BigMama arriva a New York, dove era stata in precedenza solo virtualmente, sui videowall di Times Square, via Spotify, e ci arriva per parlare all’aula dell’Assemblea Generale dell’Onu. Un passo importante per un artista, e non solo, certo, anche se il fatto che ci sia passato Achille Lauro in qualche modo abbassa un po’ l’asticella. No, scherzavo. Ho in sostanza introdotto, con un piccolo escamotage letterario, il tema di questo articolo, l’hating. Tema che, nel caso specifico, è una sorta di versione reale di un film di quelli cerebrali di Christopher Nolan, Inception, Tenet, perché l’hating che sui social si sta riversando su BigMama, da poco passata anche dal palco dell’Ariston, in gara alla settantaquattresima edizione del Festival della Canzone Italiana col brano La rabbia non ti basta, è frutto di una certa frustrazione scaturita dalla giovane cantante e rapper campana, ventiquattro anni tra pochi giorni, lì a parlare proprio di hating. O meglio, complice la sua storia personale, a parlare di bullismo, e di conseguenza di body shaming, che quel bullismo ha scatenato. Una situazione paradossale, uno che si alza metaforicamente in piedi, in realtà arriva per suo merito a parlare all’Assemblea Generale dell’Onu, di fronte a una platea di ragazzi, perché ha fatto del suo essere vittima di bullismo e body shaming la forza motrice della propria arte, arte che l’ha portata a concorrere al Festival di Sanremo, l’8 marzo uscirà il suo album Sangue, data scelta non a caso, e che però si trova a subire body shaming e bullismo, come incastrata dentro un loop. Il fatto è che, Marianna Mannone, questo il suo nome all’anagrafe, che a discapito forse di alcune sue dichiarazioni uscite sui giornali nei giorni del Festival e anche in quelli precedenti, è ragazza assai ironica e dirompente.
A Sanremo l’abbiamo incontrata dentro la cornice di Bestiario Pop, trovate qui l’intervista, inanella una serie di caratteristiche, non so neanche se la parola caratteristica sia corretta, in epoca di positivamente corretto cannare la parola giusta è un attimo, oggetto di discriminazioni e critiche violente. È donna, innanzitutto, e questo in campo musicale è decisamente oggetto di discriminazione. Quel 14% di artiste presenti sul mercato evidenziato da Equally grida costantemente vendetta, è queer, figuriamoci, è cicciona, e qui sicuramente so che il termine sia sbagliato, ma è lei stessa a usare la parola “cicciona” nel suo speech, tenuto di fronte a giovani e giovanissimi arrivati a New York all’interno del programma Gcmun talks, associata al Dipartimento di Global Communications delle Nazioni Unite. Fatti, questi, che l’hanno portata a crescere sotto costante attacco. Anche perché, è sempre lei a dircelo, anzi, a dirlo ai presenti, ma la sua canzone sanremese parla di questo, come buona parte del suo repertorio, essere fuori dai canoni, estetici, morali, sociali, porta con sé tutta una serie di pregiudizi: sei pigra, sei stupida, non andrai da nessuna parte. L’arte, perché è arte quella che BigMama fa con le sue canzoni, fatto non scontato, c’è chi fa musica per intrattenere e basta, l’ha salvata, per altro rovesciando proprio quei pregiudizi, dimostrandone non solo l’infondatezza, ma divenendo vera e propria benzina a muovere la sua poetica. Il genere da lei praticato, peraltro, il rap, in qualche modo, è il più coerente con la sua storia, genere musicale partito dal basso, dai ghetti del Bronx, proprio lì a New York, usato da chi quei ghetti li abitava per emanciparsi, dimostrare la propria esistenza, il proprio talento.
Le critiche piovute recentemente, anche in seguito a questo passaggio, addosso a BigMama, vertono molto sul suo aspetto fisico, il che è di suo avvilente, ma anche su una accusa più o meno esplicitamente dichiarata di star lì a sfruttare le proprie condizioni per vendere. L’idea che un artista o un’artista venda è a tutt’oggi oggetto di meraviglia, Dio santo. Come se un’arte che sia di suo salvifica, o curativa, parlo dell’animo, non dovesse giocoforza confrontarsi col mercato, pena il perdere quell’aura di purezza che, vai poi a capire perché, il pubblico o una parte del pubblico sembra non gradire. Discorso curioso, curiosissimo, anche perché se queste istanze passassero, ne parlo come se fossero assai più serie di quanto non siano, di colpo verrebbe meno una buona fetta della storia dell’arte tutta, non solo quella musicale, da quella figurativa al cinema, passando per la letteratura. A chi è rimasto infastidito dal segno della figa che BigMama ha esibito all’Ariston, durante il Festival, accompagnato anche dai segni che corredavano le sue calze, forma di pussy empowerment, per dirla con parole sue, che attraversa diagonalmente la storia del pop, anche ai giorni nostri, fatevi un giro sulle pagine Instagram di artiste quali Megan the Stallion, da noi più famosa per la sua storia col calciatore Romelu Lukaku che per le sue canzoni (che mestizia), o di Nadya della Pussy Riot per capire di cosa sto parlando. Criticare qualcuno, praticando bullismo e body shaming, perché parla di bullismo e body shaming, credo, sia uno di quei paradossi possibili sono nel mondo dei social e nel tempo dei social, come dire a qualcuno che ti accusa di razzismo, “non sono io a essere razzista, sei tu che sei neg*o” (potete sostituire i concetti, che so, sessismo e la parola tro*a, omofobia e la parola froc*o, il senso non cambia). BigMama, nei fatti, è una giovane artista che ci mette la faccia, e tutto il resto, che usa la sua storia personale per farne opere, complice il proprio talento e anche la propria dedizione a dare forma al proprio talento, non tirandosi indietro quando c’è da parlare, e mettendo anche in conto, credo e spero, le reazioni scomposte di chi, per dirla con il Francesco De Gregori, vorrebbero una vita che scorra sui binari come un treno, con la strada segnata. Noi, è chiaro, facciamo da sempre il tifo per i bufali, che possono scartare di lato e cadere, e vaffanculo ai tanti Bufalo Bill che provano a farli fuori.