce davvero una fava. Però, intanto, ne parla e scrive per darsi un tono d'essai. Vi risparmiamo volentieri riflessioni e disanime da parvenus dell'intellighenzia e ci azzardiamo, invece, a discorrerne da comuni mortali: si gode per due ore. Sui titoli di coda, si viene assaliti da un senso di appagamento assoluto che tenderà a persistere, volenti o nolenti. Il sangue, i morti, il futuro apocalittico, i cambiamenti climatici che fotteranno il nostro già malandatissimo pianeta come il Jova Beach Party fa con le tartarughe caretta caretta. Tutto giusto, tutto vero. C'è anche questo. Ma "Crimes of the Future" è un film fatto di occhi, di tensioni sessuali, di voyeurs e turisti della pornografia che si spingono sempre più oltre, oltre qualsiasi limite, cercando disperatamente di trovare soddisfazione. Parla di noi, dunque, oggi. Non "domani".
Già dal titolo, il film porta a pensare che sia doveroso ragionare su qualche tipo di crimine, con ogni probabilità più di uno, che ci toccherà espiare in un futuro possibile. E in effetti il regista ci conduce in un futuro orrendo, disgustoso. Lo è per una semplice questione di sottrazione: non esiste più il dolore né fisico, né emotivo. L'umanità, a rigor di logica, dovrebbe vivere in pace, dunque, no? No. Perché, purtroppo o per fortuna, non siamo nati per essere fogli Excel e quel piccolo difetto di fabbricazione per cui niente ci sembra mai "abbastanza", ce lo portiamo sempre appresso. Da qui, il dolore, in questo futuro possibile, viene narrato nelle leggende, ricercato, bramato ossessivamente. Semplicemente perché non c'è.
Come tossicodipendenti, nei vicoli bui delle strade di Atene (location del film), uomini e donne si tagliuzzano, mutilano corpi altrui con il pieno consenso di tutti i coinvolti, sperando che sia la volta buona in cui riusciranno a sentire qualcosa. Ma non succede mai. In un mondo popolato da vampiri emotivi a caccia di sensazioni che non sono più in grado di provare, gli artisti sono considerati semidei perché hanno il compito di soffrire. O, almeno, di ostentare sofferenza e renderla perfomance. Perché è questo che le persone hanno bisogno di vedere, ciò che a loro manca davvero. E sono disposte a tutto pur di avvicinarcisi. Perciò la chirurgia gioca un ruolo fondamentale: in questo mondo ribaltato, l'introspezione è letteralmente farsi aprire in due da un bisturi di fronte a un pubblico pagante per mostrare "cosa c'è dentro". E dentro ci sono organi, anche progettati ad hoc per l'experience, sangue, in alcuni casi rimasugli di plastica e schifo: ossia la "bellezza interiore". Godono tutti: dagli artisti agli astanti. Una satira piuttosto prepotente, a ben guardare.
Il protagonista Saul Tenser (Viggo Mortensen), perennemente intabarrato nel suo nero pastrano, non mostra un centimetro di pelle a meno che non sia in scena o nella strambissima intimità della propria casa super-intelligente (ci sono sedie che lo imboccano, letti che lo cullano tramite innesti negli arti) insieme all'assistente e partner in crime Caprice (Léa Seydoux). Lei ha lasciato la chirurgia medica per diventare "artista" come lui e quindi scotennarlo tramite futuristici aggeggi in pubblica piazza.
Saul è considerato il più grande perfomer della scena "introspettiva", quando in realtà l'unico desiderio che ha è quello di morire in santa pace. Ci prova in ogni modo, aiutato da una società che proprio questo, la sua sofferenza, ha bramosia di vedere. Gli altri artisti performativi, in palese rincorsa, cercano di imitarlo portando in scena sfocate rappresentazioni di un dolore, e di conseguenza di una bellezza, che è solo posa plastica. Risibile. Non c'è niente di vero. Ma il pubblico, come sempre, si accontenta anche di poco pur di godere. Saul schifa tutti. Cronenberg schifa tutti. Ma ci dà esattamente quello che vogliamo (anche oggi): il dolore, il sangue, il dettaglio porno-splatter in esclusiva per gli abbonati.
"Crimes of the Future" non è un horror, non è un pippone, non è niente di quanto scritto fin qui. O lo è solo in parte. A unire il pubblico in sala agli orrendi personaggi del film è solo puro desiderio. Del dolore, di un orgasmo. Siamo spacciati. Ma continueremo a tendere a qualcosa di peggio. Perché nulla è mai abbastanza nelle nostre piccole vite. E niente ha più importanza. No spoiler. Non vediamo, non parliamo, non sentiamo.