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Caro Mario, che problema avete con le interviste (degli altri)?

Alberto Capra

3 maggio 2022

Caro Mario, che problema avete con le interviste (degli altri)?
Mario Draghi ha messo il carico sull'ondata di polemiche che stanno investendo Giuseppe Brindisi e la sua intervista a Sergej Viktorovič Lavrov, nel corso dell'ultima puntata di Zona Bianca. Un vizio, quello di spiegare agli altri il proprio lavoro, che nel caso del giornalismo sembra sedurre, in maniera abbastanza curiosa, soprattutto chi si erge quotidianamente a paladino della democrazia e della libertà di espressione. Ma la verità è che l'intervista a Lavrov rappresenta uno scoop di portata mondiale, un "colpo" di cui non a caso stiamo ancora parlando

di Alberto Capra Alberto Capra

Ci risiamo. L’unico Paese in grado di esprimere 60 milioni di allenatori e 60 milioni di esperti in geopolitica (già 60 milioni di virologi) ha sentenziato: LAVROV NON DOVEVA ESSERE INTERVISTATO. L’ha detto, ieri sera, anche il Premier Draghi: "La televisione trasmette liberamente queste opinioni" ma quello di Lavrov "è stato un comizio”. È giusto "accettare di invitare una persona che chiede di essere intervistata senza nessun contraddittorio”? “Non è granché professionalmente, fa venire in mente strane idee". NON È UN GRANCHÉ PROFESSIONALMENTE, tuona il giornalista Mario Draghi.

Un’opinione comune a molti dei suoi più ferventi oppositori, compresi coloro che, in maniera abbastanza curiosa, si ergono quotidianamente a paladini della democrazia e della libertà, ma anche dell’inclusività, del relativismo e di pressoché ogni forma di pensiero che si opponga anche al più timido tentativo di sostenere l’esistenza di verità assolute.

Si tratta, d’altra parte, di un vizio ricorrente, quando parliamo di interviste e del come dovrebbero essere fatte. Ricordate le polemiche per quella dell’ottimo Bruno Vespa, al figlio di Riina? Per non parlare dei rimbrotti a Fabio Fazio, condannato a subire lezioni di giornalismo anche quando riesce ad avere un’esclusiva da Barack Obama, o del recente caso dell’intervista a Papa Francesco, ad opera di Lorena Bianchetti. Tutti, ma proprio tutti, hanno un opinione e al posto degli intervistatori sarebbero stati in grado di fare meglio.

Ora, partiamo dalle basi. Che mestiere fa un giornalista? Diffonde notizie. Cosa sono le notizie? Sono quelle informazioni che diventano note nel momento in cui vengono diffuse e che, grazie a quella stessa opera di diffusione acquistano un peso (più o meno grande) nel dibattito pubblico, in un dato momento. Le notizie si creano? Assolutamente sì. Se un personaggio in qualche modo interessante afferma qualcosa che fino a quel momento non era noto, riuscendo addirittura a trasformare lo stesso contesto in cui si è espresso in una notizia, non ne ha creata soltanto una, ma ho fatto proprio ciò per cui - presumibilmente - un editore, una testata, un’azienda, ha deciso di assumere chi lo stava intervistando: vendere copie, fare ascolto, rendere popolare un prodotto che è veicolo pubblicitario.

Stiamo ancora parlando dell’intervista a Lavrov? Sì, lo stiamo facendo. L’intervista a Lavrov è quindi essa stessa una notizia? Sì, lo è. Lavrov ha detto cose che fino a quel momento non erano mai state dette in precedenza? Sì, l’ha fatto. Le sue parole sono una notizia? Sì, lo sono al punto tale che il Presidente del Consiglio ha ritenuto opportuno commentarle, al pari di quanto fatto, tra gli altri, dal premier israeliano Naftali Bennett, che ha per altro convocato l’ambasciatore russo in Israele perché riferisca sulle frasi relative alle presunte origini di Hitler e sull’antisemitismo per cui si caratterizzerebbe una parte del popolo ebraico. Giuseppe Brindisi ha quindi fatto esattamente ciò per cui è pagato? Non l’ha soltanto fatto, l’ha fatto benissimo. Paolo Mieli - che va bene quando ce l’ha con Santoro, ma non quando sostiene che Brindisi abbia fatto centro - ieri sera da Porro l’ha detto a chiare lettere (“è lo scoop che segnerà la tua vita professionale”), ammettendo candidamente che se il 12 settembre 2001 qualcuno gli avesse proposto di intervistare Bin Laden, lui lo avrebbe raggiunto in ginocchio. “Eh ma alla fine gli ha augurato ‘buon lavoro’”. Ancora Mieli: “Noi siamo persone civili, alla fine di una conversazione salutiamo in maniera educata. Se avessi intervistato Bin Laden gli avrei detto ‘Arrivederci’, ma non perché lo volessi rivedere davvero. Di sicuro qualcuno avrebbe avuto da ridire”. “Eh ma non c’è stato contraddittorio, è stata solo propaganda”. Vi svelo un segreto: esistono personaggi pubblici del tutto irrilevanti che pretendono di conoscere in anticipo le domande che verranno loro sottoposte nel corso di un’intervista. Credete forse sia possibile avere ospite il ministro più rilevante del governo Putin senza accordarsi preventivamente sui temi che saranno trattati? Al posto di Brindisi voi l’avreste interrotto con una domanda scomoda, correndo il rischio di mandare a monte tutta l’intervista? Quanto alla propaganda, il suo effetto è del tutto irrilevante se una determinata tesi è inserita in un contesto pluralista. Se accanto alle parole di Lavrov è possibile ascoltare quelle di Zelensky, di Biden, di Boris Johnson, di Xi Jin Ping e di chiunque svolga un ruolo in qualche maniera rilevante nel contesto di questo conflitto, qual è il problema? Altro segreto: con il telecomando potete cambiare canale. E noi vivere senza le vostre inutili lezioni di giornalismo.

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