Il problema principale della continuità tra pontificati è che l’ultimo non può cestinare le pessime idee del primo. Papa Leone XIV, nella sua prima esortazione apostolica, Dilexi te, si pone in continuità con il predecessore, Papa Francesco (anche il titolo rimanda a un progetto a cui Bergoglio stava pensando prima di morire e che avrebbe dovuto costituire il seguito naturale dell’Enciclica Dilexi nos). In realtà, come dimostra l’intero documento (circa una ventina di pagina), un Bignami del pensiero cristiano-cattolico sui poveri dalla tarda antichità ai giorni nostri, il tentativo è serio e si tratta di dimostrare che la Chiesa e la povertà sono fenomeni legati a doppia mandata, con la Chiesa che dovrebbe preoccuparsi prioritariamente degli ultimi, dei più deboli eccetera eccetera. “Egli stesso [Gesù] si è fatto povero, è nato nella carne come noi e lo abbiamo conosciuto nella piccolezza di un bambino”. E chiede a noi, alla sua Chiesa, di fare “una decisa e radicale scelta di campo a favore dei più deboli”. Come sostiene Bergoglio, citato ripetutamente da Prevost, “Le parole forti e chiare del Vangelo dovrebbero essere vissute ‘senza commenti, senza elucubrazioni e scuse che tolgano ad esse forza. Il Signore ci ha lasciato ben chiaro che la santità non si può capire né vivere prescindendo da queste sue esigenze”. E quindi dovremmo accettare che la Chiesa debba, come ha sempre fatto, guardare ai poveri.

Ora, che la Chiesa e i poveri abbiano avuto almeno, per usare un eufemismo, un rapporto conflittuale, è chiaro e palese. La storia ci dice tutto quello che dobbiamo sapere. La ricchezza della Chiesa è l’argomento preferito in tutte le inchieste sul tema. Nel Medioevo il potere era denaro, e chi più ne aveva più vinceva (anche perché la maggior parte delle guerre venivano condotte da guerrieri professionisti, mercenari, pagati moltissimo). E proprio non riuscire a pagarli rischiava di diventare motivo di sconfitta; successe anche alla Chiesa, qualche volta, con John Hawkwood). Quindi evitiamo di tornare sul tema dell’ipocrisia del Vaticano, che predica la vicinanza ai poveri ricordando San Francesco e Gesù, ma concentriamoci su un altro aspetto, che va nella direzione opposta a quella dei pauperisti che criticano i papi per troppo poco comunismo. Noi vogliamo criticarli per troppo comunismo.
In effetti, l’esortazione apostolica dimostra che il Papa (o la Chiesa?) ha poche idee e confuse sulla povertà. A partire da una frase che introduce quasi tutto il resto della discussione: “in un mondo dove sempre più numerosi sono i poveri, paradossalmente vediamo anche crescere alcune élite di ricchi, che vivono nella bolla di condizioni molto confortevoli e lussuose”. La povertà estrema è diminuita globalmente, soprattutto nei Paesi in cui vigono, secondo Francesco e Prevost, “ideologie mondane o orientamenti politici ed economici che portano a ingiuste generalizzazioni e a conclusioni fuorvianti”. La povertà è diminuita drasticamente fino alla pandemia, che ha chiaramente fermato questo trend, ma ora sta tornando a diminuire, seppur più lentamente. Se abbiamo imparato qualcosa dalla rivoluzione industriale e dal secolo successivo, è che nulla fa meglio alla lotta contro la povertà della ricerca di ricchezza. Questo è l’unico ragionamento a somma a zero che valga in economia: la ricchezza elimina la povertà. Il resto sono discorsi antiquati, residui ottocenteschi. L’idea che la ricchezza di alcuni possa convivere con la povertà di altri è il risultato di una visione infantile della società. È la visione di chi, cioè, vorrebbe tutto e subito. Vorrebbe vedere tutti ricchi e più nessun povero. Se il cambiamento c’è ed è innegabile, ti diranno che è troppo lento. Se accelererà, come tra la fine degli anni Novanta e per i venti anni successivi, ti diranno che è comunque troppo lento. La velocità giusta è quella di chi vorrebbe portarti a rifiutare l’unico sistema che abbia dimostrato di produrre ricchezza e prosperità diffuse.

La povertà è forse anche terminologica. Non è chiaro se Papa Leone si riferisca a un'effettiva “comunione dei beni” quando usa queste parole, e cioè a una condivisione della proprietà di alcuni beni. Citando Agostino, il santo che dà il nome al suo ordine di appartenenza, Prevost scrive: “Si rende conto [Agostino] che la vera comunione ecclesiale si esprime anche nella comunione dei beni. Nei suoi Commenti ai Salmi, ricorda che i veri cristiani non trascurano l’amore per i più bisognosi: «Voi, osservando i vostri fratelli, conoscete se abbiano bisogno di qualcosa, ma se in voi abita il Cristo, fate beneficenza anche agli estranei»”. Ma non è per nulla automatico collegare l’invito a fare la carità con la comunione dei beni. Anzi, confondere le due cose porterebbe facilmente a quel paradosso di cui scrisse Nick Hornby nel simpatico Istruzioni per essere buoni, e cioè quello di confondere la generosità con una imposizione morale. Questo è lo stesso fraintendimento alla base della tassazione obbligatoria. Il pizzo di Stato altro non è che il tentativo di farti essere “più buono con gli altri”, ma alle regole dello Stato e in modo obbligatorio. In altre parole, non sei generoso. Sei solo obbligato a perdere i tuoi soldi in base ai programmi politici del governo di turno. Dunque, la Chiesa farebbe bene a distinguere tra comunione dei beni e comunione dello Spirito, nonostante secondo Papa Leone XIV questo non sia vero. Il consiglio deriva non da questioni di natura cristiana, poiché nessuno più del Papa dovrebbe poter parlare (questo è vero in via fiduciaria, poiché in realtà molti potrebbero essere più competenti del papa anche in fatto di teologia). Il consiglio, semmai, arriva dal desiderio di togliere la Chiesa da quel suo stato di ignoranza in questioni economiche e politiche in cui sembra vegetare, soprattutto negli ultimi decenni.
Detto altrimenti, com’è possibile ignorare la scienza dell’azione e dell’economia e discettare di povertà? Recuperando false dicotomie ricco-povero o false equazioni del tipo ricchezza=egoismo, sconfessate dalla storia (l’uomo più generoso al mondo è Bill Gates, un’altra donna molto generosa è J.K. Rowling: il povero, invece, per egoismo non fa la carità, poiché deve pensare a sé). Non è un caso che l’esortazione di Papa Leone XIV, citando senza ritegno Papa Francesco, ospiti anche un plateale endorsement verso alcuni “leader popolari” che più di altri avrebbero dimostrato un impegno concreto a favore dei poveri e dei più deboli, i senza diritto, i malati e così via. Davvero i leader politici sono le persone giuste per risolvere un problema di sistema? Davvero degli uomini con interessi di potere sono le figure illuminate a cui dovremmo far riferimento per diventare tutti più buoni e generosi? E quali sarebbero questi leader? I peronisti argentini che hanno portato quasi alla bancarotta un Paese? L’assassino Che Guevera? Certo, nessun papa è comunista, ma non è neanche automaticamente vero che i papi siano liberali o pro mercato. L’esortazione apostolica sui poveri è povera di idee e concetti aggiornati, necessari per comprendere la realtà della povertà così come la realtà (positiva) della ricchezza.