Davide Brivio lo ascolteresti per ore. Gentile, pacato. Riesce sempre a non essere scontato, a dirti qualcosa in più. Sorridente e mai disfattista, mai fuori posto. Non lo vedi arrabbiato, non risponde male, non alza la voce. Brivio non dice mai “io”, ma inizia sempre con “noi” e, quando qualcuno gli fa i complimenti, ricorda sempre che a meritarli sono gli uomini della sua squadra. Davide non si erge a talent scout, confessa: “Non sono bravo in quel mestiere, ho fortuna”. Eppure è famoso per aver convinto Valentino Rossi a passare in Yamaha, dove il dirigente brianzolo ha lavorato dal 2001 al 2010 come team manager. È lui, Davide Brivio, l'uomo dietro gli esordi in MotoGP di Lorenzo, Vinales, Mir e Rins.
Brivio; che è stato a fianco di Valentino Rossi negli anni difficili della Ducati, aiutando la VR46 a piantare le prime, solide, fondamenta nel mondo del racing marketing, prima di diventare un autentico colosso del settore. Brivio che nel 2015 è diventato capo del progetto Suzuki MotoGP, quando la casa di Hamamatsu ha fatto il suo ritorno nel motomondiale. Una Suzuki che ricominciava con un gap tecnico importante, che doveva inseguire mostri sacri come Honda, Ducati e Yamaha. Una Suzuki che, allora come oggi, non disponeva delle tecnologie delle avversarie. La Suzuki con risorse economiche nemmeno lontanamente paragonabili, per cui era impossibile pensare a piloti di grido. Allora Davide li ha coltivati in casa i top riders: "Se vuoi vincere non puoi copiare gli avversari, devi fare qualcosa di diverso”. E la Suzuki ha vinto il mondiale, nel 2020, con Joan Mir in carena e Davide Brivio alla guida del team. Sempre lui, Davide, capace - secondo la gente del paddock - di fondere il metodo italiano e giapponese come nessun altro prima. Brivio, nel mondo delle corse dal 1993, ha capito al volo che la MotoGP fosse arrivata ad un punto di svolta, un'evoluzione che strizzava l'occhio alla mentalità delle quattro ruote. Allora è passato subito in Formula 1, team Alpine (Renault), dove lavora dal 2021. Così che un domani - l'intera MotoGP ci spera - Davide possa tornare in sella a quel paddock in cui le sue idee, il suo fiuto, quel modo di fare, sono sempre stati fonte d'ispirazione.
Intanto Davide, parlando di MotoGP, ha raccontato il suo punto di vista sulle pagine di Slick Magazine, in un'interessante intervista realizzata da Enrico Borghi. Brivio tocca tutti gli argomenti: mentalità, progetto, soldi, approccio, collagamento tra pista e fabbrica. Vittoria che prescinde dalla tecnologia e dal modo in cui essa viene utilizzata, incanalata. Un'impostazione che lui, in anticipo rispetto ai tempi, aveva portato nei primi anni in Suzuki, in un team giapponese. Un'impostazione che oggi le squadre europee hanno assimilato, ampliato sul modello Formula 1. Invece Honda e Yamaha, secondo Davide, sono rimaste al palo. Disorientate, lente. In un certo senso ricorda le parole di Valentino Rossi dal 2017 in poi, da quando Ducati ha cominciato a vincere con frequenza e il 46 chiedeva ad Iwata di accorciare i tempi per introdurre aggiornamenti, pezzi nuovi. Chiedeva di essere ascoltato. Tuttavia le indicazioni tecniche - questo è il fulcro del discorso di Davide Brivio - funzionano solo se vengono instradate, collegate nella giusta maniera. Con pista e fabbrica che, ormai, devono essere l'una all'altra il più vicino possibile.
"Diciamo subito che non è una questione di soldi - esordisce Davide - ma di metodo. Insomma, di mentalità. Bisogna accettare un fatto incontrovertibile, ma che forse in Yamaha e soprattutto in Honda faticano ad accettare: il “modo” delle Case giapponesi è superato, perciò devono cambiarlo. E anche in fretta! Perché è su questo punto, che le Case europee adesso sono più avanti, come si è visto nel 2022. E andranno ancora avanti! Cioè, negli ultimi anni le Case italiane sono state più aggressive nella ricerca tecnologica e nello sviluppo di un metodo, mentre quelle giapponesi hanno considerato più che altro il cosiddetto 'business standard' come si è sempre fatto storicamente: fare un buon telaio, un buon motore, lavorare sull’elettronica; quindi maneggevolezza, frenata, accelerazione. Invece gli altri, Ducati in testa, si sono spinti più avanti. E non sto parlando dell’aerodinamica o dei variatori di assetto. E non sto parlando solo di Ducati. Si è allineata anche l’Aprilia, e pian piano sta arrivando la KTM. Quindi parlerei di Case europee, non solo italiane. Queste aziende non sono mai contente, continuano a fare ricerca, a cercare nuove idee, a sperimentare, per capire dove si può trovare anche un decimo di secondo. A volte si corrono dei rischi ma ogni decimo di secondo al giro è importante, pensate sulla distanza di una gara. E questa appunto è la mentalità della Formula 1, dove studiano e investono anche per guadagnare mezzo decimo, per risparmiare qualche decina di grammi. A volte hanno sbagliato strada, oppure l’hanno persa, però hanno sempre mantenuto questo spirito aggressivo e una volta che hanno sistemato le cose gli è rimasto. E adesso introdurre novità in continuazione è la mentalità vincente".
Poi Davide commenta l'approccio giapponese e introduce il tema tecnologia: "I giapponesi hanno avuto sempre un approccio conservativo, ed è rimasto. Cioè si prova tutto bene e se non dà beneficio non si usa, se il test team non ha provato un pezzo il pilota ufficiale non lo vede mai. Per loro, oggi è come ieri; una volta fatta una moto, si fa una piccola evoluzione e poi il resto lo mettono sulla moto dell’anno dopo. Hanno sempre fatto così. Anche perché negli anni d’oro – da Doohan a Marquez, passando per Valentino – quella moto bastava per vincere. Non c’era bisogno di fare evoluzioni frettolose, perciò quando venivano delle idee nuove le si metteva l’anno dopo. Inoltre qualche anno fa non c’era una grande mole di dati come ora, un sofisticato sistema di analisi dati, ingegneri dedicati per individuare un problema con precisione scientifica e poi cercare una soluzione. La “vecchia guardia” dei capi tecnici fa fatica a seguire questa evoluzione, ed è per questo che servono molti ingegneri. Ed è meglio se sono giovani, cioè senza i preconcetti che ti vengono se provieni da un’epoca passata. Perché adesso serve una grande attività di analisi dei dati a partire dal weekend in pista, non solo a casa, per capire esattamente quello che succede sulla moto. Ed è una cosa che in Giappone non sono abituati a fare"
Brivio a questo punto approfondisce la questione della comunicazione tra pista e fabbrica, spiegando com'è cambiato il lavoro nel corso degli anni: "In Giappone rimasta l’idea di distinguere fra quello che succede in fabbrica e quello che succede in pista. Lì è dove nascono i problemi, le lamentele dei piloti, dove puoi studiare la concorrenza, puoi analizzare costantemente ed immediatamente quello che succede ed è da lì che deve partire lo sviluppo e l’evoluzione del mezzo. Le considerano due cose diverse, ma oggi è un errore perché la pista si è molto evoluta. Ducati, ma anche Aprilia e KTM, hanno cominciato a fare analisi dei dati sempre più sofisticate, mentre le aziende giapponesi in pista lavorano ancora come 15 anni fa. In un team vecchio stile, un pilota dice 'la nostra moto non ha la frenata della Ducati'. E la squadra dice all’ingegnere giapponese 'dobbiamo migliorare la frenata'. Bene, e poi? Cioè, loro non spiegano come bisogna fare, perciò l’ingegnere non riceve dei dati certi su cui lavorare. Deve cercare un pò da solo la natura del problema lasciando lavorare il Team nella sua routine del weekend. Ma è ben diverso, se si va dall’ingegnere e si dice 'abbiamo fatto un confronto con la Ducati, in base ai nostri dati e alle nostre analisi abbiamo visto che frena (faccio un esempio, eh) mediamente 7 metri più in giù'. E glielo dimostri col conforto dei dati. Quindi gli si può spiegare, per esempio 'noi riteniamo che probabilmente loro hanno questa differenza tecnica che abbiamo analizzato e che li aiuta, che noi dobbiamo compensare in qualche modo, ma se riusciamo a fare questo anche noi forse ci avvicinano a loro'. Le Case europee hanno un collegamento diretto e costante tra pista e fabbrica, e poiché in pista fanno un’analisi dei dati molto curata, grazie a software sofisticati, il team riesce a fornire alla fabbrica informazioni molto precise su come risolvere i problemi e su come migliorare la moto. Si tratta del cosiddetto Team Performance. È il gruppo di ingegneri dedicato all’analisi dei dati. E fa parte della squadra, col compito di supportare il team ufficiale durante il weekend di gara. Per risolvere i problemi, magari di grip, quindi per migliorare la prestazione la domenica. E poi, con i dati che analizza, il Team Performance aiuta anche il reparto corse, per lo sviluppo della moto. Infatti se il team in pista si è evoluto è grazie alla sofisticazione dell’analisi dei dati, quindi grazie al lavoro del Team Performance".
A proposito di Team Performance: Brivio era stato assoluto precursore insieme a Dall'Igna di questa soluzione. Davide, paradossalmente, l'aveva introdotta in un team giapponese: "Eh sì, noi in Suzuki l’abbiamo creato già nel 2016, il nostro secondo anno di gare. Noi siamo stati i primi ad averlo, tra i giapponesi, e siamo quindi stati quelli più vicini agli europei. Però la Suzuki è comunque un’azienda giapponese, certe caratteristiche sono rimaste. Diciamo che noi abbiamo tenuto avuto una mentalità che si è collocata a metà strada; cioè molto europea nell’approccio in pista, molto giapponese nel processo di sviluppo delle moto, tradizionalmente più conservativo".
Il fatto che Honda e Yamaha non abbiano ancora provato questo metodo di lavoro la dice lunga sulla natura dei loro problemi: "Sì, loro questo passo in avanti non l’hanno ancora fatto. Il problema, però, è capire come fare. Perché la situazione non può cambiare in pochi mesi. Bisogna sapere cosa fare, dove e come investire, quali competenze portare nel reparto corse e in squadra anche a livello di nuovi ingegneri. Non basta assumere un certo numero di ingegneri ma occorre organizzarli, coordinarli in modo approvato facendo modo che sia un gruppo di lavoro funzionale. Recentemente ho sentito che Marquez ha detto 'una volta ho chiesto al team perché abbiamo provato quel determinato pezzo, e mi hanno riposto che non lo sapevano'. Beh, vuol dire che in Honda stanno ancora usando il metodo vecchio. Sembra che stiano buttando su pezzi, copiando quello che vedono in giro, per capire che effetto fa. Ma così non va bene. Non è più il periodo in cui il problema si risolve con un telaio dedicato ad un pilota, oppure facendo la moto con le caratteristiche di un determinato pilota. Honda e Yamaha devono ancora affrontare questo passaggio. Questa è una evoluzione che è iniziata negli ultimi 5-6 anni. E la Yamaha dà l’idea di lavorare ancora come ai tempi di Furusawa. Devono proprio rifondare il loro progetto MotoGP e credo che lo stiano già facendo, ma gli effetti si vedranno più avanti. Occorre un piano pluriennale dove si ristruttura il lavoro che si fa in pista, in modo che la pista sia in grado di mandare in azienda le informazioni giuste".