La Pirelli correrebbe il pericolo di “cinesizzarsi” del tutto. Secondo il Messaggero, l’azionista di maggioranza relativa, il gruppo cinese Sinochem (37%), vorrebbe estendere il proprio controllo anche alla scelta dei dirigenti, finora di competenza della Camfin, la holding dell’amministratore delegato della società, Marco Tronchetti Provera, che possiede il 14%. Il nuovo patto parasociale del 22 maggio scorso prevede in effetti che si rafforzi il peso di Sinochem, che vedrà aumentare di uno, da otto a nove, i propri consiglieri d’amministrazione, contestualmente facendone perdere uno a Camfin. Tronchetti inoltre perderà il ruolo di ceo, conservando quello di vicepresidente esecutivo. In parole povere, al timone della Pirelli potrebbe non esserci più un italiano, ma un cinese. E questo a dispetto delle recenti dichiarazioni in senso opposto dei comproprietari dagli occhi a mandorla, che rassicuravano sul mantenimento della “italianità” dello storico marchio.
Il patto tuttavia è sospeso, fino a quando non si esprimerà il governo italiano con il golden power, il potere in capo a Palazzo Chigi di bloccare o sottoporre a condizioni delle decisioni che dovessero ritenersi contrarie all’interesse nazionale in aziende strategiche, com’è il colosso dei pneumatici. Per il quotidiano romano, il rischio nello specifico è di un’ingerenza cinese che richiama “esplicitamente la linea dettata dal 20° Congresso Nazionale del Partito Comunista con una evidente eterodirezione da parte di quest’ultimo” sull’operatività della Pirelli. In pratica, Pechino si accaparrerebbe preziose informazioni sulle tecnologie aziendali, magari grazie all’integrazione dei sistemi informatici con la Sinochem. La Pirelli ha già subito l’interruzione del suo commercio fra Cina e Stati Uniti per i dazi americani su Sinochem. Washington ha infatti classificato la compagnia cinese come “Chinese Military Company”, il che rischia di far declassare Pirelli nei rapporti con il mercato americano, se non addirittura farla eliminare.