È una questione di sensazioni, di atteggiamenti, di sguardi. Lo capisci subito che c’è un’altra energia. È domenica. Ore 9. La mattina ci sono le qualifiche, il pomeriggio la gara. L’unica eccezione è sempre Furfas che, come il giorno prima, sembra al bancone di un bar che aspetta un cappuccino: si stira, sbadiglia, ha la flemma di un vacanziero. Ma intorno a lui, nel box, la tensione e la frenesia ti mettono ansia.
Vale arriva dal retrobox già col casco.
Vale sale subito in auto.
Vale parte.
Albi se ne sta qualche secondo in stile umarell con le braccia dietro la schiena a fissare i monitor. Poi si gratta la testa, incrocia le braccia, si tocca il mento, va nel retrobox e torna con un pugno di noccioline in mano.
Max è peggio. Non riesce a stare fermo, fa una danza misteriosa fatta di piccoli passi sul posto, tocca le sedie, si guarda in giro. Vale è tredicesimo, poi sedicesimo, slitta in posizione ventuno e infine diventa ventottesimo. L’altra BMW ufficiale è un secondo più forte. Le cose non stanno andando bene.
Alla fine Vale torna nei box, scende, gli va incontro Farfus, poi dà le sue impressioni a Maxime. Max prende il suo casco, il suo bite, gli sfila la tuta e gli passa, nell’ordine: un panno giallo, con il quale Vale si asciuga il sudore, un cappellino, infine una borraccia. Gesti fatti con estrema naturalezza, abitudini regolari, sempre uguali, ripetute nel tempo. La pausa tra i turni di qualifica dura cinque minuti. Vale controlla i tempi di Farfus, leggermente migliori dei suoi, non di molto. Farfus comunque finisce la sua ora diciassettesimo. La macchina ha un setting sbagliato, non performa. Il nervosismo è palpabile, soprattutto quello di Max, l’unico che fa avanti e indietro e prende rotoli di carta celeste, nascosti dietro una parete, poi si asciuga il sudore sulle guance, sulla fronte, sulle sopracciglia. O meglio: è l’unico a non essere un meccanico o un pilota, perché loro sì che sono giustificati a sudare come fontane, hanno casco e tuta! Max no, indossa pantaloncini e maglietta a maniche corte. Eppure suda lo stesso come un dannato.
Nella tensione del Q3, però, a un certo punto Vale si avvicina a Max. Gli sussurra qualcosa, chiamano Albi, guardano tutti e tre in direzione di una coppia e scoppiano a ridere. Quel che si definisce: sdrammatizzare. Chissà cosa si sono detti. Maxime Martin chiude ventitreesimo. Con la media dei tre tempi, in gara, partiranno in diciannovesima posizione.
ORE 12 Dopo le qualifiche è il momento degli autografi. Sin dalla mattina i fan sono ormai centinaia. Ora si trovano tutti tra l’hospitality e il corridoio tra i due motorhome che porta ai box. Sono più che a Misano, dice qualcuno. Forse a Valencia erano più numerosi, aggiunge un altro. In ogni caso la folla arriva fino alla fine del paddock.
Per i bodyguard è il momento più delicato: la fila deve scorrere con velocità.
Tuttavia Samu trova il tempo per girarsi e dirmi: «L’ottanta percento che vedi ora, continua ad aspettare Vale qui anche durante la gara. Insomma, dico io, hai pagato il biglietto e non ti guardi nemmeno la partenza?».
Nel box c'è gente abituata a parlarsi bocca a bocca o bocca a orecchie. In ogni caso fiato su fiato: se non sei intimo lo diventi
ORE 14 La pausa pranzo è brevissima, il tempo di mangiare un panino ed è già il momento del brief pre gara. Ripensando alla folla in fila, chiedo ad Albi qual è stato il momento in cui ha percepito che la popolarità di Vale stava diventando qualcosa di immenso. «Ah, lo so con certezza. Ce ne sono stati due. Dopo la gara di Welkomm, la prima con Yamaha, Vale era già considerato Vale, ma nessuno avrebbe mai immaginato che, lasciata la Honda e salito su una moto allora mediocre, sarebbe riuscito a compiere quell’impresa. Si scatenò un delirio. E poi nel 2015. L’ingiustizia subita da Marquez l’ha avvicinato ancora di più alla gente. L’anno successivo a Silverstone ovunque c'erano le magliette #iostoconVale. A Misano 2016 vedevi la gente che dall’autostrada arrivava in circuito a piedi». Ormai ci stiamo avvicinando alla gara e lo capiamo quando ci raggiunge Max: ha tre cubetti di ghiaccio in mano e se li mette in bocca, li succhia un po’, poi li riprende, se li spalma sulle braccia, poi in viso, poi se li rimette in bocca. È agitatissimo.
Questa volta, però, vado dritto con una domanda: è sempre come la prima volta?
Lui mi fissa. «Forse peggio, perché so cosa mi aspetta: tensione, ansia, rabbia».
Ha un walkie talkie che spunta dal taschino, con il quale comunica soprattutto con Samu. Ma Cami mi racconta che all’inizio lo avevano tutti e che si chiamavano in codice, come ne La casa di carta. Max era Cento, dal nome del comune dove abita, in provincia di Ferrara. Lei era Tavullia, Samu invece Palermo, la città di origine di suo padre. «A Spa abbiamo esagerato, non dormivamo da quarantott’ore, eravamo fuori di testa e ci facevamo gli agguati. Magari eri riuscito ad appisolarti un po’ e sentivi dal walkie talkie: Tavullia, stai dormendo? Fatti vedere!».
ORE 14:40 Nel box c'è gente abituata a parlarsi bocca a bocca o bocca a orecchie. In ogni caso fiato su fiato: se non sei intimo lo diventi.
Vale entra nel box già col casco, si sistema la tuta sull’inguine e sale in auto. Chissà, forse è una di quelle superstizioni sopravvissute alla MotoGP.
Parte e va a posizionarsi in griglia. Max ha dimenticato gli occhiali da sole di Vale nella Casa 46 e Albi va a prenderli. Nell’attesa, Max tortura altri cubetti di ghiaccio: li maneggia, li stringe, se li infila in bocca e smascella. Quando Albi torna, Max prende gli occhiali e scatta verso la pit lane. Provo a seguirlo ma lo perdo in un attimo. Mi ritrovo in mezzo a una marea di gente che cammina tutta nella stessa direzione, tra urla, macchine che ti sfiorano, rumori che mi rimbombano nella cervicale. Sto andando in pista ed è un fottuto delirio.
Una volta dentro, non so bene come trovare la griglia di Vale. Magari basta andare dove c’è più casino. In effetti è così.
Una delle guardie ormai mi conosce e mi lascia passare. Vale è appena uscito dall’auto ed è circondato da Samu, Cami e Max che lo sta aiutando a togliersi la parte sopra della tuta, poi gli passano un gilet da mettere sopra alla maglietta bianca.
Vale prende la borraccia, si disseta, si toglie il bite e lo ripone nel suo contenitore, si mette il cappellino e gli occhiali da sole. Intanto Albi gli fa ombra con un ombrello neroazzurro. Arriva il capotecnico, Raphael. Vale saluta il pubblico, si fa intervistare, prende un pacca di incoraggiamento da Farfus, continua a bere, si abbraccia con Maxime e poi deve rifare la vestizione: prima si sfila il gilet, poi infila il sottocasco, Max gli gira intorno e lo aiuta a infilare le braccia nella tuta, Vale si tira su la zip e prende il casco con la protezione del collo. Sempre Max, da dietro, lo assiste nella chiusura. Adesso è il momento dei guanti, prima il sinistro, poi il destro.
Gli steward cominciano a fischiare, bisogna lasciare la pista. Vale si dà il cinque con Albi, che lo segue mentre fa il giro dell’auto ed entra dalla parte del volante. Gli steward fischiano sempre più forte. Vale si mette le cinture, posa le mani sul volante, i tecnici fanno gli ultimi settaggi. Resta lì solo Max, fino al secondo prima della partenza.
Io e Albi torniamo verso i box. Ed è qui che mi dice: «Ma come faremo quando Vale smetterà? Come si fa a stare senza l’adrenalina prima della partenza, quella sensazione che ti fa salire i brividi e non si può spiegare? Come si fa a stare senza quella roba lì?».
La pit lane è un fottuto delirio: urla, macchine che ti sfiorano, rumori che mi rimbombano nella cervicale
ORE 15 Fin dalla prima curva, sul monitor che proietta la gara è come se le macchine fossero una sopra l’altra. Sono così tante che fatico a distinguere perfino i numeri. Albi si gratta il collo, ha le guance rosse. A un certo punto Max e Albi escono dal box e vanno nel motorhome. Vale è diciannovesimo, il suo miglior giro è il settimo. Entra la safety car e Farfus dice: «Wow».
Tempo due giri e ne entra un’altra. Vale si riaggrega con quelli davanti. Peccato però che una volta ripartiti va in testa coda.
Max si leva le cuffie e tira un cazzotto a una parete. Non capisco cosa stia succedendo, dato che Vale non rientra nel box. Quando alla fine arriva, Max gli va incontro e gli cinge un braccio intorno alla vita, come a dire: io sto con lui. Con Vale. Nel bene. Nel male. Che nessuno si azzardi a fiatare.
E Vale ha due occhi che sono una bestemmia. Albi mi raggiunge: «Alla curva 7 un altro pilota, Chaves, lo ha toccato ma non è successo niente. Alla 10 Vale, provando il contro sorpasso, ha toccato Chaves che è andato in testa coda e si è preso dieci secondi di penalità: un’infinità. Così deve essersi innervosito perché al giro successivo, sempre alla 7, è finito nella ghiaia. Dai box gli hanno detto di scendere dalla macchina, poi di risalire, ecco perché ci ha messo tanto a tornare». Già, ci vuole coraggio e umiltà a uscire dalla comfort zone, dove sei il Re, e andare dove dovrai metterti in discussione. Anche se ti chiami Valentino Rossi. Maxime riparte solo che, poco dopo, si ferma anche lui. Ritiro.
«Che gara di merda» commenta Albi.
ORE 18:20 Il risultato condiziona l’umore di tutti. Vale e gli altri si rifugiano nella Casa 46 e guardano la fine della gara da lì. La folla fuori dall’hospitality aspetta Valentino per l’ultima sessione di autografi e di selfie e lui resta sui gradini dell’hospitality così i fan, in processione, gli vanno incontro poi lasciano il posto a quelli dietro. Anche dentro l’hospitality, gli ospiti del team, tutti in piedi, aspettano che Vale rientri per una foto e una firma. Mi ricordano che la prima volta che vidi Valentino restai scioccato: stava mangiando nell’hospitality Yamaha del Mugello, anno 2007, e appena si alzò tutti ma proprio tutti i presenti si alzarono per rincorrerlo. Credo sia davvero difficile sapere quanto tutto questo possa gasarti e quanto possa diventare una rottura di coglioni.
Vado nel retro e saluto Camilla e Albi che sono pronti per prendere il taxi e raggiungere l’aeroporto. Albi sorride comunque, tuttavia è giù di morale e quasi si scusa con me per com’è andata la gara. In realtà sono io a essere dispiaciuto, in fondo per me è stato tutto, comunque, una figata. Dopo un po’ arriva anche Vale. Per la prima volta da quando lo conosco, ci abbracciamo.
Anche lui mi dice: «Oh, mi dispiace che è andata così». Però, rispetto a Max, Albi e Camilla, sembra il più rilassato. Ci riabbracciamo e salutiamo.
Recupero la Cinquecento arancione e, con un vago senso di tristezza, torno in hotel. Per come sto io, posso solo immaginare quanto sono amareggiati loro.
EPILOGO
Vedo un campo di asfalto pieno di ragazzi che giocano a calcio a petto nudo o con le maglie di Messi e del Brasile. Ed è qui che, d’improvviso, capisco
Quando torno in hotel il campo di asfalto è pieno di ragazzi che giocano a calcio a petto nudo mentre altri indossano le maglie di Messi all'Inter Miami, dell'Argentina o la numero 10 del Brasile. Litigano per un rigore non dato e poi cadono, si sbucciano, ridono e si incazzano. Mi fermo a guardarli per un po’, poi salgo in camera. Più tardi, anche se sto crollando dal sonno, guardo l’ultima puntata di un documentario intitolato Zone blu, un reportage nelle aree sparse per il mondo dove c’è un’alta percentuale di centenari rispetto alla media. La domanda in cerca di risposta è: qual è il segreto della longevità? Queste zone, anche se lontanissime una dall’altra, sono accomunate da una serie di caratteristiche, tra cui: conservare l’allegria qualsiasi cosa accada, avere sempre un obiettivo e fare parte di una comunità dove gli altri si prendono cura di te e tu degli altri.
Ed è qui che, d’improvviso, connetto i punti. E capisco.
Valentino Rossi è Valentino Rossi perché tutte queste cose lui le ha interiorizzate senza che nessuno gliele abbia mai spiegate.
È per questo che si circonda di gente che ride continuamente, consapevole dell’importanza di godersi il momento tatuandosi oggi è sempre.
Lui sa, forse da sempre, che per fare le corse al meglio è importante vivere in un ambiente piacevole e lavorare con persone con cui sentirsi in sintonia. Perché - per dare tutto in tre giorni - non c’è spazio per le incomprensioni.
Vale è il punto di riferimento di una comunità che, senza di lui, non potrebbe essere così unita, con l’Academy e tutti quelli che si ritrovano al ranch nello stesso spirito di chi gioca a calcio in un campo di asfalto e dà l’anima per qualcosa che non sa nemmeno bene cos’è. Perché è sempre questione di giocare per il gusto di giocare, correre per il gusto di farlo. Perché un pilota è un pilota, prima e dopo tutto. Gli altri possono pure provarci, a farti diventare serio, impostato, ma tu sei quello lì. Magari un giorno Vale vincerà il WEC e per chiunque sarà ancora di più un mito. Male che andrà, per l’ennesima volta, avrà tracciato una strada. Io ce li vedo, tra qualche anno, Vale e i vari Pecco, Bez, Uccio e gli altri a correre tutti insieme e a sportellarsi come scemi in un campionato gestito dalla Alberto Tebaldi Organization.
Per Vale - e l’ho capito con chiarezza in questi giorni passati con lui - non importa se ci sono i fan a inseguirlo, i microfoni a chiedergli come sta. L’essenza di ciò che è, sta da un’altra parte. Il motivo che spinge quelli come lui a sfidarsi per strada come in una finale, a giocarsi un mondiale in moto, a dare tutto per vincere in una pista sconosciuta coi tuoi amici: be’, è un altro. Ed è quella sensazione che non ha una parola precisa per essere descritta.
È Quella-Roba-Lì.