Se "sfogliando" i quotidiani, stamattina, avete letto a più riprese di un tale Enzo Bianchi e dei provvedimenti presi nei suoi confronti da Papa Francesco, senza a capire di cosa si stesse parlando, non vi preoccupate, non siete i soli. Chi è, dunque, questo religioso di cui tutti parlano?
Per molti è un prete eretico, per altri il profeta di una Chiesa Cattolica che deve rinnovarsi. Al momento, però, Enzo Bianchi è un religioso senza casa. O, meglio, sfrattato dalla sua casa: la Comunità di Bose. L’aveva fondata nel 1965, dopo aver conseguito una laurea in Economia, ritirandosi in una frazione abbandonata del Comune di Magnano sulla Serra di Ivrea: Bose, appunto. Ha accolto le prime sorelle e i primi fratelli e ha scritto la Regola della comunità, che oggi conta circa 80 membri, che operano tra Israele, la Sardegna, la Toscana, l’Umbria e il Lazio. Nel frattempo ha creato anche una casa editrice. E, chiaramente, ha scritto libri. Fiumi di libri in cui ha proposto alla comunità cristiana temi già noti, ma affrontati con punti di vista spesso in forte contrapposizione con la tradizione. E con il Vaticano, che ne frattempo aveva riconosciuto l’ordine da lui fondato e l’opera portata avanti, essendone guida e priore per oltre mezzo secolo.
Fino al 2017, quando il Santo Padre ha comunicato la decisione di sostituire Bianchi con un nuovo priore, fratel Luciano Manicardi. I due non sono riusciti a convivere: troppo forte la personalità di Bianchi (e quello che rappresenta) per mantenersi obbediente al nuovo. Così, ieri, è arrivata la decisione di papa Francesco che, a seguito del rapporto di una visita apostolica durata sei mesi, ha disposto l’allontanamento di Bianchi e di altri due suoi fedelissimi dalla Comunità di Bose.
E questa è la versione ufficiale. Il grimaldello, sicuramente vero e oggettivo, di una partita organizzativa che vede nel concreto la Comunità di Bose, il vecchio priore e il nuovo priore come simboli di una partita che in realtà è più astratta, ma enormemente più grande: una partita teologica tra la Parola di Dio, la Chiesa e Enzo Bianchi. Lo dice lui stesso, nella dichiarazione twittata dopo aver appreso di dover lasciare la comunità che aveva fondato: “Ciò che è decisivo per determinare il valore di una vita non è la quantità di cose che abbiamo realizzato ma l’amore che abbiamo vissuto in ciascuna delle nostre azioni: anche quando le cose che abbiamo realizzato finiranno l’amore resterà come loro traccia indelebile”. Tradotto per noi poveri di spirito: “M’hanno fatto fuori, ma non basterà farmi fuori per tacitarmi”.
Sono tanti quelli che pensano che Bianchi, per le sue posizioni radicali, per le sue idee, per le sue ingerenze politiche, sia in verità un moderno eretico. Ma sono tanti anche quelli che lo considerano un vero e proprio profeta: un uomo di Chiesa chiamato a rinnovare la Chiesa.
Impossibile, per noi, sbilanciarsi in una delle due direzioni. Bisognerebbe conoscere a fondo, anche tra il fondo, le coniugazioni e le sfumature di un dibattito che, conti alla mano, sta su da 2020 anni. E che attiene allo spirito. Oppure, come disse Bianchi in una famosa intervista a Repubblica, alla coscienza: “La dottrina cattolica del Concilio Vaticano II ribadisce con chiarezza che la coscienza prevale su qualsiasi autorità, anche quella Papale”. Ed è una frase che segna un definitivo momento di rottura. Perché, diciamocelo chiaramente, non sono certo le idee di Bianchi su Islam, donne e immigrazione (sicuramente estreme e distanti dalla tradizione, ma non più di quelle di altri uomini di chiesa), ad aver fatto sorgere dubbi d’eresia o di profezia.
Il nodo non è la radicalità in generale, ma la radicalità sull’obbedienza, il venir meno a un principio che è cardine e garanzia per la struttura della Chiesa Cattolica stessa. Bianchi, in estrema sintesi, è stato chiaro: il primo pastore da ascoltare è la coscienza.