L’intelligenza artificiale è bella, se la mette nel cu*o ai poveri, ma se mette in discussione i manager allora alt, pensiamoci, valutiamo le conseguenze, definiamo la legislazione. Ma questa è una bolla! E, al solito, il piccolo risparmiatore vede andare in fumo quanto investito, mentre i manager si incollano coi loro sederi grassi (o secchi) alla poltrona sempre più traballante. Perché l’economia, signori miei, è narrazione. O no?
Così, la dichiarazione di Sam Altman secondo cui l’intelligenza artificiale può assumere ruoli decisionali nelle imprese ha acceso non solo un dibattito tecnologico, ma un cortocircuito psicologico-finanziario dai risvolti concreti sui mercati. Quando Altman – alla guida di OpenAI – ha indicato che l’IA non sarà più mero supporto operativo, ma che potrà accompagnare le dirigenze nei compiti "decisionali", ha rafforzato la percezione che il cambiamento fosse imminente e radicale. Il che, in soldoni (vi piacciono i soldoni, eh), vuol dire che non c’è miglior manager dell’intelligenza artificiale, non solo per i cicli produttivi e la gestione aziendale, ma anche per – ussignur ussignur – i fondi di investimento, dove algoritmi e benchmark la fanno da padroni, con i manager – ah, monelloni – che usano l’IA in privato, di nascosto, seduti sul cesso di marmo e oro e fette di culo dei poveri, ma guai a farlo sapere, che l’intelligenza artificiale, se si tratta di soldi, è migliore di loro.
E così i manager di fondi e responsabili degli investimenti, molti assoggettati a contratti a termine e bonus legati alla performance, hanno reagito con “cautela”, che è il termine finanziario per dire che se la stanno facendo sotto – nel tragitto che li porta dalla poltrona al cesso. La narrativa secondo cui l’IA potrebbe ridurre il ruolo umano o comprimere la funzione decisionale ha innescato un comportamento prudenziale: riduzione dell’esposizione e riallocazione dei portafogli, ossia: meno investimenti e vendete, vendete, vendete, fate svalutare questa cazzo di IA che ci vuole fottere il posto di lavoro. Perché, fino a quando l’IA applicata alla robotica toglieva il lavoro agli operai, al proletariato carne da macello, tutti a benedirla e a incensarla e a riempirla di soldi: ma non scherziamo con le poltrone pesanti. Sam Altman, devo confessarlo, mi ha fatto squir*are anche dalle orecchie: che meraviglioso scherzo ai detentori del potere finanziario.Non si tratta solo di ipotesi psicologica (che sui mercati è più importante della riserva aurea, ma questo si sa): i dati sui flussi dei fondi mostrano che i capitali diretti verso asset legati all’IA hanno subito deflussi negli ultimi anni. Secondo l’ESMA, i fondi europei che dichiarano l’uso dell’IA o del machine learning hanno registrato netti deflussi, quasi sempre superiori alla media. Il collegamento con il crollo delle azioni IA diventa evidente se si considerano le dinamiche dei mercati: Bloomberg L.P. segnala che gli investitori attivi hanno ridotto l’esposizione alle azioni legate all’IA in risposta a preoccupazioni da bolla e a tensioni valutative (Bloomberg, 2025).
Questa riduzione di capitale, combinata con valutazioni elevate e costi infrastrutturali, ha contribuito a generare volatilità e caduta dei prezzi. In termini più comprensibili, ma va là, adesso l’IA è una “bolla” e, signore e signori: adesso inquina. Come se tutti questi orribili omuncoli destinati dalla vita a fare soldi per darsi un minimo di importanza (poiché sono brutti, altroché se lo sono, brutti fuori e di conseguenza brutti dentro e – ne sono certo – minidotati) fossero adesso all’improvviso preoccupati di quanto l’IA possa inquinare o quanta acqua possa consumare per raffreddarsi. Grande Altman! Prima era bella – quando era in cu*o ai poveri, adesso è brutta, l’IA. Ma ci facciano il piacere. In termini concreti, i dati ESMA mostrano che i fondi attivi hanno aumentato la loro quota nei titoli “AI-driven companies” da circa 9% a circa 14% in pochi anni, con il valore di mercato delle posizioni quasi raddoppiato. Tuttavia, i deflussi osservati indicano che, quando la narrativa di mercato muta – come nel caso della dichiarazione di Altman – la paura di rimanere indietro o di trovarsi marginalizzati spinge i manager a rivedere rapidamente le proprie allocazioni (che vuol dire: “fuggiamo via prima che l’IA ci fotta”).
I dati sui fondi, uniti alle dinamiche di mercato riportate da Bloomberg e ESMA, permettono di sostenere con ragionevole forza che la paura dei manager abbia ridimensionato gli investimenti in IA, contribuendo al rallentamento della corsa ai titoli e alla conseguente caduta dei prezzi. Non si tratta di un giudizio morale o speculativo, ma di una conclusione supportata da evidenze di flussi e comportamento degli investitori istituzionali.
In definitiva, la combinazione di narrativa tecnologica, valutazioni elevate e pressione sulla performance dei manager ha prodotto un fenomeno in cui psicologia e finanza si intrecciano: la paura dei manager non è un’astrazione, ma una componente reale che ha contribuito a ridefinire i portafogli e il mercato delle azioni IA. Bau Settete!