C’era un periodo, poco più di dieci anni fa, in cui su Facebook sono iniziati a nascere gruppi dedicati a ogni caso di cronaca. Alcuni cercavano verità, altri sfogavano rabbia. Poi c’erano quelli come “Delitto Garlasco: chiediamo giustizia per Chiara Poggi”, che provavano a fare entrambe le cose. A gestirlo c’era Maria Grazia Montani, che si presentava come una medium. Diceva di parlare ogni giorno con Chiara dall’aldilà. Sul serio. “Mi svegliavo urlando nel cuore della notte, Chiara mi faceva rivivere l’omicidio”, ha raccontato in aula. E da quelle conversazioni ultraterrene sarebbero nati i post pubblicati tra il 2011 e il 2013: frasi forti, dure, come “Stasi sei finito”, “La pagherai”, “Arriverà la giustizia divina”. Secondo lei, non minacce, ma “previsioni su quello che sarebbe accaduto”. Solo che quelle parole sono finite in tribunale, insieme a una denuncia per diffamazione e minaccia aggravata presentata da Alberto Stasi, l’ex studente della Bocconi condannato in via definitiva a 16 anni per l’omicidio della fidanzata Chiara Poggi, uccisa il 13 agosto 2007 nella sua villetta di Garlasco.

Stasi ha raccontato di essere stato pedinato, fotografato, e che nei post si faceva riferimento anche alla sua vita privata: presunti festini, uso di droghe, insinuazioni personali. “Me lo disse Chiara”. Dopo la sentenza, ha chiesto scusa: “Mi dispiace molto per quello che ho fatto. Per me 15mila euro sono già una cifra grandissima”. Il tribunale l’ha condannata a risarcire 15mila euro per diffamazione. Per le minacce, invece, è stata assolta per non luogo a procedere, perché Stasi ha ritirato la querela in cambio di 6mila euro. In totale: 21mila euro, più una multa di 900 euro. La sua linea difensiva è rimasta ferma: nessuna volontà di minacciare, ma solo l’intento di “fare giustizia per Chiara”. Giustizia che, nel frattempo, era già arrivata nelle aule giudiziarie. Una vicenda surreale che oggi sembra lontanissima, ma che all’epoca aveva scosso i social e non solo. Un pezzo di storia parallela, nata da un dolore vero e cresciuta in uno dei primi esperimenti collettivi di “giustizia online”, prima che diventasse la normalità.

