No, i risultati registrati da Stellantis in merito al primo trimestre del 2024 non sono di certo quelli che speravano John Elkann (presidente del Gruppo) e Carlos Tavares (amministratore delegato). Si tratta di una débâcle a trecentosessanta gradi, che colpisce il mercato delle auto (soprattutto quello delle auto elettriche, causa principale di questo flop) e il titolo in Borsa che cala del 10%. Una situazione piuttosto sgradevole per il colosso italo-francese, a cui si aggiungono anche i vari dissidi interni, come gli stabilimenti italiani (e non solo) fermi, i lavoratori in rivolta, cause legali che hanno poco a che vedere con l’automobilismo, e inchieste a dir poco insidiose; come quella di 100 minuti, programma di La7, che ha cercato di fare luce sulla situazione italiana a livello produttivo anche attraverso un ritratto di Elkann, la questione Ferrari e il presunto tradimento degli ideali di Sergio Marchionne, ex dirigente Fiat. Intanto, però, rivela Tobia De Stefano su La Verità, è “inutile nasconderselo, i dati del primo trimestre 2024 della casa italo-francese non sono positivi. Lo dicono - continua - i vari segni meno che caratterizzano la trimestrale (ricavi in diminuzione del 12% secondo, rivela il giornalista, ndr) […] e i numeri delle consegne di veicoli, pari a 1,3335 milioni, in flessione del 10%”. E come se non bastasse, rivela il quotidiano Libero, “forse in pochi ipotizzavano che il titolo potesse andare così a picco in Borsa lasciando sul terreno il 10,1% a 20,88 euro”; ma qual è stata la causa di questa situazione? E soprattutto, quale potrebbe essere la soluzione?
De Stefano riprende le parole di Nathalie Knight (direttore finanziario di Stellantis) in cui, sempre secondo il giornalista de La Verità, si celerebbe “l’esplicita indicazione di una direzione di marcia, quella che spinge la multinazionale dell’auto a insistere sui territori dove il costo del lavoro è più basso e il mercato è meno saturo, ma anche un’implicita ammissione degli errori strategici commessi quando si è deciso di puntare praticamente tutto sull’elettrico”. Ed eccolo qui il casus belli della disfatta: i motori a emissioni zero. Il green non va, e non è una grande sorpresa, “tant’è - scrive De Stefano - che le aree geografiche tradizionali dove le vetture a batteria avrebbero dovuto attecchire prima, Europa e America, sono quelle che soffrono di più”. E dopo la causa, ecco la soluzione: l’Africa. Il continente nero, si legge su La Verità, “ha messo a segno una serie di risultati superiori alle aspettative. Le consegne delle Fiat in Algeria sono aumentate di ben 7 volte rispetto ai numeri di 12 mesi fa […] ma più in generale sono tutti i dati delle vendite ai clienti finali a crescere, portando l’area del Medio Oriente e Africa a un +23% su base annua”. De Stefano la chiama “colonizzazione”, ma vista dall’Italia si tratterebbe piuttosto di una delocalizzazione, nemmeno troppo sorprendente visto la grande attività di Stellantis in terra africana, ma a sbalordire è che “nei prossimi mesi saranno le produzioni e le vendite in Algeria e Marocco - rivela il giornalista - a trascinare i conti e a mettere una toppa rispetto alle difficoltà sui mercati europeo e americano”. Inoltre, in Algeria il colosso automobilistico, secondo quanto riportato da La Verità, “ha deciso di anticipare di ben due anni il programma di ampliamento del sito di Tafraoui […] La nuova casa della Fiat 500 ibrida. A regime lo stabilimento darà lavoro a circa 2.000 persone con una capacità produttiva di 90.000 veicoli all’anno”. Tutt’altra storia, invece, quella degli stabilimenti italiani (e francesi)…
La situazione di Mirafiori, storico stabilimento torinese ex Fiat, è ben nota, ma “ieri - scrive De Stefano - lo sciopero ha toccato Pomigliano, con una partecipazione diffusa e sindacati compatti (tranne Maurizio Landini che si è ‘dissociato’, ndr) […] ma i problemi europei - continua il giornalista - sono generalizzati e riguardano anche Francia e Gran Bretagna”. A lanciare la notizia è stata l’agenzia stampa Reuters, che ha rivelato come, si legge su La Verità, “tre delle maggiori fabbriche di Stellantis si sono fermate per mancanza di componentistica […] Motivo? Le aziende che vendono componenti per le vetture del gruppo hanno deciso di far sentire la loro voce dopo le voci che danno per quasi certo, il totale o parziale spostamento in Polonia delle produzioni ‘francesi’”. A vantaggio di Stellantis c’è ovviamente il costo di produzione, in Africa per esempio, sottolinea De Stefano, “gli operai vengono pagati circa 500 euro al mese”; mentre a vantaggio dell’Italia, e ora si viene a sapere anche di Francia e dell’Uk, non c’è assolutamente nulla. Eppure il colosso ha tanto bisogno di uscire dalla palude in cui si è ritrovata, insomma, vuole tornare a crescere, e proprio per questo si affida a un’altra soluzione: i cinesi, tant’è, riporta il giornale diretto da Maurizio Belpietro, “manager della multinazionale e analisti vedono una speranza di crescita per Stellantis dalla collaborazione con i cinesi di Leapmotor”. Stellantis (e Fiat) sempre meno europea (e italiana)?