Il male minore. Considerate le posizioni in classifica recuperate da Ultimo, toccava sperare nella vittoria di Marco Mengoni. Vittoria che è arrivata. Questo nonostante il fatto che la sua "Due vite" sia una canzoncina pretestuosa, priva di un testo dotato di senso (prima di protestare, dategli una letta!), buona solo grazie alle incredibili doti canore che l'artista possiede (e di cui eravamo già al corrente da sempre).
C'è stato un momento in cui si è deciso che Mengoni fosse un grande nome della musica nostrana? Sì. Come ce ne è stato un altro, durato anni, in cui era, nonostante gli sforzi, una delle tante meteore da talent. Non perché, alle volte si legge in giro, ai tempi era più difficile per un vincitore di X Factor o Amici farsi notare dalle radio, risultare credibile. Semplicemente: non riusciva a tirar fuori brani che fossero sotto la soglia dell'inquinamento acustico. Questo fino a che non si è digi-evoluto in un juke-box da discografica, accettando qualunque pezzo gli si proponesse, rinunciando alla propria identità di artista. Dell'artista fenomenale che avrebbe tutte le carte in regola per essere, intendiamo. C'è parecchio da dire e abbiamo proprio voglia di raccontarvi questa storia per intero. W Marco Mengoni, il più grande spreco di talento italiano.
Era il 2009 quando Marco Mengoni vinse X Factor, dopo aver passato l'intera edizione a bisticciare con Morgan, il suo giudice. Il ragazzo non era d'accordo con le assegnazioni, con i modi di fare del maestro, con nulla. Poi, puntualmente, sul palco spaccava a ogni puntata. Praticamente un teaser di Whiplash, l'esperienza si conclude per lui con un meritatissimo trionfo. Da lì, però, nonostante il successo degli inediti presentati durante il programma, la sua carriera stenta a decollare. Il colpo di grazia arriva con il primo disco, Solo 2.0, anticipato da un singolo omonimo della durata di 6 minuti: solo gorgheggi, acuti, in un vagito isterico di sperimentazione che non va da nessuna parte. Era il 2011, la stella di Mengoni, già appannatissima, riceveva così il definitvo colpo di Swiffer.
In buona sostanza, dal 2009 al 2013, Mengoni girava per le serate ancora messe in piedi dalla morente Mtv per avere un palco su cui esibirsi, nessuno lo considerava più di una sciagurata meteora da talent, come tantissime altre. Poi, la svolta. Svolta che arriva con la partecipazione al Festival di Sanremo, edizione 2013. Come tutti sappiamo, portà sul palco dell'Ariston L'Essenziale e stravinse con merito. Chi scrive era a Sanremo quell'anno e ricorda benissimo come Mengoni fosse inavvicinabile: no interviste (salvo le due/tre testate principali), no foto, no niente. Una gestione che viene riservata dalle discografiche ai nomi più "grossi", non certo ai concorrenti all'ultima spiaggia, a quelli che "Ora o mai più". Eppure... Eppure quell'anno Marco Mengoni vinse, meritatamente, anche grazie alla straordinaria cover di Ciao, Amore, Ciao, e da lì diventò la star che tutti oggi conosciamo. Come vi immaginereste il suo primo provino a X Factor?
Con una voce come quella, si potrebbe pensare un'immediata standing ovation da parte dei giudici. Non andò così. Certo, il talento era ancora grezzo, ma vorremmo porre l'attenzione sulle parole che gli disse Morgan:
"A me piace molto il tuo timbro. Però hai una sovrastuttura che secondo me ti rende da un lato personaggio e dall'altro anche un po' macchietta".
Poi, una volta che il concorrente esce di scena, commenta:
"Lui si guarda, si ascolta, si vede. Bisogna distoglierlo da sé, bisogna togliergli lo specchio da davanti".
Risulta impossibile dargli torto, considerata la piega che ha preso, da quel Sanremo 2013 la carriera di Mengoni. Non stiamo parlando dei milioni di copie vendute, degli Stadi, stiamo parlando della voce maschile più incredibile che circoli su territorio nazionale oggidì. Voce che purtroppo, però, non ha mai smesso di gorgheggiare davanti allo specchio, proprio come era stato profetizzato da Castoldi. Però, c'è di peggio.
C'è di peggio perché, oramai da anni, le canzoni di Marco Mengoni non sono nemmeno degne di essere definite tali. Spesso indistinguibili dal repertorio, anch'esso oramai deludente, di Tiziano Ferro. Finché vende, va bene. Anzi, no. Perché stiamo parlando di un artista dall'estensione vocale tale per cui nulla gli sarebbe impossibile, da Freddie Mercury in su. In Italia, però, ci accontentiamo di sentirgli intonare brani che potrebbe fare chiunque, del coro gospel che manco Natale in Vaticano se fosse girato a Buccinasco. Quando Mengoni potrebbe e dovrebbe avere un'identità propria perché basta a se stesso. E avanza pure. Vincerà Sanremo? Con ogni probabilità. Perché ci piace il bel canto, perché ci piace la pigrizia, perché adoriamo lo spreco di talento. Contenti noi.