La musica non è solo numeri, alla maturità i professori non dovrebbero nemmeno permettersi di valutare l'esame degli studenti in volgari cifre, bisognerebbe proprio smetterla di equiparare l'arte alla matemica, altrimenti i cantanti, poverini, si stressano e, per ansia da prestazione indotta, cancellano interi tour perché dislocati in palazzetti che non potrebbero mai riempire, forse manco fra 10 anni di carriera. Poor little stars. In mezzo alla melma che ha travolto il panorama nostrano delle sette note, tra 'sold out' gonfiati e presunte 'star' indebitate con manager o chi per essi, un'unica stella continuava a brillare, addirittura oltreoceano: quella di Damiano David, l'ex Maneskin a cui era salita la febbre dell'America. Ma indovinate un po'? Come già precedentemente esposto qui, ancora prima che il disco dell'esordio internazionale vedesse la luce, 'Funny Little Fears' è stato un flop. A certificarlo, 'Il Messaggero' con un articolo firmato da Mattia Marzi che riporta dati di vendita disperanti: l'album der Damianone, uscito il 16 maggio scorso con faraonica promo social mondiale, non è mai riuscito, in due mesi di tempo, ad accaparrarsi nemmeno un posticino tra le prime duecento (duecento!) posizioni della classifica Billboard. In pratica, nessuno se ne è beatamente accorto. Poi, va bene, gli stream di alcuni brani risultano alti: fa pur sempre piacere saperlo, ma il fatto è che, detta terra terra, alla fine questi 'ascoltatissimi' brani se li sono comprati le mosche. Ora, sempre 'Il Messaggero' paventa una possibile reunion dei Maneskin, un ritorno all'ovile per l'americano di casa nostra che poco si concedeva alla stampa del Paesello natìo. No, lui è quello che si fece intervistare per 'Vogue Italia', ok, ma da Andrew Sean Greer, Premio Pulitzer born in the USA. E, ovviamente, in inglese. Uno storytelling pervasivo, quello del successo oltreoceano del David, che si sono bevuti in molti, tra media genuflessi e fanatici social. Peccato, però, che non sia mai, nel concreto, accaduto davvero. Tant'è che oggi niente niente je tocca rimetter su il complessetto che si portava appresso dai banchi del liceo. Ehi, che si aspettava?
Non vogliamo del male a Damiano David, sia chiaro. È che troviamo lo spreco di talento sempre molto fastidioso. Questo ragazzo è nato per stare sul palco: desing ineccepibile, pare una scultura greca, ha un timbro vocale oltremodo interessante e perfino la capacità di scrivere testi che, piacciano o meno - qui son gusti, sembrano davvero dettati da urgenza personale, artistica. In pratica, jackpot. Così ne nasce uno su mille. A tutto questo, però, il nostro ha voluto in qualche modo rinunciare. Rinunciare alla propria identità per andare a fare la sottomarca di Harry Styles, come un qualunque wannabe senza stoffa né idee. Un'operazione contronatura e, di conseguenza, sbagliatissima. Foss'anche solo per lo sfregio perpetrato ai propri danni. Madre Natura t'ha dato tutto quanto, Damià, e je hai risposto: "No, grazie. Io voglio essere qualcun altro" - che esiste già. Ma sì, ma sputiamoci sopra a 'sta sfortuna sfacciata. Macheccefrega, machecceimporta.
Invece, importava eccome. Non siamo tra quelli che lo vedono come una sorta di traditore della patria (il traditore della patria è Amadeus e si sa, ndr ironica) per aver in qualche misura voltato le spalle all'Italia e aver sognato 'in grande', essere partito alla conquista dell'America, del mondo. Operazione audace, ma perché no? Se ce n'era uno dei 'nostri' a poterci provare, era lui. Solo, le ha cannate tutte. E no, non ci riferiamo (soltanto) alle canzoni. Lo storytelling intorno al personaggio, questo vestirsi da stereotipo italiano con baffo e completo da mafioso anni '50 (più o meno, come ci vede l'America ancora oggi), la spocchia che manco De Gregori però dall'alto di pressoché nulla. L'ascesa al successo internazionale di Damiano David è stata pura narrazione fin dal primo momento. E ora si schianta con la relatà fattuale. Non poteva, davvero, finire diversamente.
Attenzione: qui non stiamo parlando di 'arte' o 'sperimentazione', ma di un prodotto commerciale. E se un prodotto commerciale non vende, viene meno alla sua unica missione. Quindi il progetto Damiano David non è stato qualcosa di 'coraggioso', ma una operazione studiata a tavolino per 'conquistare' il mondo (o comunque prendersene una buona fetta discografica). Non è successo perché puzzava di fake, fin dal primo momento. Perché il ventiseienne de Roma ha, appunto, rinunciato alla propria unicità per esordire sul mercato globale in qualità di 'copia di mille riassunti'. Nonostante l'hype social, fomentato da simpaticissimi video in cui lo abbiamo visto (come è umile lui!) improvvisare cantate a sorpresa nei ristoranti di tutto il mondo 'solo' per la gioia dei fan, in sostanza, di Damiano, non c'era più niente. Ci azzardiamo a dire, possiamo sbagliarci, che lo starà pensando lo stesso Manuel Agnelli, coach dei Maneskin a 'X Factor'. Uno per cui le fondamenta della carriera risiedono nella credibilità artistica individuale. Poi, una volta compiuti 50 anni - e non prima - si può anche pensare al mutuo e sedere nella giuria di un talent.
Uno dei momenti più alti delle serate cover sanremesi (di loro, non proprio gourmet nel complesso) è stata la cover di 'Amandoti' cantata a due voci dal frontman degli Afterhours e dal giovane David. Mentre tutti gli altri della band suonavano. E suonavano veramente. Che je voi di'?
Basta riguardare quella esibizione per capire chiaramente cosa sia andato storto nella 'carriera solista' di Damiano David. E anche perché. Non stiamo parlando del cambio look, si può vestire come gli pare col talento che tiene, o di genere musicale: il nostro è stato trasformato, col suo consenso, da qualcosa di, in qualche maniera, unico a 'uno qualunque' che fa le canzoni che fanno tutti - quelle che vendono di più al momento - nella disperata speranza di pigliarsi una fettina di mercato nella grande fabbrica di plastica che è (sempre stato) il panorama musicale italiano come internazionale. Eh, però appunto ce ne sono tanti altri a tentare di far 'sta mossa, c'è grande concorrenza nel mondo degli wannabe. Ed è ferocissima. Portarsi a casa la pelle sarebbe stato un miracolo. Miracolo che, aggiungiamo per fortuna, non è successo. Come è nella natura stessa di tutti i 'miracoli'.
A Damiano David ora auguriamo un lieto ritorno alle origini, magari pure a Sanremo - no, non da 'super ospite internazionale', ma in gara. E non certo da solo. Gli auguriamo anche, infatti, di riprendere a scrivere e comporre brani che gli escono dagli organi interni, non dalla ventilata possibilità di gonfiarsi le tasche. Damiano David, sulla carta, ha tutte le potenzialità per essere davvero un artista. Solo, è stato convinto a rinunciarci. Alzasse il telefono, richiamasse i suoi tre compagnucci di scuola - oramai pressoché disoccupati - e si rimettesse a fare quello che sa fare davvero: musica, non plasticaccia prêt-à-porter. Sperando che, stavolta, chi curerà comunicazione e immagine della band non ammanti tutti e quattro, come era già purtroppo accaduto, di significati, ideali e patinature glitter che con le canzoni non c'entrano niente. Anche oggi, anno delle Signore 2025, sono quelle, le canzoni, a poter e dover bastare a se stesse. Il resto è fuffa, storytelling, narrazione, in tre parole: non è niente. E - sicuramente - non è per sempre.