Più che un isolotto uno scoglione
I democratici componenti della commissione di vigilanza della Camera americana hanno pubblicato le foto inedite della villa di Jeffrey Epstein sull’isolotto caraibico di Little Saint James (strano scherzo del destino, dicono che il James di Epstein non era Saint ma un bel po’ Little), luogo dove le minorenni venivano sottoposte ad abusi e luogo visitato – pare, si dice, si mormora – da grandi e potenti della Terra e: minchia ma quant’era brutta. Talmente brutta che, ove i nomi dei “forse” frequentatori dell’isola fossero confermati – anche se Ghislaine Maxwell pare si stia facendo il carcere come con la bocca cucita –, sarebbero per loro guai seri; che ci vai a fare in una villa arredata da schifo se non per abusare di minori? Certo, la villa insisteva (dagli atti risulta che gli ospiti erano insistenti con le giovani ragazze) su un isolotto, anche se a me pare più uno scoglione (70 ettari circa, manco buona per fare il vino e piantare due cipolle) e tutto quello che ruota intorno a Epstein sa di piccolo, Little è l’isolotto, Little il James, Little le ragazze, Little i personaggioni che (forse) frequentavano lo scoglione. No perché uno come fa a starsene in quella casa orripilante senza scoglionarsi, cioè senza levarsi dallo scoglione?
Dentiere volanti
C’è una stanza con una sedia da dentista e non si capisce se la usavano per farsi fare i massaggi o se sullo scoglione abitasse anche un o una qualche dentista pronto o pronta a riattaccare le dentiere ai vecchi bavosi. No perché uno, guardando quella stanza, viene preso da una sorta di sentimento da RSA e si immagina dentiere che volano come frisbee e capsule sparate fuori come proiettili: “avete visto che significa fare i giovinotti alla vostra età?”. Comunque, alle pareti, ci sono appese delle maschere tipo cariatidi dei balconi barocchi, ma moderni, con le facce di vecchi bavosi, così forse il o la dentista li guardava e si ispirava.
Nonne daltoniche
Nello studio (foto in apertura) c’è una scrivania di legno nero lucido. Adesso: già fa orrore che uno metta la scrivania di legno nero lucido in uno studio dove le pareti sono rivestite dalla libreria in legno marrone. Ma è proprio il concetto di scrivania di legno lucido che fa ribrezzo. Anzi è proprio il legno nero lucido in generale che è una follia. Io mi immagino il tipico proprietario di una scrivania di legno nero lucido come un tipo alto, magro, nudo a parte una harness, mutande di vinile con la zip davanti e dietro, reggicalze maschile, calze di filo di Scozia nere alte, e scarpe di coccodrillo (nere). Ah, il tizio è anche calvo e indossa degli occhialini tondi e nel complesso somiglia a Gandhi se Ghandi fosse stato tedesco e incline ai frustini. Nel salotto c’è anche una seduta con quattro poltrone della nonna daltonica, con disegni tipo ceramiche di Caltagirone venute malissimo, ma poi è come se Epstein avesse finito i soldi perché manca il tavolino al centro.
Il comodino tra le palle
La stanza da letto c’ha il letto a baldacchino minimal dell’Ikea, ma senza baldacchino, con i tubi quadrati a vista. Che è come montare su una bicicletta i supporti per le rotelle ma senza montare le ruotine. A terra un tappeto siciliano zigzagato, quelli che usiamo nelle case di campagna perché ci cammini sopra col fango negli stivali e ci si accucciano i cani (sono i miei preferiti, infatti mi fa strano vederlo in una stanza minimal da designer hipster che vuole fare il figo e invece si vede che è solo povero).
In un’altra stanza, immensa, c’è solo un letto, una scrivania faccia a muro di quelle che usavano i poveri che avevano le stanze piccole, un comodino spaiato che impedisce il passaggio attraverso una porta, o portafinestra: con tutto quello spazio ha messo il letto nel posto sbagliato e il comodino gli è andato a finire tra le palle della portafinestra. Accanto a una parete c’è quella che sembra una stufa a infrarossi, di quelle che consumano poco e non riscaldano ma che servono per risparmiare in bolletta.