A quella Sampdoria in finale non ci credeva nessuno, perché con il senno di poi sono buoni tutti. E quella notte me la ricordo. Mi ricordo il senso di ingiustizia. Il dominio della Samp sul Barcellona. Gli Ultras Tito Cucchiaroni (che nome fantastico che era) che cantavano mentre Vialli sbagliava gol su gol, uno clamoroso quasi alla fine, e poi la punizione di Koeman, a partita praticamente terminata, e il Barça che vince e alza la Coppa dei Campioni. Sì il calcio a volte è ingiusto. A volte. Ma così come la vita, se perseveri, se non molli, qualcosa te la riserva sempre.
Quella notte oltre a Vialli c’era pure Mancini. Wembley gli ha tolto e Wembley gli ha dato. Io ci credo alla retorica dei sentimenti. Perché ho le prove. Una su tutte. Lippi che prima dei calci di rigore ai Mondiali del 2006 si avvicina a Trezeguet e gli sussurra: “Tu hai un conto in sospeso con me”. Solo queste parole, e poi va via. Trezeguet aveva sbagliato il rigore nella finale di Champions Juve-Milan, vinta dai rossoneri. Trezeguet sbaglierà anche quello tra Francia-Italia. Lippi-destino 1 a 1. Una l’ha persa, l’altra l’ha vinta.
Nell’abbraccio Vialli-Mancini c’è tanto, tantissimo. Solo loro possono sapere ciò che hanno condiviso insieme, battaglie, notti, cazzate, sconfitte, vittorie. Dai tempi dei tempi. Se lo meritano e non rompetegli (e rompeteci) il cazzo. Ci sarà tanto di sportivo e tanto di personale, ché le due cose non possono essere spaiate. Vialli che ha sconfitto un tumore (che poi chi c’è passato dice sempre che un tumore non si sconfigge mai) e corre verso Mancini. E Mancini che resta quasi immobile, perché un allenatore fino a quando non vince 3-0 a 1 minuto dalla fine tranquillo sa che non ci può stare.
E poi c’è la sofferenza. In base a cosa pensavamo che con l’Austria non avremmo sofferto? Solo chi non capisce niente di calcio può pensare che siccome avevamo vinto tutte le partite del girone avremmo avuto vita facile. Ogni partita è a sé e questa era difficilissima se non altro per il fatto che pochissimi dei giocatori in campo ieri avevamo mai giocato un’eliminazione diretta di tale portata. È chiaro che nel secondo tempo cali, in testa e nelle gambe arriva la confusione.
Allora qui entra in gioco la bravura di un allenatore. È difficile calmare i giocatori mentre sono in campo. Ieri, durante il secondo tempo, imprecavo perché era evidente che in mezzo e davanti dovevamo cambiare e far entrare qualcuno di rottura, Chiesa su tutti. Era palese e mi chiedevo: come mai Mancini non lo fa?
L’ho capito solo oggi. Perché probabilmente se quei cambi li avesse fatto prima i Chiesa e i Pessina sarebbero stati fagocitati dall’atteggiamento complessivo del secondo tempo (del primo no, non dimentichiamocelo). Invece mettendoli a pochi minuti dal novantesimo ha ottenuto un doppio risultato: ha fatto capire agli austriaci che le cose stavano cambiando e ha avuto modo di farlo scaldare in vista dei supplementari. Dove avrebbero davvero potuto influire. Perché tra i 90 e i primi 15 ci avrebbe parlato lui con tutti, e quindi aveva fiducia che l’atteggiamento di ognuno di loro sarebbe cambiato, non solo quello dei subentrati.
Ragionare da fuori è semplice. Non vivi determinate cose. E adesso, vi dirò, dopo una partita così sono molto più tranquillo nell’incontrare un top team come il Belgio o il Portogallo. Perché da vittorie del genere cresci, impari quali sono i tuoi limiti, ci lavori, ti costruisci nella sofferenza.
È considerando tutto questo, è considerando che solo il gesto di chiamare Vialli come team manager della nazionale dopo quello che ha vissuto è qualcosa da applausi per Mancini, è considerando che il Mancini giocatore dalla nazionale è stato cacciato, snobbato, lasciato in panchina e che adesso da mister si sta riprendendo tutto, è considerando tutto questo che non si può fare finta di niente davanti a quell’abbraccio o addirittura ridimensionarlo. È sacrosanto. E in quell’abbraccio c’eravamo tutti c’eravamo. Per una volta viva la retorica. Distanze di un metro, mascherine, pugni contro pugni, ma di cosa stiamo parlando? Abbracciamoci e godiamocela. Ancora per poco. Che tra 6 giorni abbiamo il quarto di finale e quella sì che sarà un’altra prova, la più difficile fino a ora. Abbracciamoci e godiamocela. Soprattutto dopo una vittoria che ti insegna molto quasi come se fosse una sconfitta.