Mala tempora currunt sed peiora parantur (brutti tempi sono questi, ma paratevi il culo perché ne arrivano di peggiori) a causa del politicamente corretto e secondo me anche a causa del politicamente scorretto. Ho una tesi: il politicamente corretto è la scusa linguistica di chi non sa più insultare poeticamente; dove sono le circonlocuzioni scespiriane e marlowiane dei tempi in cui i poeti si accoltellavano in infime bettole, oggi gli intellettuali frequentano localini finto pauperisti. Facciamo alcuni esempi, come si dice, “di scuola” (sia nel senso alto della ‘scolastica’ come pensiero di riferimento, sia per l’uso di ternini semplici, adolescenziali) e facciamoli a partire dalla nostra classe politica, con la quale alcune confidenze si possono prendere: in fin dei conti sono appunto i politici nostri anche nel senso che li paghiamo noi. Sono nostri anche nel senso di nostri, pubblici, dipendenti.
Da uomo trovo la Schlein molto bella. Il problema è che parla
Partiamo da Giorgia Meloni detta “nana”: aggettivo che si riferisce alla mutazione genetica detta “acondroplasia” e che il politicamente corretto (immagino) chiami i “diversamente alti” (dal momento in cui i documenti parlano di “altezza” – dal suolo terrestre). Ecco, la Meloni ha disinnescato la portata politicamente scorretta della sua “nanità” con una battuta: “Volevo giocare a pallavolo ma sono nana”. Più difficile da disinnescare sarebbe: “Giorgia, sulle spalle dei giganti, je manca mezzo metro p’affaciasse dar balcone senza mettese a cavalluccio”
Andiamo avanti. La Elly Schlein. Alcuni (anche recentemente) dicono sia “brutta”. Io credo siano soprattutto la donne (questa giana bifronte genìa del serpente adusa al comando sotto le mentite spoglie – aggressive passive – di una vittima sacrificale) a dire “brutta” alla Schlein. Il belletto, il tacco, il bustino, il taglio del vestito, la chirurgia estetica (“la cosmetica è la scienza del cosmo della donna”, diceva il nostro amato Karl Kraus) suggeriscono un odio profondo verso la bruttezza che, in senso schopenhaueriano (“Il mondo come volontà e rappresentazione”), impedirebbe la garanzia procreativa. Sì, elle dicono che la beltà è una gabbia in cui gli uomini le hanno rinchiuse. Ma è una minchiata. Solo le lesbiche sfuggono in realtà ai canoni di sovrastruttura estetica (estetica in senso da “estetista”: trucco e parrucco) e in realtà le lesbiche sono in generale più belle.
Da uomo trovo la Schlein molto bella. Il problema è che parla. Non nel senso del “più bella che intelligente”, geniale insulto barocco di Silvio Berlusconi rivolto a Rosy Bindi, che era una gara, per così dire, al ribasso. No. Secondo me la Schlein è proprio bella, e probabilmente intelligente, ma non sa parlare. Saranno le troppe lingue che conosce, ma poi perché dovrebbe? La Schlein andrebbe ammirata. Messa su un piedistallo, nuda, e contemplata. La Schlein è “colei la cui beltà ammutolisce e lo sguardo altrui costretto da meccaniche celesti a contemplarla, sia la sua medesima lingua di se stessa che, nell’atto osceno della parola, priva il tempo suo di ben altre e meravigliose pratiche linguistiche”.
La “vulgata” si aggrappa alle maniglie dell’amore di Salvini
E veniamo a lo Matteo Salvini. L’uomo “grasso”, secondo il sentire comune. Insulto che gli rivolgono i maschi magri, consapevoli del suo successo con le donne, dato e dal potere… e dal potere, punto. In realtà il suo punto debole è il prognatismo (relazione tra mascella e mandibola in cui la seconda è proiettata in avanti), caratteristica tipica del Neanderthal (uno studio sul Covid ha dimostrato come “da quelle parti” siano presenti in quantità più elevata della media geni propri del Neanderthal). La “vulgata” cioè dire, si aggrappa alle sue maniglie dell’amore, ma in realtà Salvini richiama alla mente “coloro il cui grugno ingrunito non è specchio di un sentimento passeggero, ma l’intima essenza di chi brandisce un femore scarnificato come arma guardando un monolite del quale non comprende il significato, battendosi il petto con un barattolo di nutella così feromonando la femmina di sicurezza per la sopravvivenza per la prole” o, in termini abbreviati, “colui che non ha capito come funziona un citofono”.
Cambiando insulto, quello spesso detto di Matteo Renzi è irriferibile, dato che una sentenza della Cassazione lo ha definito reato (ma possiamo darne la notizia: dare a qualcuno del “bimbominkia” è reato), e in realtà a noi, Matteo Renzi, non sembra un bimbominkia. Già ci piace di più “il bomba” che pare sia stato un suo appellativo fiorentino poiché era uso a “spararle grosse”. Ha la “lisca”, la esse moscia, ma ce l’ha anche Jovanotti, e quindi potrebbe anche essere una spia di successo… ma è dovuta agli incisivi sporgenti che lo fanno assomigliare a Thomas Pynchon, dio della scrittura. Come vedete, Matteo Renzi, è quasi inscalfibile dal politicamente scorretto odierno, cioè di pancia, da scuole media, da liceo suvvìa (o accentato la i perché i toscano accentano molto la i di suvvìa).
Di Giuseppe Conte, dicono sia un “terrone”, che più che un insulto è una collocazione geografica (sia dell’uomo, che dell’aggettivo stesso: insulto al nord, fierezza identitaria al sud). Ma “egli è colui che porta in giro li capelli di un altro, all’uso del Ken de la Barbie, o del cortigiano settecentesco, azzeccando li garbugli come i riccioli di una parrucca. Egli è colui che si fa imprestare tutto. Dal Movimento alla capigliatura”.
Di Carlo Calenda si dice, frettolosamente, che sia un “raccomandato”, un “ammanicato”, un “privilegiato”, discende dalle famiglie Comencini (artisti intellò) e dai Calenda, diplomatici con passioni finanziarie, il cui padre, Fabio, ha militato da giovane nell’estrema sinistra per poi fare carriera nel settore finanziario (immaginiamo dicesse alla moglie, Cristina Comencini, “per combattere il sistema dall’interno”. Ma così finisce che i padri mangiarono la frutta acerba e si allegarono i denti dei figli. Come si diceva a scuola: l’insulto sì, ma la famiglia non si tocca.
L’insulto rivolto ad Antonio Tajani è già più articolato: “sembra l’omino sulla torta di nozze”. Ma bisogna specificare quale torta e quale nozze. Sono le nozze tra Meloni e Salvini che egli guarda senza muovere ciglio? Non mi sembra una figura retorica esatta. Anche perché, stando agli ultimi sondaggi, che danno Forza Italia sopra la Lega, l’omino si sta mangiando la torta. In realtà egli è sorto dalla torta mielosa delle nozze morganatiche tra Silvio Berlusconi e Marta Fascina. Ma adesso “sembra omino sì, ma umarell, che silente adocchia l’opra in corso, studia impasti di malta, legni portanti, pavimentazioni, capomastri e ragazzi che si fanno un mestiere, pensa a vettori, forze in gioco che si contrastano sostenendosi a vicenda, giorno dopo giorno, mentre intorno a lui una piccola e poi grande folla si accalca. Cosa guarda, ello? Cosa rimira l’umarell? De’, guarda il cantiere. Aspettando il giorno in cui metterò le mani a tromba e griderà: “Così viene giù tutto!”.
L’insulto di questi giorni a Piero Fassino è quello di “ladro”. Mi sembra un insulto debole
Marco Rizzo è “pelato”. Lo dicono così: “pelato”. Neanche “diversamente pettinato”. Propio “pelato”. Ci fu un tempo in cui i “pelati” a sinistra rappresentavano la vera intellighenzia. Li chiamavano i “Lotar” (alcuni si confondevano e pensavano a Marina Lotar, ex moglie di Paolo Frajese). Marco Rizzo è “pelato”. Non mi sembra un insulto. Potete fare di meglio: “Ed ecco il Rizzo, che con furia e impeto marziale, redistribuì il pelo al posto del Capitale”.
L’insulto di questi giorni a Piero Fassino è quello di “ladro”. Mi sembra un insulto debole, sia perché ci vuole il processo, sia perché potrebbe trattarsi di un esproprio proletario di chi, guadagnando solo più di 4000 euro al mese, non riesce ad arrivare a fine mese. Mario Giordano (e altri, e molti altri) mettono in dubbio la destinazione dello Chanel, moglie o amante? Se per ipotesi “di scuola” la teoria si dimostrasse reale? “Bé, tu come l’appelleresti colui che con un furto si fe’ beccare e dalla moglie e dal piantone? Sarai d’accordo anche tu che trattasi di gran…”.
W il politicamente scorretto, ma da arzigogolare e arcigongolare. Se no l’insulto diventa peto anch’esso.
P.S. Nessun politico è stato maltrattato durante la stesura degli epigrammi satirici. Non fatelo a casa senza la supervisione di un esperto