Conclave, il film di Edward Berger con Ralph Fiennes, Stanley Tucci, Sergio Castellitto e Isabella Rossellini, ha finalmente trovato il suo pubblico. All’indomani della morte del Papa è diventato improvvisamente il titolo da recuperare. Tutti lo cercano in streaming come se contenesse l’ultima verità su questo benedetto – letteralmente – conclave. Perché la domanda è lì, netta: chi porterà avanti la Chiesa? E come, in un mondo che non sa più nemmeno chi è? Conclave è elegante, costruito con precisione, adrenalinico quanto basta, e incredibilmente contemporaneo. Ma non è il miglior film sull’argomento. Anzi, non è nemmeno quello che ci serve adesso. Perché oltre a scoprire i meccanismi del voto papale, oggi servirebbe capire un’altra cosa: cosa vuol dire essere Papa. Accettarlo davvero, quell’incarico. Tra i vari titoli, consigliatissima la serie capolavoro di Paolo Sorrentino The Young Pope, che già da sola dice tutto: un Papa giovane, enigmatico, ultraconservatore, che poi – nella stagione successiva e altrettanto bella (The New Pope) – verrà rimpiazzato da uno più progressista. Ombra e luce, rigidità e apertura. Un modo per capire cosa significa essere dall'una o dall'altra parte.

Ma il focus perfetto, l’epicentro emotivo, resta Habemus Papam di Nanni Moretti, uscito nel 2011. Un film che aveva già previsto tutto. Racconta di un Papa appena eletto che va in tilt, non regge il peso di essere diventato simbolo. “La guida di cui avete bisogno non sono io, non posso essere io”, dice l'attore Michel Piccoli, nei panni del cardinale Melville, che letteralmente scappa. E meno di due anni dopo, nel 2013, Ratzinger farà più o meno lo stesso. Dimissioni storiche, impreviste, impensabili. Ma il cinema, come sempre, c’era arrivato prima. Poi è stato il turno di Francesco. Una guida che forse non voleva esserlo, ma si è preso tutto. Con la voce rotta, con le mani sulle ferite vere del mondo: i poveri, gli emarginati, i dimenticati. È stato forse la versione più umana di Dio che abbiamo visto in vita. Ma anche lui è stato attaccato. Per il passato argentino, per le parole sbagliate e/o mal interpretate, per ogni tentativo di cambiamento. Perché essere Papa, oggi, vuol dire mettersi le mani nella carne viva della Chiesa. Vuol dire rischiare. Pagare. E cambiare qualcosa. Ora che non c’è più, chi avrà il coraggio di farlo di nuovo? Chi si prenderà sulle spalle questa eredità? Habemus Papam oggi è più attuale di Conclave. Perché non spiega solo come funziona un’elezione, ma cosa significa affacciarsi a quel balcone e dirsi erede di qualcosa che va oltre la fede: un peso simbolico, politico, umano. Habemus Papam è il ritratto di un uomo che voleva solo restare uomo. Che amava il teatro con la paura concreta di non essere all’altezza. Non tanto un Papa, quanto un essere umano con le sue fragilità e sotto i piedi il vuoto di piazza San Pietro. E forse è proprio questo che ci serve oggi: qualcuno che resti umano. Che, come Francesco, abbia paura per quello che succede oltre il Vaticano (memorabili le sue parole su Gaza). Ma che, al contrario del finale di Moretti, quella paura la prenda per mano. E dica al mondo: sì, sono io. Andiamo avanti.
