Tre mesi fa, quasi. Venti secondi. Una vita. Un ricordo. Quello di Samuele Cenciarelli, l'amico di Willy Duarte Monteiro, massacrato di botte nella notte tra il 5 e il 6 settembre, quella maledetta notte che ha fatto scoprire a tutti un'altra vicenda che sa di male, di vuoto, di limite superato. Poteva essere lui, Willy. Solo che lui, una volta caduto a terra, lo hanno lasciato lì, contro Willy invece si sono accaniti. È stato intervistato da Repubblica, ha parlato per la prima volta, anche lui ha 21 anni, come Willy, però lui ama le moto, Valentino Rossi e lavora in una ditta di autoricambi. Legge il Bushido, il codice di condotta dei Samurai, e davanti ai carabinieri ha avuto il coraggio che ad altri è mancato. Come Willy, quella sera, che è intervenuto per difendere un suo amico. Samuele ha raccontato tutto, ha fatto nomi e cognomi, "lo dovevo a Willy", ha detto. Quando chiude gli occhi Samuele ha due immagini che gli appaiono nel buio e non se ne vanno. Willy disteso sull'asfalto, col sangue che gli esce dalla bocca, e Willy nella camera ardente. "Era freddo e quel freddo adesso me lo sento sulle dita".
Due immagini e un rimorso: "Quella notte eravamo a Colleferro per passare una serata tranquilla, sono stato io a proporglielo, accidenti a me". Stavano andando a casa, poi Willy ha visto il loro amico di scuola che litigava con due di Artena. Non si picchiavano, urlavano e basta. Willy si è avvicinato per calmarli ma sono arrivati anche quegli altri due, i fratelli Gabriele e Marco Bianchi, gli assassini. "Mi sono passati accanto come ombre, all'inizio manco li ho visti, si sono lanciati tra i ragazzi e hanno cominciato a menare. Hanno dichiarato di essere intervenuti per sedare una rissa e di non aver toccato Willy. Colossali bugie. Uno di loro calpestava il suo corpo inerme". Il suo racconto descrive l'impotenza, la parola più importante è una, "ma": "Gridavo che non c'entravamo niente ma non mi ascoltavano. Ho provato a tirar via Willy ma non ce l'ho fatta. È durato pochissimo, circa 20 secondi. Nessuno è intervenuto, avevano tutti paura. Dopo il pestaggio mi sono buttato su Willy, gli ho spostato la lingua, cercavo di parlargli ma anch'io respiravo a fatica". Come succede negli incubi, solo che a Tommaso gli avevano dato un calcio alla gola e gli avevano colpito il pomo di adamo, di striscio. "L'ambulanza ci ha messo 40 minuti ad arrivare, un ritardo inspiegabile". Sarebbe cambiato poco. "Willy è morto subito". E aggiunge una cosa che spinge in dentro il pomo di adamo, ma di chi legge stavolta: "Spero non si sia accorto di niente".
Aggiunge una richiesta: "Continuiamo a parlare di Willy. Già adesso nessuno lo fa più. E sono già successi casi simili". Una speranza: "Spero che i fratelli Bianchi paghino tutto. Se fosse per me farei dipingere sul muro della loro cella il volto di Willy sorridente. Un'immagine indelebile, così da costringerli a guardarlo negli occhi ogni giorno". E una terza immagine. Il ricordo. Il giornalista chiede, c'è qualcosa che non è riuscito a dirgli? "Sono felice", risponde Samuele. "Felice di averlo portato almeno una volta sulla moto, la scorsa estate. Siamo andati a Rocca di Cave. Era bello avere Willy con me, pesava pochissimo e seguiva le curve, un passeggero perfetto. È il ricordo più bello che ho". Con la speranza che questa immagine possa durare di più delle altre due, quando chiude gli occhi. A questo servono le cose belle, e andare in giro in moto con un amico sicuramente lo è.
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