È un fottuto delirio. Tutti corrono nella stessa direzione, sento le pistole che avvitano le ruote, come raffiche di mitragliate, le macchine sollevate da terra che riatterrano sull’asfalto, scoppi di motore, marmitte che urlano. Vedo auto da sei cilindri e cinquecento cavalli che mi piombano addosso e mi passano a un nano centimetro dai piedi. Qualcuno urla: «Out! Out! Ouuuut!». Io mi sposto evitando all’ultimo momento di essere investito. Ho l’impressione che potrei morire qui, ora, oppure frantumarmi le gambe e a nessuno importerebbe niente. Mi passerebbero sopra, probabilmente. Si accorgerebbero di me solo dopo la fine della gara, probabilmente. Costeggio la rete metallica, seguo la folla, entro in pista. Sulla tribuna c’è una scritta: Barcellona. La pit lane è piena di meccanici schizofrenici che spostano le auto di peso, di gente che fa video, che fa selfie, che cammina ovunque. E laggiù, sulla sinistra, un cerchio di esseri umani intorno a lui. Vale. Tutti gridano il suo nome, cercano di attirarne l’attenzione nella speranza di beccare anche solo un mezzo sguardo in camera. Come ai tempi della MotoGP, come è sempre stato. Com’è tuttora. Resto vicino a lui fino a quando sale in auto, gli steward fischiano sempre più forte: è il segnale che devo allontarmi dalla pit lane. Albi sta tornando verso il box. Passo veloce, testa piena di pensieri. È l’ennesima partenza che fa con Vale, l’ennesima gara. Ci guardiamo ed è come se capisse quello che sto per chiedergli, infatti mi dice: «Come faremo quando smetterà? Come si fa a stare senza l’adrenalina prima della partenza, quella sensazione che ti fa salire i brividi e non si può spiegare? Come si fa a stare senza quella roba lì?».
Eccolo, il motivo per cui sono atterrato in Catalunya e ho passato tre giorni con Valentino Rossi e il suo ristretto team - Cami, Albi, Max e Samu - in una tappa del Fanatec GT World Challenge Europe. Capire meglio cosa c’è dietro Quella-Roba-Lì.
Perché la gente crede a troppe cose: che Valentino corra da due anni in questa competizione per non annoiarsi, per continuare a giocare, per togliersi qualche sfizio, che che che. Ma cos’ha davvero in testa? Uno con nove mondiali nel salotto, uno che è passato attraverso tragedie e infortuni e vittorie che trascendono le vite e i decenni, uno che potrebbe starsene a casa e godersi la pensione. Come mai è ancora qua? Come mai si mette in discussione ancora una volta e compete in uno sport dove ha solo da perdere con piloti più esperti, più giovani, che lo trattano come uno qualsiasi, come un avversario da battere al pari degli altri, anzi più degli altri? Ciò che sta facendo Valentino Rossi, forse, sarà evidente solo tra un po’. Quando sarà sotto gli occhi di tutti, come al solito, verranno usati termini quali leggenda o impresa. Ma la fatica e l’impegno che ci sta mettendo per arrivare a livelli sempre più competitivi, quelli no. Si possono cogliere soltanto adesso. E - spoiler - in realtà ciò che sto raccontando non è soltanto un viaggio dentro il suo team quanto all’interno di un concetto più astratto e misterioso. Un viaggio nel concetto di motivazione per l’essere umano. Per questo sono qui.
VENERDÌ ORE 18
UN MONDO DIVERSO Il circuito del Montmelò è su una collina. Con una Cinquecento arancione noleggiata in aeroporto mi fermo a lato di una piccola rotonda appena fuori dall’ingresso principale. Sono le sei di pomeriggio e ci sono ancora 28 gradi. Viene a prendermi Cami.
Cami è Camilla Fratesi, fotografa, videomaker, social media manager della VR46 e di Vale. Arriva con un piccolo scooter elettrico Yamaha ricoperto di adesivi gialli. Mi avverte che si è svegliata alle tre di notte per seguire la MotoGP e i ragazzi dell’Academy in Giappone e che, dopo una giornata in pista, è sudatissima ma noi ce ne freghiamo e ci abbracciamo lo stesso. Mi consegna il pass media e poi mi scorta al P2, uno dei parcheggi attaccati alla zona box. Da lì, salgo con lei sullo scooter. Il sedile è stretto e minuscolo. Non la vedo da tre anni almeno e noto un piccolo tatuaggio sul braccio, una scritta. Se lo è fatto molto tempo fa, solo che io non ci avevo mai fatto caso. Leggo: oggi è sempre. «Vieni, passiamo da dietro, ti porto nell’hospitality del team».
Il team è il WRT, ossia Weerts Racing Team, dal nome del proprietario Yves Weerts, un belga altissimo e brizzolato, amministratore delegato del gruppo di famiglia con interessi nella logistica, nel settore immobiliare, nelle fonti rinnovabili e, chiaramente, nel motorsport. L’hospitality è divisa in due: una parte interna con i tavoli, lo spazio per il buffet e gli uffici, e una zona esterna ricoperta da una moquette stile erba sintetica, composta da cucina e dehors con altre sedie e tavoli. Ci sediamo qui. Alla mia destra c’è Casa 46, il motorhome di Vale. E proprio da lì ci raggiunge Albi, Alberto Tebaldi, amministratore delegato della VR46, amico da una vita di Valentino. Albi ride, ride sempre. E quando non ride è al telefono. Ha la barba appena fatta, i capelli a zero e gli occhi chiari pronti a entusiasmarsi dietro agli Oakley da vista, ogni volta che parla di corse. Cami ci saluta e va in sala stampa e Albi mi offre un caffè, prima di portarmi in giro. È lui il mio Cicerone di questi giorni.
«Come faremo quando smetterà? Come si fa a stare senza quell’adrenalina, senza quella roba lì?»
«Per me è come se venisse a vedere la gara un mio amico» mi dice. «Cerco di spiegarti quello che ho capito, dato che è un mondo completamente diverso. Nonostante la poca visibilità mediatica di questo campionato, le grandi aziende come BMW, Ferrari e Lambo investono moltissimo. Nei team, tutti di livello, ci sono persone che potrebbero ben figurare in MotoGP. Ma se lì, ormai, ci sono troppe cose extra race, qui ti godi l’evento sportivo. È un po’ come la Sbk». Subito mi torna in mente un’immagine appena vista con Cami: una tavolata di gente fuori da un camper che mangiava, beveva, chiacchierava, con i panni stesi ad asciugare accanto, come se fossero in vacanza. Esattamente l’atmosfera di cui sta parlando Albi. «Chiaramente a Vale, che è un racer, questa cosa piace da matti. Qui gli impegni sono i meeting con i piloti, quelli con gli ingegneri, strategie di gare… Niente interviste, una sola conferenza, nessun appuntamento con gli sponsor» aggiunge. Ci sono altre due differenze fondamentali. «Il tuo compagno di squadra non è il primo nemico ma il tuo primo alleato. Noi siamo stati fortunati perché abbiamo Maxime Martin, velocissimo, un figo, veramente generoso. Il terzo pilota è Augusto Farfus, brasiliano. Poi le gare: sono di due o tre ore. Una sola dura ventiquattr’ore, la 24 Ore di Spa, una delle più belle che abbia mai vissuto, pazzesca proprio, dove tutto viene portato al limite estremo, una sfida piena anche di tante sfide personali, di tecnici che stanno sempre svegli, che non riescono ad andare a pisciare e che quasi si addormentano sul tavolo dove lavorano».
Vale poteva scegliere campionati più abbordabili, invece ha detto: voglio fare il Fanatec. «Altri sono divisi in tre categorie e, a seconda della categoria a cui si partecipa, quando gareggi hai meno avversari e tutti del tuo stesso livello. Invece lui è un matto. Ha voluto confrontarsi con chi è più forte».
Infatti il primo anno non è stato facile. «L’Audi era veloce ma tecnicamente non semplice da guidare. E proprio dopo la 24 Ore di Spa del 2022 ha iniziato ad andare veramente forte. Il passaggio con BMW ha fatto il resto e abbiamo capito in fretta che insieme al team potevamo davvero lottare per la vittoria ed essere sempre tra i primi quattro o cinque». Già, molte volte è andata così. Finché a Misano, qualche mese fa, è arrivato il punto più alto: la prima vittoria del 2023. Il prossimo anno invece la sfida si chiamerà WEC, campionato del mondo di endurance. Albi lo conferma: «Andremo ad Austin, Interlagos, alla 24 Ore di Le Mans. Sono otto gare in giro per il mondo. Sono tutte di durata: otto ore, dodici o ventiquattro. Una sfida tosta. Ma partiamo per giocarci il mondiale. È eccitante. Il livello insomma si alza ancora e se penso a come è cominciato questa cosa…».
Albi: «Vale è un matto»
CONTA LA GLORIA Vale ha sempre detto: «Ok, quando scendo dalla moto vado a correre in auto». E durante la sua carriera, oltretutto, lo ha sempre fatto: i rally, di Monza e non solo, i test con la Ferrari… Eppure quello che sta spiegando Albi è che per lui andare a una gara solo per partecipare non è mai stata un’opzione. Durante la settimana Vale ha bisogno di prepararsi a una sfida vera, anche se dall’esterno sembra che affronti tutto con leggerezza. Sembra, perché in realtà è il suo modo di approcciare la vita, per molti ereditato dal padre Graziano, che si potrebbe sintetizzare così: se non ti diverti, non lotti per vincere e se non lotti per vincere non ti diverti. «Quando siamo venuti a fare il primo test a Valencia, nel 2021, ci dicevamo: “Ok, capiamo se possiamo farcela”. E Vale era andato subito abbastanza forte. Ma i piloti sono animali che vogliono primeggiare» continua Albi. «Quindi immagina lo stato d’animo di chi corre da sempre in auto e si è visto arrivare un motociclista che oltretutto si chiama Valentino Rossi: quando se lo sono trovati in pista hanno dato l’anima e piuttosto di farsi passare, avrebbero venduto la madre. Ed è tuttora così, nessuno gli fa sconti. L’anno scorso abbiamo commesso quasi tutti gli sbagli che potevamo commettere. Per fortuna Vale è una macchina che impara e si evolve a una velocità allucinante. È impressionante, impossibile vederlo fare lo stesso errore due volte. È uno dei motivi per cui è Valentino Rossi. Non serve dirgli nulla, sa già tutto. È molto severo con sé stesso». La prova provata Vale l’ha avuta alla 24 Ore di Spa, come mi spiega ancora Albi. «Di notte è una battaglia, un casino. La pista non è illuminata, devi andare forte e saper essere furbo, malizioso. Ha fatto le qualifiche sotto un’acqua esagerata, non si vedeva niente, tanto che, se in gara avesse piovuto così, sarebbe stata subito bandiera rossa, è pericolosissimo. Quando è sceso dalla macchina mi ha raccontato che non aveva nessun riferimento». Un momento. Valentino Rossi ha vinto tutto e potrebbe starsene a casa a giocare con la PlayStation. Invece no. Invece eccolo qui a sfidarsi e imparare. Ecco perché quello che sta facendo adesso ha un peso specifico e un valore enorme. E poi questo sport, in tante nazioni, non ha molto seguito. Telecamere o no, più soldi o meno soldi: Valentino corre per il gusto di correre e di fare le corse come all’inizio.
NEL BOX Seguo Albi fuori dall’hospitality, qui c’è una zona transennata dove i fan possono aspettare che Vale esca a firmare autografi. A quest'ora però il paddock è semi deserto. Passiamo in un corridoio tra due motorhome, a destra c’è quello della 46, la macchina di Vale, Maxime Martine e Farfus. A terra, impilate, file e file di pneumatici. E prima di entrare nel box troviamo Max, un’altra colonna di questa storia.
Max negli anni è diventato il nuovo Uccio. È il backup di Vale, lo assiste, cura il suo materiale tecnico e, soprattutto, è il custode di Casa 46. Max è tonico, occhi e capelli chiari, sempre attento, preciso, in perenne modalità on. «Max è la persona più impressionante che io abbia mai visto nella mia vita» dice Albi. «È un cyborg, è mostruoso, uno da analizzare. Ha una potenza fisica incredibile. Sai come me lo immagino? Che la mattina, appena sveglio, se ne sta in bagno, nudo, con un piede sul pavimento e l'altro che poggia su qualche mobile, e canta mentre si fa la barba: il ritratto della sanezza, dell’entusiasmo».
Max ascolta serio e con i pugni sui fianchi. Dei giornalisti non si fida granché. In ogni caso dopo le parole di Albi si mette a ridere, mi saluta e scappa via. Mi renderò conto soltanto a fine weekend che questo resterà l’unico momento in cui l’ho visto fermo per più di tre secondi.
Ci fermiamo nel retrobox, Albi mi mostra dove i piloti posano il casco, il sottocasco e i guanti; a lato, due frigoriferi con bevande, snack e frutta. Da lì entriamo nel box. Ora la situazione è calma, ma da domani mattina questi pochi metri quadrati - dove convivono meccanici, tecnici, ingegneri, piloti, assistenti dei piloti, ragazze dei piloti, e strumentazioni varie, ruote, attrezzi, pc, cavi, schermi e, chiaramente le auto - diventeranno un caos.
«Immagina chi corre da sempre in auto e si è visto arrivare Valentino Rossi: piuttosto di farsi passare avrebbe venduto la madre»
La BMW M4 GT3 di Vale è al centro: blu, linee gialle e bianche, 46 impresso sugli sportelli, adesivi Skechers (lo sponsor principale) sulle fiancate.
Albi me la descrive: «Innanzitutto guarda quanto la posizione del motore è spostata indietro rispetto a una BMW normale. Il telaio è tutto Dallara». Dentro sembra proprio essere un posto molto scomodo, ci sono cavi, tubi, comandi, tasti, monitor e cinture ovunque. I pedali sono incassati in una scatola con al centro dei pesi. Il sedile, incavato, è imbottito di gomma piuma, ha le cuciture abrase e delle toppe di scotch. Poggiate sopra ci sono delle borse nere.
«Sono una sorta di raffreddamento» spiega Albi. «Invece quello schermo leggermente sulla destra è collegato alla telecamera posteriore e segnala le macchine dietro con un triangolino verde o rosso: verde significa che l’auto si sta allontanando, rosso che si sta avvicinando».
Non è possibile fotografarlo, mi accuccio per vederlo meglio ed è allora che mi accorgo di lui.
Valentino ha una t-shirt nera, il cappellino ed è di spalle, seduto accanto a un uomo con le cuffie. Entrambi stanno guardando dei dati sullo schermo di un portatile. «Si sta confessando» ride Albi. «È con Morgan, la sua coscienza, ovvero il suo telemetrista: sai, davanti ai dati non puoi mentire, non puoi dire che in quella curva hai dato gas quando risulta che hai alzato il piede. Qui poi, a differenza della MotoGP, fai la gara insieme al box perché non ti limiti a vedere delle tabelle quando passi dal rettilineo, sei sempre in contatto con i tecnici che hanno una visione più complessiva e ti aggiornano e ti parlano in macchina. Però, altra differenza, il telemetrista non fa solo questo lavoro: al momento giusto si alza e va a fare il cambio gomme, che è una roba devastante: i pneumatici pesano dai trenta ai quaranta chili e sono incandescenti».
Ma chi te lo fa fare? «Lo faccio perché ho voglia di correre»
IL PRIMO INCONTRO CON VALE Cinque minuti dopo Vale si libera e ci raggiunge. La prima volta che l’ho incontrato eravamo in uno stanzino dell’hospitality Yamaha durante il GP di Jerez. Alla fine dell’intervista gli proposi di posare nudo abbracciato alla moto, fotografato da una prospettiva zenitale, interpretando così la famosa immagine di John Lennon e Yoko Ono. Lui sorrise e rifiutò: «Io voglio solo correre in moto». Era il 2007, massimo 2008, e quelle parole mi sono rimaste impresse. Era già un mito, eppure all’epoca ebbi l’impressione che non sapesse nemmeno lui di quanto fosse larger than life. Mi sbagliavo. In realtà lo sapeva però non voleva considerarsi in quel modo.
Negli anni ci siamo rivisti poche volte, poi nel 2018 ho passato diversi giorni a Tavullia per realizzare uno speciale sui dieci anni della VR46 per la rivista Riders. In quell’occasione mi colpì il senso di famiglia che aveva creato intorno a sé e, anche allora, avvertii come la sua grandezza si traducesse in qualcosa di molto semplice: una grigliata al ranch su un tavolo di legno o una gara tra la polvere. Ed è questo l’aspetto incredibile di Vale: sei consapevole di essere davanti a una leggenda, ma ciò che ti resta è la sua normalità, il desiderio di voler correre e basta. Appena ti trovi davanti a lui, ti assale un senso di soggezione poi, più ci parli, più senti che potresti passarci ore a discutere solo di corse, Inter e altre robe così.
Mi raggiunge ridendo, ci scambiamo un cinque. Sembra più magro rispetto a quando correva in moto, così, dopo i saluti di rito, viene naturale partire da qui.
Com’è cambiato il tuo allenamento?
«Guidare la macchina è meno estremo. Con la MotoGP bisogna allenarsi un sacco, uno che ha quarant’anni paga uno svantaggio rispetto a chi ne ha venti. Sai, in questo periodo ho cambiato molto il mio metodo, però il bello è che sto continuando ad allenarmi con tutti i ragazzi dell’Academy: le giornate a Misano Adriatico, a Portimao, al Ranch… Di base sono io il loro allenatore sulla moto, ma la parte in palestra, ecco, l’ho ridotta».
E ti sei avvicinato molto a Kimi Antonelli. Mi ha colpito perché ho pensato che ora, come è successo con i ragazzi dell’Academy, stai cercando di esser tu che impari dai giovani e non viceversa. Anche nelle auto. È così?
Vale ascolta guardandomi fisso e muovendo su e giù la testa, con la bocca leggermente aperta e le mani dietro la schiena. Sorride, fa sì con la testa.
«Il rapporto con Kimi è bellissimo. Ha una bella ammirazione per me e per quello che rappresento a livello sportivo. Io cerco di aiutarlo, dai, però facendo più kart e simulatore e meno allenamento aerobico, avere un confronto con lui aiuta anche me. Poi, sai, sulla macchina spesso è la durata che ti sfianca: le gare vanno avanti ore, quelle di ventiquattro sono toste, soprattutto le ultime otto diventano pesanti, quindi ho dovuto imparare come essere competitivo per tutto quel tempo, come idratarmi, alimentarmi e anche come riposarmi. Quest’anno ne ho fatto solo una, di Spa, e per fortuna nel mio motorhome ho la stanza insonorizzata».
Interviene Albi: «Quando siamo arrivati il nostro motorhome era parcheggiato davanti alla prima curva. Per me era una figata, ma stacci te quattro giorni in mezzo a motori che passano giorno e notte, e non si fermano mai! Lì hai la staccata e poi il rumore di accelerazione delle macchine… Alla fine stavo impazzendo. Vale, però, è un dormitore di professione. Si metteva i tappi e nei cambi turni riusciva ad addormentarsi anche solo per un’ora».
Lì c’è una curva mitica, difficilissima, l’Eau Rouge, che tu hai fatto per la prima volta…
«È un punto dove non vedi più la pista. La macchina devi riuscire a metterla, in venti-trenta metri di larghezza, nella traiettoria giusta. Quando arrivi dici: cazzo, come faccio a farla piena, non ci sto. È stretta».
In qualifica, mi diceva Albi, non vedevi niente dalla pioggia.
«Quando in macchina hai qualcuno davanti, c’è uno spray pazzesco, ti tira addosso una nuvola d’acqua. In moto non succede. Ma in macchina cerchi di guardare chi hai davanti e gli vai dietro, per il resto vedi pochissimo. A tenere pieno nel dritto ci vuole il pelo, è pericoloso. Certo, che ambiente a Spa, tutta la gente che campeggia, grigliate, festa, casino e ubriachi nel paddock. Un’altra pista assurda, bella, velocissima che non conoscevo è Bathurst, in Australia. Ci sono tre quattro curve da 240 chilometri all'ora, lì se sbagli un attimo la tiri sul muro».
La domanda vera è: ma chi te lo fa fare?
«Lo faccio perché ho voglia di correre. È stato veramente un toccasana smettere con le moto, ma se fossi rimasto a casa sarebbe stata tosta. Il prossimo anno nel WEC faremo molti spostamenti fuori dall’Europa, per via del jet lag sarà più dura però dai, vuoi mettere? Andremo anche a San Paolo, dove non sono mai stato».
Perché hai detto che smettere con le moto è stato un toccasana?
«Venti gare cominciavano a essere un peso, non c’è più uno stop. Quando se ne facevano quindici era diverso, e comunque da metà novembre a metà gennaio non facevi niente. Adesso finisci il 27 novembre e già il 7 dicembre ricominci ad allenarti. Troppo stress. Qui, quando abbiamo vinto a Misano, un quarto d’ora dopo la gara ero già nel box con i miei amici e il team a bere e a far casino. Ma se vinci una gara di MotoGP prima devi fare il podio, poi le conferenze stampa, poi altri incontri e solo dopo due ore e tre quarti torni nel box ancora con la tuta: diciamo che il bello della vittoria è un po’ passato. Ti fanno l’applauso, certo, ma l’adrenalina è scesa».
IL BODYGUARD Dietro a Vale c’è un armadio alto due metri, occhiali da sole e cappellino; si guarda intorno. Ci presentiamo, anche se so già chi è: si chiama Samu, belga di origini italiane, è la sua guardia del corpo. Non ha nemmeno quarant’anni eppure è già il titolare di una delle più grandi aziende a livello europeo nel settore della sicurezza.
Quando stavamo organizzando la trasferta, Albi mi spiegava che il loro primo grande shock è stato il paddock aperto: «Chi acquista il biglietto per il Fanatec GT può andare ovunque. Quindi ci siamo dovuti organizzare perché Vale veniva circondato di continuo dai fan, e Vincent Vosse, il team manager, ha consigliato Samu. E lui, da grande appassionato di auto e di Valentino Rossi, ha risposto: "Vengo io". Avrebbe potuto delegare, ma non ci ha pensato un secondo».
Adesso, a tutti gli effetti, Samu fa parte del team. E con lui Vale è più tranquillo.
Albi aggiunge: «In ogni gara ci sono un sacco di tifosi, tutti in fila per un autografo, per incontrare Valentino, per dirgli che è un grande e altre cose del genere. È bello perché siamo usciti dal mondo moto eppure l’amore nei suoi confronti non diminuisce e ci riempie d’orgoglio. Nonostante questo, però, bisogna stare attenti, a Spa le condizioni sono toste. Ad esempio un ubriaco è diventato molesto e Samu ha fatto entrare Vale nel van. Poi è tornato indietro e gli ha urlato: “Adesso non ho tempo, ci vediamo alle otto qui, ti aspetto”. L’ubriaco non si è presentato, anche perché quando Samu si incazza capisci che è meglio stargli alla larga». Valentino deve andare e Samu lo segue. Ci rivedremo tutti insieme per la cena.