«Avete letto l’articolo?», «Purtroppo sì». Parliamo con Polis Aperta dopo aver pubblicato l’intervista a Davide Bombini (“educatore e frocialista stagionata con quindici anni di attivismo queer alle spalle”) che ci aveva spiegato perché, a detta sua e di buona parte dei movimenti queer non pacificati, Polis Aperta dovrebbe restare fuori dai Pride. Alessio Avellino (agente e Presidente in carica di Polis Aperta) ci mette in contatto con Simonetta Moro, agente di polizia locale a Bologna, psicologa, delegata alla formazione nel direttivo, nonché ex Presidente dell’associazione dal 2012 al 2018. Dal confronto emergono tre punti chiave: Polis Aperta non ha mai sfilato ai Pride in divisa; più che incazzati sono amareggiati; non escludono il confronto con quella che chiamano «l’ala antagonista», anzi, la provocano proponendo un’alleanza: «Non è che i risultati li ottieni solo andando contro e facendo la guerra. Bisogna cogliere e incentivare il positivo che c’è, il cambiamento lo ottieni dando l’esempio: a mio avviso è più efficace che criticare e lamentarsi. Poi, se loro hanno l’obiettivo di far saltare in aria il sistema Polizia, ovviamente no. Ma io penso che chiunque ragioni un attimo, possa comprendere che non esistono le condizioni per vivere in uno Stato in cui non ci sia un’istituzione che garantisce la giustizia».
Mi avete detto che abbiamo veicolato delle informazioni sbagliate: quali?
Ci sono alcune idee e affermazioni completamente sbagliate, portate avanti da anni. Prima di tutto bisognerebbe capire cos’è Polis Aperta: un’associazione di volontariato, come Arcigay o Amnesty. Quindi noi non rappresentiamo l’istituzione Polizia. Abbiamo anche Vigili del fuoco, personale sanitario e civili. Persone che sposano i nostri stessi intenti: sensibilizzare sui crimini d’odio ai danni delle persone LGBT+. Significa che ci poniamo come ponte tra l’istituzione polizia e la comunità LGBT+.
Chiariamo: voi non potete sfilare ai Pride in divisa?
No, quindi anche questo è scorretto. Indossiamo le magliette della nostra associazione, con il nostro slogan. C’è questa idea che siamo una sorta di sceriffi e possiamo andare in giro in uniforme, ma si può indossare solo se si è in servizio oppure previa autorizzazione. Forse ci confondono con quelli che fanno ordine pubblico per la sfilata?
Polis Aperta non ha mai sfilato ai Pride in divisa con autorizzazione
No. In Italia mai nessuno. Il Pride in Italia è considerato una manifestazione politica, e noi non abbiamo neanche mai chiesto di poterla indossare. Non avrebbe senso presentarsi in divisa.
Quindi il problema qual è? La maglietta con il nome dell'associazione?
La stragrande maggioranza del movimento LGBT+ ci sostiene. Sono anni che collaboriamo con AGedO, con Arcigay, con le famiglie arcobaleno. Queste minoranze antagoniste quali obiettivi perseguono? Il problema della violenza e dei crimini d’odio ai danni delle persone LGBT+, loro come pensano di risolverlo? Come pensano di combattere il sommerso? O la mancanza di denunce, perché le persone hanno paura di andare a denunciare? Le persone vengono aggredite anche da chi non appartiene alla polizia. E comunque noi dall’interno cerchiamo di promuovere proprio la tutela delle vittime LGBT+. Questo a loro non interessa?
Non sarebbe più utile che voi partecipaste ai Pride proprio in divisa, per dare un messaggio simbolico e politico?
All’estero lo fanno. Realtà come la nostra non sono associazioni civili di volontari, alcune sono proprio dei gruppi interni all'istituzione Polizia. Lo scopo per cui all’estero sfilano nel corteo in divisa, anche in gruppi di cinquanta persone, è di rassicurare la comunità LGBT+ che la Polizia è loro alleata.
Dall’interno dell’istituzione Polizia come è vista la vostra esistenza?
Più che ostilità credo ci sia ignoranza, ed è quello che cerchiamo di cambiare noi. Siamo poco conosciuti, infatti cerchiamo di incoraggiare i colleghi e le colleghe al coming out. L’altro giorno una nostra iscritta mi diceva che ad oggi sono arrivati a cinquanta unioni civili all’interno dei Carabinieri, e in alcuni casi si sono sposati in divisa. Devi essere autorizzato dal comando per farlo.
«Come se la vive un poliziotto di sinistra?». Bombini parla di una Polizia machista e maschilista. Sei d’accordo?
In Italia si ideologizza tutto, dev’essere tutto di destra o di sinistra. In realtà la situazione interna è molto variegata, come in qualsiasi posto di lavoro puoi trovare apertura, ignoranza, ostilità. Non siamo un monolite.
A te non è mai capitato di scontrarti con machismo e sessismo?
No, almeno non apertamente. Nella Polizia locale di Bologna le donne sono in maggioranza rispetto agli uomini.
Polis Aperta si è dissociata pubblicamente dalle azioni degli agenti milanesi contro Bruna. Per Bombini non è abbastanza.
Non solo ci siamo dissociati: se Bombini legge bene, noi prendiamo una posizione. Lui dice che prendiamo le distanze e basta, ma nel comunicato parliamo proprio di violenza sistemica.
Combattere la violenza sistemica dall’interno: cosa vuol dire e cosa comporta?
Criticare da fuori è facile. Noi esponendoci dall’interno - con le nostre facce, i nostri corpi e le nostre vite - non sappiamo bene come andrà a finire. Queste frange antagoniste di cui parla Bombini, da quel che capisco abolirebbero proprio la Polizia. Ma purtroppo non viviamo in una società illuminata: se io sapessi che da domani ognuno fuori può fare quel che vuole, perché tanto non c’è la Polizia, non uscirei più di casa. Potrebbero rapinarmi, violentarmi. Non so bene che obiettivi abbiano loro. Abolire un’organizzazione che comunque ti tutela e previene certi tipi di reato? È necessaria. Piuttosto, cerchiamo di far sì che funzioni bene.
Ok, ma la violenza sistemica all’interno della Polizia da cosa dipende?
Da colleghi e colleghe che sbagliano. Non sono in grado di gestire la propria emotività, di comunicare in maniera efficace, di contenere le persone senza fare male se vanno in escandescenza. È necessaria una selezione su caratteristiche psicoattitudinali, per fare questo lavoro. E poi ci vuole una formazione. Io stessa ho fatto dieci anni di strada, e non è un lavoro facile. Ci sono situazioni molto stressanti, sei il biglietto da visita delle amministrazioni e quindi scaricano su di te tutte le loro frustrazioni. Ci sono persone che provocano, può essere pericoloso. Polizia di Stato e Carabinieri, se son chiamati a intervenire su una rapina o in una sparatoria, rischiano la vita.
A volte però si tratta di transfobia, razzismo e sessismo gratuiti.
Certo, le immagini parlano chiaro (si riferisce di nuovo agli abusi contro Bruna, nda). Quel collega ha usato lo strumento in maniera assolutamente impropria. Esiste il codice europeo di etica per la Polizia, c’è un articolo che delinea come dev’essere un agente. Bisogna selezionare chi non va in strada per smanganellare le persone, chi sa gestire il conflitto.
Dopo aver letto l’articolo come vi siete sentiti?
Molto amareggiati. Anche l’anno scorso, la reazione del Rivolta Pride nei nostri confronti ci ha molto amareggiato. Mi son messa a piangere. Sono anni che ci esponiamo, anche a nostre spese. Già non è facile, e sentire che nella comunità c’è questa ostilità, quando invece dovremmo essere alleati, è molto triste. Tutto questo ci fa anche pensare: attivisti contro le discriminazioni, alla fine usano le stesse categorie - il pregiudizio e lo stereotipo - nei confronti di chi sta provando a fare la differenza, proprio perché fatti come quelli di Milano non accadano più.
Cos’era successo con il Rivolta Pride di Bologna 2022?
L’impostazione del Rivolta Pride è quella di chiedere a tutte le associazioni di non portare il proprio nome e le proprie bandiere, lo abbiamo scoperto con loro nel 2022. Non c’era neanche la presenza dei sindacati. Poi, di fatto, le famiglie arcobaleno sono andate con il trenino e le loro magliette, perché non sono d’accordo con questa impostazione. Per noi è stato un problema che loro avessero pubblicato dei post in cui associavano il nome di Polis Aperta a violenze della Polizia, stupri e fatti che noi cerchiamo di contrastare.
Non è mai capitato che dei soci di Polis Aperta compiessero atti abusanti?
No. Chi vuole entrare come socio o socia deve aderire allo statuto di Polis Aperta, e vigiliamo costantemente che ci sia una coerenza rispetto ai nostri principi. Nel caso succedesse, la persona verrebbe espulsa dall’associazione. È capitato che qualche socio pubblicasse sui social dei contenuti non in linea: se fai un post contro le persone ROM, non lo tolleriamo.
Davvero la moneta di scambio per un individuo tutelato è di discriminarne un altro?
Sì, è così. Anche perché Polis Aperta non ha nessun potere. Non c’è questa connessione con l’istituzione Polizia, come loro percepiscono. Noi siamo proprio tra l’incudine e il martello. Ma troviamo pregiudizio in tutti e due gli ambiti.
In Polizia che pregiudizio trovate?
L’ostacolo più grosso è quello di uno scarso interesse. Non c’è tanto la volontà di discriminarci, però non viene percepito che il crimine d’odio non è un crimine di serie B.
Quante persone conta Polis Aperta?
Un’ottantina di iscritti. Pochissimi, se tieni conto che ci sono anche eterosessuali sensibili alle tematiche, e civili che non lavorano in Polizia.
Perché siete così pochi?
Perché abbiamo molti contatti, ma poi le persone non si iscrivono per paura di essere identificate come lesbiche, gay e quant’altro. Molti non hanno ancora fatto coming out. Altri sì, ma semplicemente non hanno voglia di impegnarsi nell’ambito dell’attivismo.
C’è anche la paura di compromettersi sul lavoro?
Potrebbe esserci. Ma per ostacolare una carriera si possono usare molte altre scuse e modalità.
Ma il rischio reale in Polizia qual è? Quando vi esponente con un post o un comunicato, cosa rischiate?
Al nostro interno potrebbe non essere ben visto da persone più reazionarie, da chi ha paura del cambiamento. Ci esponiamo anche ad azioni indirette che possono compromettere la carriera. Dobbiamo sempre fare attenzione a come muoverci: un lavoratore in generale non può parlare a nome della propria organizzazione né può parlarne male, se non in una veste sindacale. Una critica che ci viene fatta spesso a Bologna dall’ala antagonista, è che non critichiamo tutto apertamente. Un impiegato comunale non può fare un post contro il Comune, è soggetto a un ordine disciplinare.
Credi che un dialogo con l’ala antagonista sarebbe utile?
Assolutamente. Facciamo due assemblee all’anno e chiediamo ospitalità nei circoli LGBT+ proprio per farci conoscere e confrontarci. Spero si arrivi all’apertura di un dialogo e alla costituzione di un’alleanza, perché veramente gli obiettivi sono gli stessi. Ben vengano dei video come quelli di Milano, che si inizi a denunciare dentro e fuori. Poi, se loro hanno l’obiettivo di far saltare in aria il sistema Polizia, ovviamente no. Ma io penso che chiunque ragioni un attimo, possa comprendere che non esistono le condizioni per vivere in uno Stato in cui non ci sia un’istituzione che garantisce la giustizia.