Firmare a soli 22 anni un contratto pluriennale con la Ferrari, più da calciatore che da pilota di Formula 1 per la durata monstre, non è cosa da tutti, anzi. Ma se fossimo in Charles Leclerc, cominceremmo a preoccuparci. La sensazione di essere invischiato fino al 2024 in una scuderia che al momento è allo sbando deve essere soffocante, come se si trovasse in una stanza le cui pareti sembrano chiudersi verso di lui, rendendo lo spazio sempre più angusto. Inevitabile che qualche tarlo si insinui nella mente del precocissimo talento monegasco.
Le premesse a fine 2019, dopotutto, erano decisamente diverse. Forte del proprio motore performante, che rendeva la SF90 un missile sul dritto, la Ferrari aveva in canna una vettura per il 2020 che avrebbe dovuto sopperire alle mancanze nelle parti guidate, trovando la formula perfetta. E invece, in un anno di per sé vertiginoso, grottesco, la Ferrari si è vista sottrarre la propria arma vincente. Con delle conseguenze devastanti sulla prestazione della SF1000, evidentissime dove serve velocità di punta, come a Spa. E così le qualifiche in Belgio sono diventate una sorta di farsa, con il climax giunto già alla Q1, per l’agognato passaggio nei primi 15.
Le espressioni di Vettel e Leclerc dopo le qualifiche la dicevano tutta sull’incredulità di ritrovarsi a lottare con le unghie e con i denti per occupare la settima fila. Settima. Si dirà che Spa, Monza e l’ovale del secondo GP in Bahrain sono i nadir di questa stagione per la Ferrari, ed è indubbio. Ma il fatto che Mattia Binotto dica che i tecnici della Rossa non sono in grado di capire cosa non vada nello specifico è inquietante. Così come lo è il silenzio surreale dei vertici aziendali, non sportivi. E con tutta questa confusione, la Rossa pare navigare a vista, senza un capitano che la guidi.
È difficile avere fiducia nel Cavallino rampante ormai azzoppato in ottica 2022. Un anno decisivo, in cui verrà introdotto il nuovo regolamento tecnico. E un’occasione d’oro che non andrebbe sprecata. Perché Leclerc, in caso contrario, rischia di fare la fine di Jean Alesi. Amatissimo dai tifosi della Ferrari, ma eterno incompiuto, per colpa di monoposto che strozzavano i suoi acuti. Una sola vittoria per lui in carriera, nel giorno del suo trentunesimo compleanno, nel 1995 in Canada. Ben poco per un pilota che, al netto della sua forte emotività, il piede pesante lo aveva, eccome.
Alesi toppò la scelta della vita, quella di preferire la Ferrari alla Williams nel 1991. Se avesse scelto la scuderia di Grove, Jean l’anno successivo avrebbe avuto per le mani la stratosferica FW14B, che consentì a quel vecchio leone inglese di Nigel Mansell di umiliare la concorrenza e vincere il mondiale. E invece fu costretto non ad una, bensì a cinque stagioni di purgatorio. Ma come si fa a rinunciare alla Rossa? La Ferrari attira piloti di primissimo calibro come una conturbante sirena, per poi sedurli e abbandonarli, insoddisfatti e frustrati.
La Rossa è una specie di mantide religiosa, pronta a sbarazzarsi dei propri pupilli, masticandoli per poi sputarli senza troppi fronzoli. È stato così anche per piloti affermatissimi, Alonso e Vettel gli esempi più recenti. E Charles dovrà farsi carico in prima persona di una scuderia in cerca di autore, che pare aver perso la bussola. Solo il tempo ci dirà se la scelta di Leclerc di legarsi all’amata Ferrari si ritorcerà contro di lui, ma il futuro oggi sembra nebuloso. Più che un talento in rotta verso il titolo, Charles sembra un viandante immerso nella nebbia. E non si può pensare che conduca lui il team verso la luce in fondo al tunnel: serve un gruppo coeso. Proprio quello che manca ora alla Rossa.