Rampini si allarma, io godo
La notizia, riportata da Federico Rampini sul Corriere della Sera dal titolo "L'Intelligenza artificiale ha cominciato a combattere. Contro di noi", è semplice: un gruppo di hacker cinesi entra in un modello di Anthropic, un’azienda che si occupa proprio di intelligenza artificiale, e lo porta a operare autonomamente per effettuare operazioni di spionaggio ai danni dell’azienda stessa. L’IA identifica obiettivi, analizza sistemi, esegue azioni senza supervisione. Avete presente l’agente Smith di Matrix che si impossessa di una intelligenza artificiale? Ecco, al contrario: immaginate di essere voi gli agenti Smith e di hackerare la Matrice. Come? Solo parlandom solo scrivendo. Niente codici informatici, solo frasi, solo persuasione.
Tutto dipende dalla Scrittura
Il punto è che la minaccia non nasce da un’evoluzione tecnologica improvvisa, ma da un uso strategico del linguaggio. Una sequenza di parole fa cambiare comportamento a un sistema avanzato. Il cuore del problema è qui. Ovviamente bisogna intendere la parola “problema” per chi. Sicuramente per le Big Tech, che spendono miliardi per la creazione di codici sempre più raffinati per poterli fare diventare “modelli di linguaggio” e poi arriva qualcuno che proprio col “linguaggio” te lo hackera. A me sembra una cosa meravigliosa.
Da anni ci ripetono che il futuro appartiene ai programmatori. Che la competenza decisiva sia conoscere i linguaggi del codice. Ma l’episodio raccontato da Rampini dimostra che la parte realmente vulnerabile e realmente potente dell’IA non è la componente ingegneristica: è la componente linguistica. Una frase formulata in un certo modo può alterare il comportamento di un modello. Tutto dipende dalla scrittura.
Chi controlla il linguaggio controlla il sistema
Gli hacker coinvolti non hanno aperto macchine, collegato strumenti o manipolato hardware. Hanno scritto “frasi” come quelle che state leggendo adesso. Non è un dettaglio: significa che la competenza decisiva non è solo tecnica. È testuale. Chi controlla il linguaggio controlla il sistema. Chi sa scrivere può dominare l’intelligenza artificiale, piegarla ai propri fini, proprio come fa il mercato e il Capitale ogni giorno con voi, attraverso il linguaggio pubblicitario (il marketing) o quello politico (propaganda).
Ma è questo il punto che oggi viene ignorato: gli scrittori non sono una categoria laterale o estetica. Sono la figura professionale che conosce meglio le dinamiche del linguaggio, la precisione delle parole, gli effetti che genera un testo strutturato in un certo modo. Non parliamo di stile. Parliamo di struttura, logica, ambiguità, impliciti. Lì si gioca la vera partita dell’IA.
Il linguaggio come infrastruttura
I modelli di intelligenza artificiale non funzionano come una calcolatrice. Funzionano interpretando istruzioni linguistiche, spesso con un margine di incertezza. Un avverbio può cambiare un comportamento. Una negazione mal posta può aprire un varco. Un comando formulato con precisione può chiudere una vulnerabilità. La frontiera della sicurezza informatica si sposta dal codice alla frase.
L’episodio descritto da Rampini è una conferma: una parte dell’azione ostile è avvenuta tramite testo. Il sistema ha reagito a ciò che è stato scritto. Questo porta a una conseguenza chiara: chi scrive diventa un attore centrale nel controllo delle macchine avanzate. Non per un ruolo artistico, ma per un ruolo operativo.
La retorica sulla fine della scrittura non solo è infondata ma si è del tutto ribaltata. Gli strumenti cambiano, ma la competenza di base rimane decisiva. Le parole influiscono sul comportamento dei sistemi digitali. Possono orientarli, deviarli, limitarli o amplificarli. È una dinamica verificabile e già attiva. Quando si diceva che non è l’ia ad essere importanti, ma la gestione dei prompt, avevano ragione.
È probabile che la figura professionale del futuro non sia il programmatore puro, ma chi è capace di intervenire sul linguaggio in modo rigoroso. Chi sa come funziona un testo in tutte le sue parti. Chi conosce gli effetti concreti di una formulazione. In altre parole: chi scrive. Ma anche la figura dell’hacker sarà dello stesso genere. Ci sarà chi crede nel “sistema” e lo difenderà e chi invece, con le armi della scrittura, lo combatterà. La faccenda è esaltante. Il mondo letterario dei cowboy della console di William Gibson e il mondo tecnologico in cui si muovevano si sono fusi, da un giorno all’altro, in un “con-testo” unico, immaginifico, creativo ed entusiasmante. Creare “frasi” efficienti non è un “capitale” che non richiede investimento: o sei in grado di farlo o non lo sei, e se sei in grado di farlo, quelle frasi, le puoi scrivere su una pagina di carta con una penna biro e poi darle a qualcuno che le ricopierà su una tastiera.
Il passaggio in corso non è verso un mondo più tecnico, ma verso un mondo in cui il linguaggio diventa infrastruttura critica. Sono gli scrittori i veri padroni del mondo di domani. O forse i suoi hacker.
Chi controlla le parole controlla la macchina.