Cos’è un romanzo rosa se non la chiglia di una nave piena di desideri lussuriosi e romantici a un tempo, a metà tra lo strattonamento (che invece di essere sentimentale si richiede sia, almeno in un primo momento, sessuale) e la carezza (questa, sì, emotiva, e lontanissima dall’aggressività degli amplessi). Le giornate che trascorro nella libreria in cui lavoro principalmente sono occupate da decine di ragazze che vengono a prendersi l’ultimo titolo consigliato nelle recensioni di Tik Tok, dove ragazzi e ragazze libertine (o in origine pure/i, purissime/i e poi animalesche/i) si strusciano in ogni stanza, di ogni luogo, di ogni punto geografico (dai lunapark alle high school, dalle case delle zie alla camera accanto a quella dei propri genitori). I romanzi rosa, dicitura slombata e decisamente impossibilitata a trattenere quel mix di libri che vanno dalla pura storia d’amore poco più hot di Cenerentola alla trasposizione letteraria del Tarzan di Rocco Siffredi, non sono altro che il modo migliore per alimentare quella foga dovuta alla tempesta ormonale, un po’ come tirare i remi in barca e decidere di dondolare da un lato all’altro del ponte, lasciando che la parte immersa nel mare delle passioni venga sollecitata. Ancora e ancora. Chi non legge romanzi rosa o è sufficientemente appagato dalla vita reale o è naufragato nell’isola della noia. Grazie a un articolo uscito su «Rivista studio» ho scoperto che un’autrice di romanzi Harmony, tale Josie Bell, altro non è che la madre della prima donna italiana, la donna par exellenze incarnante il modello folkloristico di animale femminile della nostra stessa specie (madre e cristiana). Sto parlando di Anna Paratore, autrice non solo di pagine di sesso di vario tipo, ma anche di quel libro aperto che è la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni.
Proprio così. Chissà se da piccola Giorgia si sia mai accovacciata sulle scale di casa, o si sia chiusa in camera a chiave, mentre leggeva le pagine proibite di Anna, scoprendone i feticci e i desideri più reconditi. E chissà come avrà iniziato a vedere sua madre, autrice in grado di trattare temi ben poco leciti agli occhi di una conservatrice. Non che non si possa pensare semplicemente a un afflusso umano di passione trapelato dalla solida rete vittoriana di valori di cui Giorgia si è sempre fatta portavoce. Scopriamo qualche trama. Prigioniera di te è uno dei titoli che più mi ha colpito. Un bruto animalesco e bellissimo omone, dotato di una dolcezza ben celata dal suo atteggiamento prevaricatore, è il carceriere di una prigione in cui la giovane vergine e orfana Stephanie Carter è finita dopo essere stata rapita dall’Ira. Lui la fa sua, con brutalità e senza consenso. Le mette le mani dove non si dovrebbe, “con maestria”, mentre rifulge l’asta irrorata di sangue grazie alla quale Stephanie scoprirà “com’era un uomo”. E le piace. La stupra e le piace. Le piace così tanto che si innamora di lui. E lui di lei. Tant’è che finiranno per andare a letto al piano superiore di un bel salotto londinese. È il 1994; due anni prima Giorgia Meloni era entrata nel Fronte della Gioventù, la giovanile neofascista del Movimento sociale italiano, e due anni dopo sarebbe diventata responsabile nazionale di Azione studentesca, la giovanile di Alleanza Nazionale. Un bel contrasto, dato da questo chiaroscuro madre-figlia, che potrebbe suggerirci qualcosa. Forse la rigidità morale della Meloni è il rifiuto inconscio della rigidità erettile dei protagonisti dei romanzi della madre, che stanno a indicare lascivia, erotismo sfrenato e tendenza a infrangere le regole? O forse le convinzioni politiche di Meloni (e famiglia?) si nutrono di questo alter-ego di carta, usato come tubo di scarico per sfogare tutto ciò che il conservatorismo ammazza? Ma sono illazioni, filosofeggio sul nulla. Forse non è niente di tutto questo, anche perché non farei fatica a credere che, tra i tanti libri che Giorgia non ha letto, vi siano anche quelli di Anna Paratore in Meloni.