Charles Leclerc seduto, la testa bassa, a riprendere fiato. Un po’ come se nel fuoco ci fosse stato anche lui, e ne fosse venuto fuori. Tra le tante immagini spettacolari che raccontano il miracolo del Bahrain, quella del monegasco - distrutto e sollevato - ci dice qualcosa in più.
Neanche si vede in faccia, protetto dal casco e nascosto nel caos del paddock, ma sembra di averlo vicino. Nel team radio di poco prima era terrorizzato, giovane come non siamo abituati a vederlo: “Ho visto il fuoco negli specchietti, ditemi qualcosa, vi prego”.
Impotente, come noi, a fare i conti con quello che sappiamo della Formula 1: quando distolgono le immagini in diretta, così, quando nessuno sa cosa dire, così, allora c’è qualcosa che non va.
“È Grosjean” dicono a Leclerc in team radio. Romain Grosjean, uno dei veterani della Formula 1, in pista dal 2009. Gli mancano tre gare al ritiro: Bahrain 1, Bahrain 2, Abu Dhabi. E poi basta, a 34 anni, casco appeso al chiodo.
Quindi non può finire così, a tre passi del ritiro dopo una vita al limite, viene da dire. Non con una moglie e dei bambini a casa, magari davanti alla televisione ad aspettare, come Leclerc in team radio, come tutti noi.
Poi Grosjean è francese, e la Francia ha seppellito abbastanza ragazzi negli ultimi anni per colpa di questo sport. Jules Bianchi prima, amico del connazionale Grosjean, Anthoine Hubert poi, poco più di un anno fa.
“No, per favore” chiede Leclerc, come a dire: non un altro, non ancora. Che la Formula 1 è sicura, sicurissima, il fuoco non è normale, non così almeno.
E poi, prima che qualcuno riesca ad avere notizie, una telecamera torna su quel punto. E lo inquadrano subito, per dirci di guardarlo in faccia per crederci davvero. Prima di vedere il quadro disperato di quell’inferno, prima di poter fare i conti con quello che è successo: la monoposto spezzata in due, il guardrail dilaniato, il fuoco ancora da spegnere. Inquadrano lui, quello che dall’inferno ci è uscito sulle proprie gambe. Ha gli occhi spiritati, sembra un personaggio dantesco, non distoglie gli occhi dal fuoco.
Romain - ci chiediamo guardandolo - ma come hai fatto ad uscire da lì?
Lo scopriamo nell’ora successiva, bombardati dallo stesso replay e dallo scenario apocalittico di quella fuga. Grosjean sta bene, fanno sapere, ha le mani bruciate, qualche costola dolorante, e anche le caviglie sono scottate.
28 secondi ci ha messo, ad uscire dall’inferno. Chissà a lui quanti sono sembrati, quei 28 secondi. Da solo, a fare i conti con il fuoco.
Nell’impatto ha perso una scarpa e quel guardrail lo ha superato con un piede nudo, solo una calza a proteggerlo. Un dettaglio così, insignificante, in un’immagine che farà la storia di questo sport.
Sfidare il fuoco, a piedi nudi.
A me è servita una notte intera per mettere insieme i pezzi di questa storia, mentre ieri lavoravo per racimolarli: come si chiama il pilota della medical car? / Ma quindi l’Halo ha funzionato? / Ha fratture o solo scottature? / La gara riparte? / Gli altri piloti cosa dicono?
Oggi invece è il giorno in cui si mettono insieme i pezzi. Distrutti, come un Leclerc bambino, seduto a fare i conti con la consapevolezza di aver assistito al miracolo di un uomo risorto, scalzo, dal fuoco. In 28 secondi.
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