Albi è stato categorico. «Impossibile mangiare prima delle nove di sera, impossibile» mi ha detto prima di mettersi a ridere come sempre. Allora aspetto parlando con Camilla esattamente dove ci eravamo lasciati, nel dehors dell’hospitality. Cami ha un pacchetto di sigarette sul tavolo però ne sta fumando una elettronica, ha i capelli raccolti in uno chignon alto e con le dita della mano sinistra gioca con un ricciolo, mostrando un leggero imbarazzo. Perché non le piace parlare del suo lavoro. Nel corso degli anni ha ricevuto decine e decine richieste di intervista, che puntualmente ha rifiutato. Preferisce restare dietro le quinte. Da quando si è ritirato dalle moto il profilo Instagram di Vale appare più rilassato, un po’ come lui: una foto con la figlia Giulietta, in vacanza, con una birra in mano. «Mi chiedo spesso: se Valentino non lo conoscessi cosa vorrei vedere di un personaggio così iconico? Anche perché la mia passione è la stessa identica passione dei fan che aspettano ore sotto il sole» mi dice Cami. In uno degli ultimi reel ci sono lui e Kimi Antonelli che combattono contro una zanzara. Cami svapa, sorride: «Eh sì, tanta roba. Ma perché il video della Giulietta che guida la motoretta? Di cosa stiamo parlando…».
Le chiedo quanto ragionamento c’è dietro e lei fa di no con la testa: «È istinto, quello che ti trasmette Vale mentre cammina, senza storytelling, molto reale. Vale è una rockstar, e vedere una rockstar che lotta con una zanzara in bagno crea entusiasmo, fa ridere».
Immagino che a un certo punto voglia smettere di riprendere e dire: basta, ora me lo godo. «Ah be’, io tengo la GoPro in mano ma mi godo il momento, poi quello che viene viene. Te lo devi vivere. A Misano, quando ha vinto, in una mano avevo la camerina, nell’altra il bastone con la camera 360, e al ragazzo che lavora con i simulatori gli ho fatto: “per favore, mi tieni la GoPro?” Perché così almeno avevo una mano libera per battere il cinque alle persone».
Ed è a questo punto che Camilla dice, con una semplicità disarmante: «Vale non è un concept, Vale non è un brand. Quando qualcuno utilizza questi termini mi vengono i brividi. La parola chiave è rough». Ed è una cosa meravigliosa, che aggiunge un altro tassello a spiegare la grandezza di Vale, in un mondo dove tutti si sentono influencer e si fanno un sacco di menate. Ecco, lui è rough. Ossia grezzo, istintivo, appunto. «Sì, senza filtri».
VENERDÌ ORE 21
«Nella tappa di MotoGP in Austria ci siamo ritrovati tutti insieme nel motorhome ed è stato bellissimo, anche perché ora Vale può far tardi con noi»
LA FIGURA DI TOKYO Vale scende da Casa 46 insieme a Samu, Max e Albi. Si mette in fila per il buffet ed è guardandolo che mi viene una riflessione: per come sono abituato a considerarlo, mi colpiscono due aspetti che riguardano l’uscita dalla comfort zone.
Prima, nelle moto, la parola di Valentino Rossi era la Bibbia. Qui no. E me lo conferma anche Albi: «Ora la Bibbia te la raccontano gli altri. Però quando ha consolidato le sue prestazioni, l’atteggiamento degli altri piloti è cambiato: perché sanno che quando fai quei tempi lì meriti rispetto».
Del secondo aspetto me ne accorgo proprio a cena: in MotoGP il gruppo di Vale occupava mezzo team, qui invece sono loro cinque, a cui si aggiunge Sam, un inglese che lavora per Monster. Anche in questo caso mi viene in soccorso Albi: «Sai, adesso c’è chi dice che nell’Academy non facciamo crescere più nessun ragazzo ma i nostri giovani di ieri sono i campioni di oggi, come Morbidelli, Pecco, gli altri. Formarli ha richiesto un dispendio di energie enorme, ci abbiamo messo l’anima. Dopo tutto questo sforzo, mancheremmo di rispetto a loro se impiegassimo le energie verso qualcun altro o per le corse in auto di Valentino. E anche quando si è trattato di capire chi avrebbe seguito Vale è stato tutto naturale. Uccio, dopo averlo accompagnato per venticinque anni, ha tantissima esperienza e tante cose da dire, quindi si è preso il team. Carlo, il preparatore di Vale e di tutti i ragazzi, è rimasto sull’Academy, e io ho seguito Vale nella parte racing. Ma ci sentiamo di continuo e quando siamo andati a vedere il Gran Premio in Austria ci siamo ritrovati tutti insieme nel motorhome come ai vecchi tempi ed è stato bellissimo, anche perché ora Vale può far tardi con noi, a parlare di continuo di corse, di piloti, di cazzate».
Intanto Vale ha davanti a sé un piatto di carne e patatine fritte con ketchup e un bicchiere di vino rosso. Si toglie la giacca di jeans e resta in t-shirt. Manda un audio a un gruppo whatsapp, dove descrive le sue sensazioni in pista. Mentre mangiamo chiede come stanno andando i ragazzi dell’Academy, in Giappone per la MotoGP, poi aggiunge: «Oh, Max ma ti ricordi quella volta a Tokyo?».
Max spalanca gli occhi, deglutisce e si mette a ridere.
Insieme raccontano un aneddoto pazzesco.
Vale: «Nel pieno della rivalità con Lorenzo, dopo la gara eravamo così incazzati che rifiutammo di prendere il bus per l’aeroporto con tutto il team».
Max: «Ci siamo andati in macchina, da soli».
Vale: «E ci dicevano: “Siete sicuri? Guardate che non capite le indicazioni”».
Max: «E noi: “Ma che vuoi che sia!” E siamo partiti, guardando gli aerei sopra le nostre teste e dicevamo: “Basta seguire la direzione”».
Vale: «Quando siamo arrivati all’aeroporto, abbiamo scoperto che non era quello giusto. Il nostro era a un’ora e mezza di distanza! E noi a fare i fenomeni…».
A quel punto arriva Vincent Vosse, il Team Principal, l’uomo che ha sempre voluto Vale. Alto un metro e novanta, camicia bianca, occhiali da vista e coppola in testa. Vale si alza e lo abbraccia. Poi restano in piedi a chiacchierare.
Albi mi introduce a Vincent: «Ne abbiamo incontrati tanti, prima di decidere, ma Vincent ci ha convinti più degli altri. È uno della vecchia scuola: da ex pilota conosce tutti i piloti di tutte le epoche, è un super appassionato. Sa che creare un ambiente in cui star bene è fondamentale. E con lui non parlavamo mai di marketing, sempre e solo di corse, a Vale è piaciuto tantissimo. Quando ci ha cercato ha detto: “Seguo da sempre quello che Vale fa sulle quattro ruote, secondo me con un programma di test serio e un team alle spalle può diventare uno dei migliori”. Ci siamo fidati, e abbiamo fatto bene».
LA PRIMA CENA Vale torna a sedersi e nel frattempo è cominciata Italia-Nuova Zelanda di rugby. Max è un tifoso e la commenta piuttosto teso, fissando il televisore posizionato al centro del dehor, davanti al nostro tavolo.
Faccio qualche domanda a Valentino.
Adesso che il tuo compagno è il tuo primo alleato, chi è il rivale?
«Non ce n’è uno di preciso. Studio i più forti, Maxim Martin, Dries Vanthoor, Marcello, poi ci sono Pierguidi e Fuoco della Ferrari. Qui è tutto più impersonale perché ci sono centocinquanta piloti, in MotoGP invece stai sempre con quei venti di cui sai tutto, vita, morte e miracoli e poi in pista li vedi praticamente negli occhi. Adesso faccio mezza gara a sportellate con uno e non so neanche chi è. E poi, sai qual è il problema? Ora fare polemica con qualcuno, è troppo impegnativo. Trenta siti che riprendono quello che hai detto, la notizia rimbalza da tutte le parti, è uno stress. Prima litigare aveva un suo senso. Ti offendevi, ma dopo due giorni era finita. Adesso è tutto amplificato. Perché secondo me il sentimento fra piloti è lo stesso di vent’anni fa, cioè si stanno sul cazzo tutti. Ognuno ha quei due, tre che proprio odia, però non lo dicono o non vivono più».
I tuoi riti sono cambiati tanto o sei sempre molto superstizioso?
«Ho diminuito un sacco. Era diventato un incubo, da psicopatico. Prima, se qualcosa non andava, entravo in paranoia, ora invece la prendo con più tranquillità».
E la musica invece? Metti sempre Vasco?
«È cambiato anche questo. Prima, di domenica ascoltavamo Siamo solo noi, ma proprio tutto il disco. Adesso nel motorhome guardo la tele, magari Sky e la MotoGP, tipo come viene viene».
Ci interrompiamo perché la Nuova Zelanda sta massacrando l’Italia e dagli altri tavoli cominciano a perculare Max che non sta allo scherzo e, dopo l’ennesima meta, si alza e se ne va tra le risate generali.
Riprendo a parlare con Vale.
Raccontami dei libri che hai postato sul tuo profilo Instagram.
«Mi piacciono molto i gialli. Ho letto quello di Salvatore Esposito di Gomorra e quello di Maggioni, La calda estate, un giallo su Milano e adesso uno bello di Nicola Lagioia, La città dei vivi. Questo mi sta piacendo di brutto, va dritto al punto».
Mi chiede se anche io ho dei figli e quando scopre che ne ho quattro è lui a farmi una domande: «Ma è vero che avere una bimba dà più gusto di un maschio?». Gli rispondo e lui commenta: «Ah allora no, è solo diverso, ma è lo stesso una figata, mi piacerebbe averne uno tra un po’, vediamo».
Riceve una telefonata. È Francesca, la sua compagna, gli racconta che Giulietta ha la febbre. Quando riaggancia commenta: «Povera la mia tartufina».
La mia tartufina, così chiama la figlia. Splendido.
Sono le undici e mezza e Vale dice: «Dai, andiamo a letto».
Mi spiegano che l'indomani la sveglia è fissata alle sette. Molto presto per chi conosce Vale, però c’è la Sprint di MotoGP e lui vuole vederla. Poi alle 8:45 c’è il primo turno di pre qualifiche.
SABATO
IL CAMPO D’ASFALTO L’hotel in cui dormo è a Mollet del Valles, un piccolo paese a nord di Barcellona. Davanti, c’è un campetto di asfalto con canestri e porte da calcio. Chiaramente, alle otto e un quarto, non gioca nessuno. Invece il paddock è già pieno e fuori dall’hospitality del team WRT, nella zona transennata, una ventina di fan aspettano Vale. Uno di loro mi racconta che tra poco aprirà un canale YouTube dove parlerà solo di Valentino e mi fa vedere le foto della sua casa, completamente dedicata a Vale, con poster, immagini, cimeli ovunque. Aspetto fuori dal motorhome e dopo pochi minuti, eccolo: Samu davanti, lui in mezzo, Max dietro. Mi torna in mente un dettaglio: ieri, a cena in t-shirt, rilassato e senza ansie, Vale aveva tutta l’aria di un normalissimo ragazzo, mentre a vederlo adesso, con un passo più deciso, gli stivali e la tuta indossata per metà, la maglietta bianca, termica, a maniche lunghe, gli occhiali da sole, il sorriso, il cappellino, il petto in fuori… be’, fa l’effetto Clark Kent e Superman. Vale, per la gente comune, è la cosa più prossima a un supereroe.
Cami: «Vale è una rockstar»
Li seguo nel box, attorno i fan lo acclamano. Il box è dove tutto accade. Nel box ti devi muovere come un ninja. Puoi pure essere il capo del team ma se sei in mezzo mentre stanno trasportando un treno di gomme, ti urtano e ti spostano di peso, senza aprire bocca. Io seguo Albi che, come al solito, mi spiega le cose ridendo. «Sono bestie, i meccanici, lo vedi come sono grossi? E se stai tra i coglioni ti passano vicino e ti fissano. È così perché qualsiasi decimo risparmiato può essere prezioso: ad esempio, recuperare un secondo e mezzo al cambio gomme, sai cosa vuol dire? A Misano abbiamo vinto la gara propria con un sorpasso fatto al box». Albi punta il dito verso uno schermo: «Lo vedi quel dato? Quello verde». Lo schermo è pieno di numeri e di scritte ma solo un punto è verde, in alto a sinistra. «Ti dice che stai andando più forte e di quanto rispetto al tuo giro migliore. Se diventa giallo, stai calando. E poi guarda…». Scatta di lato, verso un altro monitor. «In 1 secondo e 30 ci sono ventidue piloti. Anche se in un giro vai più veloce di tre decimi sei comunque quindicesimo. Che palle eh?». Accanto a noi c’è Augusto Farfus, il terzo pilota: capelli lisci a caschetto, si muove nel box come se fosse a un chiringuito a Ibiza. «Vorrei avere la sua serenità» ride Albi. «È un pilota storico BMW, una colonna, ha una esperienza incredibile e sta sviluppando la Evo 2025. Io invece sono uno che i weekend di gara per certi versi li vive male. Prendo degli antinfiammatori perché mi viene il mal di testa».
Quando arriva il momento del cambio pilota, mi appiccico a una colonna sperando di diventare invisibile. Due meccanici danzano attorno alla macchina con un mix di forza, tecnica e ignoranza. In 11 secondi cambiano tutte e quattro le gomme. Sì, aveva ragione Albi, è una roba da animali. Finita la danza, l’auto resta ferma. Non capisco e Albi mi spiega: «Per ripartire aspettano il suo segnale». E indica un ragazzo moro, palestrato, in piedi con un paio di cuffie. È Raphael Hess, il capotecnico. A un certo punto fa un segno con la mano sinistra, tipo benedizione. «Ti fa tornare in pista solo quando individua un buco dove infilarti, perché con tutte queste macchine, trovare un momento senza nessuno davanti, ti fa andare più forte».
Vale, finita la sua sessione di prove, resta nel box. Max gli passa l’Enervit, Vale lo tira giù, poi si mordicchia una pellicina sul mignolo, beve dalla borraccia, parla con Maxime, si confronta con Vincent, studia i dati sui monitor.
Finita la sessione rientra nel motorhome e, passando, si ferma a firmare gli autografi. Dietro la transenna ora ci saranno più di una cinquantina di persone. Compresa una donna che piange, un asiatico con un asciugamano in testa per ripararsi dal sole, diverse ragazze che lo fissano con lo sguardo da innamorate perse.
Vale pranza alle 11:45. Max gli porta nel motorhome riso bianco, verdure e carne. Alle 14:30 c’è un’altra sessione di pre qualifiche, poi alle 16:30 l’unica conferenza stampa. E anche qui l’effetto è straniante: i giornalisti che lo ascoltano sono appena undici, le telecamere a riprenderlo pochissime. Eppure per lui, per Camilla e Albi non è affatto un problema, anzi: è una figata, una liberazione. Si infastidiscono, giusto un attimo, quando le domande della tv spagnola sono tutte sulla MotoGP, su Marquez e il suo addio alla Honda, e nemmeno una sul feeling di Vale in questo weekend.
MAX SCAPPA Torno in hospitality alle 20 e in un tavolino, da solo al computer, trovo Samu. Ne approfitto. Gli dico che ho saputo della volta in cui si è incazzato per proteggere Vale. «Sono un tipo calmo e i fan gli sono molto affezionati. Il mio lavoro è permettere che tutti possano avere il proprio momento di attenzione da lui senza disturbarlo». Poi si mette a ridere: «Per trovare i collaboratori mi rivolgo a servizi di sicurezza locali, che poi coordino: a volte devo stare attento anche a loro. Così ho imparato: appena arrivano faccio fare a tutti una foto con Vale, così poi possono concentrarsi soltanto sul lavoro». Cerco di intercettare anche Max, seduto a un altro tavolo. Ma appena gli dico che vorrei rivolgergli due domande si alza e scappa via. Niente da fare.
Cami: «La parola chiave di Vale è rough: istintivo»
LA SECONDA CENA Vale scende dal motorhome alle 21:30, Samu unisce due tavoli: stasera mangiamo anche con Maxime Martine e Vincent Vosse. Vale, dal suo cellulare, si sintonizza su Sky per guardare il secondo tempo di Inter-Salernitana. Durante la cena regna sovrano il cazzeggio. Capisco meglio quando Albi mi diceva che Vincent sa anche divertirsi: è il capo banda, non è mai serio, con Vale parlano di fare un party finale della stagione, di musica, di corse e guardano l’ultima caduta di Pecco, mentre Vale commenta come se si facesse male lui: «Ahia, le caviglie diobo’, come ha fatto a non farsi niente». Poi l’argomento della tavola diventa la ATO, un campionato immaginario che farebbe il verso alla SRO, l’organizzazione che gestisce il GT World Challenge Europe. SRO sta per Stéphane Ratel Organization, dal nome del fondatore. ATO invece è l’acronimo di Alberto Tebaldi Organization. Albi ride: «Prima o poi, ci diciamo, faremo un campionato solo nostro con regole solo nostre. Allora, la prima è che la mattina non si corre». E già qui ridiamo tutti. Un campionato a misura di Vale. «Seconda regola: si corre solo in alcune piste, le più belle. Terza: tutte le macchine devono essere uguali. Sai che figata». Vale, tra un gol e l’altro di Lautaro Martinez (quella sera ne fa 4), chiama Francesca e la sua tartufina per capire come procede la febbre, parla della chat di tifosi interisti vip dove è stato inserito, commentando i vari messaggi che gli arrivano, e mi chiede delle polemiche che ci sono in Italia in questi giorni per lo spot Esselunga. Poi assisto alla selezione che lui e Camilla fanno per i social. Scelgono piuttosto velocemente quali contenuti pubblicare per reel e stories. Per la musica è meno facile, Vale vuole qualcosa di giamaicano e alla fine decide per Slave Driver, Bob Marley & The Wailers. «Figo sto titolo» commenta. Domani sarà il primo a partire nelle qualifiche e il primo in gara.
Quali sono i pro e i contro di fare la partenza?
«Solitamente si lascia il più veloce dei tre per terzo perché, se nell’ultima parte di gara entra una safety car, quello più forte magari fa la differenza. Il primo è importante perché fa la partenza, però solitamente dura un po’ meno, circa 55 minuti, mentre gli altri due 1 ora e cinque minuti. Augusto sarà secondo e Maxim l’ultimo. La caratteristica di questo campionato è che capire dove ci si trova è impossibile finché si fanno le qualifiche, perché non si sa quanta benzina hanno a bordo le macchine e come sono messe le gomme che utilizzano. In MotoGP invece il tuo potenziale lo capisci già dalle prove libere».
A Misano cosa è scattato?
«Prima di tutto, nelle piste che ho già fatto in moto, di solito guido più forte. Però Misano la conosco proprio tanto. È stato figo. Mi ha dato gusto quasi quanto vincere una gara di MotoGP».
Quasi?
«Eh, in MotoGP di più, ma anche per il contesto, c’è più gente. E poi lo sforzo per vincere una gara di MotoGP è ancora più grande. Però c’erano tutti i miei amici, abbiamo fatto un casino».
Magari ci torni come wild card in MotoGP. Ogni tanto qualcuno lo dice…
«Impossibile. Al massimo posso tornare come commentatore».
Scherzi?
«A me piacerebbe farlo. Soprattutto la Sprint con Sanchio e Meda, sarebbe divertente. Però quando vado alle gare mi piace ancora seguirle in pista, dal vivo vedi quell’ultimo pelo».
Però Vale che commenta sarebbe tanta roba.
«È che farlo sempre è un grande impegno, un lavoro. Però una volta ogni tanto mi piacerebbe. Prima o poi succederà».
Anche stasera abbiamo fatto tardi, è mezzanotte passata. Vincent dubita che Valentino si sveglierà alle sette domani, lui gli assicura di sì perché vuole seguire la gara di MotoGP alle 8. Poi colazione e preparazione per le qualifiche.
E, soprattutto, la gara.