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In Italia tutte le nomine culturali sono politiche, dai tempi dei tempi, da sinistra a destra. Come mai su Beatrice Venezi questo casino? Cosa ci sfugge? Chissà

  • di Ottavio Cappellani Ottavio Cappellani

29 ottobre 2025

In Italia tutte le nomine culturali sono politiche, dai tempi dei tempi, da sinistra a destra. Come mai su Beatrice Venezi questo casino? Cosa ci sfugge? Chissà
Perché tanto clamore sulla nomina di Beatrice Venezi alla direzione musicale della Fenice, dopo decenni di nomine politiche accettate in silenzio? Se non è questione musicale, e nemmeno politica, allora cos’è? Ci sfugge qualcosa. Dalla lettera di Pierluigi Panza a Dagospia al silenzio sulle nomine "scarse" della sinistra. Quello che è sicuro è che un bordellone così non avveniva dai tempi di Maria Rosaria Boccia e Gennaro Sangiuliano

di Ottavio Cappellani Ottavio Cappellani

C’è qualcosa che non torna, nella vicenda di Beatrice Venezi, la cui nomina a direttrice musicale al Teatro La Fenice di Venezia è così duramente contestata dagli orchestrali. Qualcosa che sfugge. Ce lo conferma la lettera a Dagospia di Pierluigi Panza, stimato critico d’arte, giornalista e scrittore.
“Sono tra le anime belle che quando Giorgia Meloni ha vinto le elezioni ha sperato che, al posto del pluridecennale amichettismo romano di sinistra, si avviasse un metodo, diciamo, super-partes”. Ed è quello che, sottovoce, ci stiamo chiedendo tutti da un po’ di tempo a questa parte.
Nel senso: che le nomine nei teatri d’opera, nei teatri stabili, nei musei e quant’altro siano in mano alla politica è cosa non solo ovvia, bensì legittima: è la legge a stabilirlo, non il capriccio di una parte politica piuttosto che di un’altra. Che questa “legge” sia in vigore da decenni è cosa altrettanto ovvia. Che tante di queste nomine siano state fatte dall’“amichettismo romano di sinistra”, come scrive Panza, non è un mistero per nessuno. Bene. Allora perché sulla nomina di Beatrice Venezi sta succedendo questo, come chiamarlo, bordellone? Voglio dire, dopo una pluridecennalità di nomine politiche “da” sinistra, ma anche “da” destra, è possibile che la prima sulla quale c’è da ridire, come curriculum, capacità, bravura o quant’altro, sia proprio la Venezi? È questo “quant’altro” che non riusciamo a comprendere.
Perché altrimenti il sillogismo che ne consegue è il seguente: le nomine, per così dire, “di cultura”, fino a questo momento sono state, come si sa, per legge, in mano alla politica, ma, finora, le hanno azzeccate tutte. E quindi dovremmo concludere: in Italia, a sinistra come a destra, abbiamo avuto, sempre, una politica bellissima, commovente, da crollare a mani giunte in ginocchio per la commozione e la gratitudine, poiché, pur avendo in mano il potere decisionale sulle nomine culturali, ha sempre, e diciamo sempre, nominato altissime personalità geniali, vanto della Patria, non solo professionisti indiscussi, ma per di più con quella marcia in più di talento esorbitante universalmente riconosciuto.
Invece sappiamo che sovente hanno nominato delle grandissime teste di minchia e tutti sono stati muti. Sempre, e diciamo sempre, muti. Oddio, magari qualche battutina maliziosa a cena, magari un sorrisino colmo di sottotesto durante un aperitivo, ma mai si era arrivati a queste scene da mercato: orchestrali in piazza, richieste di dimissioni, scioperi, gente che si strappa i capelli, lotte nel fango, scommesse, allibratori, tifo da stadio, urla, cori, gente che passa e allunga la testolina per vedere cosa sta succedendo, insomma, ci siamo capiti.

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Roberto D'Agostino

Lo stesso Panza, nella lettera citata, scrive: “Povero illuso. Il sistema è rimasto lo stesso, applicato con feroce verifica dell’appartenenza del candidato alla destra, meglio se romana di Colle Oppio, per genealogia o per adesione, meglio se con una presenza ad Atreju e con Tolkien sul comodino. La nomina del pianista Nazareno Carusi a soprintendente al Petruzzelli di Bari – ai tempi alcuni lo dicevano essere il ventriloquo di Paolo Isotta su Libero, poi era stato nominato nel Cda della Scala – segue quella di Beatrice Venezi alla Fenice, che segue quella del sovrintendente Nicola Colabianchi sempre alla Fenice, e prima Tiziana Rocca, Giulio Base e, per concorsi o similari, Angelo Crespi a Brera, Pietrangelo Buttafuoco alla Biennale, Alessandro Giuli (dicono con aquila fascista tatuata sul petto) prima al Maxxi e poi a ministro, e via un’infinità di nomi nei Cda, nelle commissioni (leggo che in quella per scegliere i 14 nuovi direttori dei musei c’è Simona Bartolini, l’autrice di Nel bosco di Tolkien. La fiaba, l’epica e la lingua)… Tra questi, tutti ad appartenenza certificata, ci sono persone di valore, spesso collocate fuori posto o fuori tempo, e che dovrebbero essere i primi a rammaricarsi di nomine così targate! Al primo cambio di Governo saranno sostituiti in una infernale tarantella che è un male per le istituzioni culturali”.
Bene, Panza si sapeva, è informato. Ma dopo “il pluridecennale amichettismo di sinistra”, i nomi di quelli scarsi nominati da sinistra li vogliamo fare, o no? Non sto dicendo certo che Panza sia reticente, omissivo od omertoso, è che nessuno, ma dico nessuno, li fa e che per nessuno di questi si è mai scesi in piazza come si sta facendo per Beatrice Venezi. O ci sbagliamo?

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Orchestrali in sciopero alla Fenice di Venezia

Dice: è tutta una faccenda di orgoglio degli orchestrali. È in parte vero. I pessimi rapporti tra la Venezi e gli orchestrali (buona parte di essi) nascono, in maniera certificata, dopo il concerto del 2024 in cui gli orchestrali della Foss (Fondazione Orchestra Sinfonica Siciliana) ebbero da ridire sulla sua conduzione di due concerti, manifestando il disappunto così come lo manifestano le orchestre: non guardandola. Ma è Repubblica, a gennaio del 2024, a specificare che “l’ammutinamento”, lo chiamiamo così perché così lo chiama Repubblica, di parte degli orchestrali era avvenuto “a mezzo stampa”.
Che tra orchestra e direttori possa a volte non correre buon sangue è cosa che accade. Ma ancora Repubblica scrive: “La notizia del malcontento era appena uscita sul sito di Repubblica, scatenando un terremoto”. E dunque no, non è una faccenda di orchestrali: è il salto di qualità che c’è stato tra normali confronti, anche spigolosi, tra orchestre e direttori e farne una “notizia”.
Perché Beatrice Venezi è così tanto “notizia” che a momenti ci sono gli scontri di piazza con i black bloc? No, non sembra una querelle tra orchestrali e direttrice: non è la prima volta che queste figure hanno a che ridire (a vicenda) e no, non è mai successo che succedesse il finimondo.
E dunque sarebbe una questione “politica”. E qui la domanda: ma per colpire chi? Giorgia Meloni? Non credo che l’opposizione (o dei giornali) possano pensare di colpire una premier per una nomina di carattere culturale poiché, come già detto da Panza, sarebbe il bue che dà del cornuto all’asino, e francamente gli italiani hanno altri problemi a cui pensare e non stanno lì a pitillare sul gesto di un braccio o di una mano durante un’esecuzione. E non credo che i fruitori di musica “colta” spostino talmente tanti voti da preoccupare qualcuno.
E allora? È soltanto una fissazione un po’ arteriosclerotica della stampa e di personaggi che orbitano intorno alla cultura? Ecco, forse ci avviciniamo al punto.
 

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Teatro La Fenice di Venezia

Tutta questa vicenda sembra una polemica che all’interno della cultura nasce, o meglio, all’interno di quel circolino (di destra come di sinistra) che ambisce a cariche culturali di nomina governativa. Che se ne voglia fare una questione di principio, di, per così dire, onore della Fenice offesa, può starci, ma a credibilità si sta a zero.
Come detto, ammesso che la Venezi non sia all’altezza di cotanto teatro, non è che nel resto d’Italia gli altri enti siano delle, per dirla alla Proust, fanciulle in fiore dalla virginale rispettabilità.
D’altronde, della nomina di Beatrice Venezi a un ente lirico si parlava da tempo, almeno dal 2023, quando, tra le papabili destinazioni della direttrice, erano dati sia il Teatro San Carlo di Napoli che il Teatro Vittorio Emanuele di Palermo. Lo scriveva Roberto D’Agostino in un Dagoreport su Dagospia del 28 luglio 2023, dal titolo: “Stasera tutti a Taormina per Schermaglie in punto di poesia, dove i due balilla d’Italia, Pietrangelo Buttafuoco e Beatrice Venezi, si dichiareranno eterno amore – versi mejo del viagra! Vogliono ‘risvegliare la bellezza dell’animo innamorato’ – i due piccioncini sono lanciatissimi: la ducetta della Garbatella, che lo considera il nuovo vate (closet) della cultura di destra, vuole Buttafuoco alla presidenza della Biennale di Venezia, mentre la rampantissima Venezi, famosa per il suo lato b-ioscalin, ambisce alla direzione artistica o musicale del Teatro San Carlo di Napoli…”.
Cosa è successo tra il 2023 e oggi? Buttafuoco è diventato presidente della Biennale (il ruolo più potente e ambito della cultura in Italia), sulla Venezi apriti cielo.
Che la destra di governo facesse nomine in base all’appartenenza, come ha sempre fatto la sinistra, si sapeva e nessuno aveva lanciato, per dire, molotov in strada. E allora? Se la questione non è prettamente “musicale” e se non è “politica”, alla fine della fiera, cosa resta?
In questi casi si consiglia di usare il Rasoio di Occam: la spiegazione più semplice, che richiede il minor numero di ipotesi, è da preferire. A quanto ci ricordiamo, un casino così non si vedeva dai tempi di Maria Rosaria Boccia e di Gennaro Sangiuliano.

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