È morto di domenica, Sir Frank Williams. Il giorno di Dio, quello che negli anni 70 il motorsport comprò con pubblicità di sigarette e odore di adrenalina. È morto nel giorno della Formula 1, senza la Formula 1. Come se anche ciò che più ha amato nella sua vita avesse in programma di fermarsi per lui. Per rendere omaggio a un uomo che di velocità ha sempre vissuto.
Nel documentario realizzato nel 2017 dalla BBC sulla sua vita e sulla nascita del suo team, Frank Williams parla di "the need" - il bisogno - "the need for speed", il bisogno di velocità. Non un vezzo, non un divertimento. Un bisogno.
Una necessità che lo ha portato a investire tutto per creare la Frank Williams Racing Cars, nel 1977. Che di anno in anno lo portava a cercare disperatamente i soldi necessari per andare avanti, per non cedere a un mondo che cambia, a scuderie sempre più strutturate e internazionali. Un bisogno che lo ha reso grande, enorme, vincente: tra il 1980 e il 1997 la Williams vinse nove campionati costruttori e sette mondiali piloti, portando al successo Nigel Mansell, Jacques Villeneuve, Demon Hill, Nelson Piquet e molti altri.
Quella di Frank Williams è una storia di grande sofferenza, di un dolore superato anche grazie alla capacità di rendere la sua più grande passione un bisogno viscerale. Un motivo per continuare a rimettersi in pista, ad andare avanti nonostante tutto.
Il primo grande dolore arrivò nel marzo del 1986 quando Frank, uomo di corse e di velocità, perse il controllo della sua auto mentre si trovava in Francia, cadendo così da un dislivello di due metri e rompendosi la spina dorsale. Rimase così tetraplegico, per sempre costretto su una sedia a rotelle.
La seconda sofferenza arrivò in un giorno di inizio maggio del 1994. Frank Williams amava alla follia Ayrton Senna, lo considerava il pilota più forte di tutti i tempi. Il più pronto, il più aggressivo, il più talentuoso. Per anni cercò di portarlo in Williams e quando finalmente ci riuscì stentava a crederci. La storia però non racconterà i successi di una grande unione ma solo il dramma di qualla prima stagione indimenticata: la morte di Ayrton a Imola, i dubbi sulla monoposto, le accuse e i processi. Immaginate di avere un mito, e immaginate poi di diventare il capro espiatorio della sua morte. Solo tornare in pista, tornare a fare il suo lavoro e guardare avanti, riuscirono a salvare Sir Frank dalla disperazione.
Il terzo dolore è il più recente. La resistenza di Williams, in un mondo ormai molto diverso da quello delle piccole scuderie a gestione famigliare, era il simbolo della tenacia di una famiglia. Il legame con la Formula 1 del passato e tutto ciò che rappresentava. Nel 2020 però, con la situazione finanziaria già compromessa messa a dura prova dall'emergenza Covid, la famiglia Williams ha scelto di vendere il team al fondo di investimento statunitense Dorilton Capital, uscendo così dalla Williams dopo 43 anni di storia.
Tristezze mai sanate, che Frank si è portato addosso con il sorriso e il coraggio delle leggende. Tutto in lui era grande, fuori dalla normalità. Filmico, adatto alla scena, destinato a restare negli anni. E per questo le parole che oggi i grandi di questo sport usano per descriverlo sono perfette: perché raccontano l'immensità di un uomo che della velocità fece un bisogno. E di un bisogno una speranza.