Quale accidia dilania internamente l’anima di Elly Schlein? La si nota sempre più agitata, al centro di uno psicodramma sempre più acuto. Prima emerge che all’assemblea piddina del 14 dicembre, convocata proprio nel giorno in cui Giuseppe Conte sarà ospite di Atreju, all’ordine del giorno sarà messo il voto per rendere solo lei l’unica candidata per la coalizione di centrosinistra alle politiche del 2027. Poi, però, l’agenzia di comunicazione del Pd fa marcia indietro con un comunicato pubblicato ieri sera. Che succede? Tutto ok? Forse no. E adesso, stasera, il confronto tra Schlein e Meloni da Enrico Mentana. Ne abbiamo ragionato con l’ex Professore ordinario di filosofia politica all’Università di Bologna, Carlo Galli, autore fondamentale che di recente ha pubblicato “Tecnica”, edito da il Mulino. Il Professor Galli, inoltre, per un certo periodo è stato anche deputato del Partito Democratico in qualità di infiltrato della ragione nei palazzi del potere ove la ragione vene sacrificata sugli altari dell’opportunità politica e dunque, oltre ad essere uno dei più importanti filosofi europei è un grande conoscitore delle contraddizioni interne al partito oggi guidato da Elly Schlein e per questa ragione gli abbiamo domandato perché la leader del Nazareno abbia scelto di blindarsi alle elezioni politiche se i voti lei, da parte anche di quei “correntoni” di riformisti e miglioristi che spesso le minacciano guerra, pallottoliere alla mano, li ha. D’altronde anche le vecchie guardie, Prodi, Franceschini si son dovuti ricredere sulla sua manipolabilità.
Dunque, Professore, di cosa ha davvero paura Elly Schlein?
Devo premettere questo, quando si tratta del Pd le acque si fanno immediatamente torbide. Al momento pare la situazione sia la seguente. E’ stata convocata un'assemblea nazionale generale - secondo statuto deve essere convocata due volte all'anno - ed è stata convocata in fretta perché Schlein possa rispondere praticamente in diretta a Meloni che lo stesso giorno, cioè il 14 dicembre, chiude Atreju. Come sappiamo, Schlein non ha potuto accettare l'invito a dibattere con Meloni perché l'invito era esteso anche a Conte. Se il leader dei Cinque Stelle fosse stato amico, avrebbe dovuto rifiutare, invece siccome non è amico ha accettato. Insomma, in questo modo è andata perduta un'occasione di confronto diretto. Grazie al fatto che Meloni è furba, Schlein dal canto suo sta adoperando il partito, il suo statuto, la sua assemblea per rafforzare la propria leadership e per non stare zitta il giorno in cui parlano Meloni e Conte. E va bene, siamo alla personalizzazione della politica. Bisogna adeguarsi. Poi, in quel giorno, il correntone di sedicenti “amici” e sostenitori di Schlein aveva proposto che si votasse in assemblea anche un documento che blindava la candidatura di Schlein a eventuali primarie di coalizione. Questo cosa significa? Non fare alcuna primaria al proprio interno. Nel caso si arrivasse ad una primaria di coalizione, in questo caso con il M5S e la sinistra, allora viene presentata per default la candidatura di Schlein. Ma questa proposta non è stata approvata nemmeno dalla Schlein stessa, a quanto io ho capito. Era una proposta che troppo chiaramente metteva in mostra la debolezza della segretaria. Ora, da quel che leggo e che ho capito e sentito, questa clausola non ci sarà in assemblea, dove si voterà soltanto sopra la relazione della Schlein.
Colpisce particolarmente questo passo indietro, è sintomo di incomprensioni interne
I suoi protettori, dei quali credo lei diffidi giustamente, la volevano blindare in questo modo. Ma forse anche perché i protettori cercano di trovare quel momento di collaborazione che essi invocano continuamente. A Montepulciano, queste correntone hanno fatto emergere che “Schlein deve coinvolgere di più il partito”. Il che, nel lessico del Pd, vuol dire “stai attenta, perché se non ci dai questo tipo di soddisfazione politica non siamo più amici tuoi”.
Dunque Schlein ad oggi è accerchiata all’interno del suo stesso partito?
Schlein non dà soddisfazione ai correntoni perché non vuole o non può dargliela. Si sente troppo debole dentro il partito e teme i capicorrente, anche quelli che si dicono amici. Per cui il suo meccanismo di lavoro è una cerchia strettissima di amici che le fanno da inner circle e poi un rapporto mediatico diretto con la base elettorale. Con il partito no, perché lo teme. Se si ricorda, Schlein lo voleva occupare ai tempi della bocciatura di Prodi. Ricordiamoci che non aveva la tessera quando è diventata segretaria. Si è iscritta il giorno prima, perché non è il suo partito, perché sa benissimo che è stata messa a fare la segretaria per neutralizzare i conflitti interni fra i veri potentati del partito, conflitti che non si riuscivano a risolvere. Il fatto è che dietro a questa storia, che è quasi indecifrabile dai non addetti ai lavori, c'è qualcosa di decifrabilissimo per tutti, cioè che il Partito Democratico non sa che cosa è e non sa che strada vuole prendere. È ancora diviso al proprio interno. Sono ancora molto presenti i sostenitori di una linea assolutamente, totalmente mainstream su ogni argomento, cui sostanzialmente fanno capo del Rio e le pattuglie renziane rimaste dentro il partito. E dall'altra vi è un magma di capicorrente, cosiddetti di sinistra, che in realtà non riescono a trovare una chiave affinché il Pd venga percepito dalla società come un partito di sinistra o comunque come un partito che ha capito cosa c'è da cambiare e lo vuole cambiare. Insomma il Pd, non si propone come un partito di cambiamento, se non su questioni marginali che sotto il profilo di principio possono essere importanti, o addirittura su questioni linguistiche, comunicative, rispetto alla destra. L'idea che passa è di una convergenza sostanziale fra la destra meloniana e il Partito Democratico. Sostanziale, per la mancanza di fantasia, di immaginazione, di iniziativa politica di entrambi.
Tra l'altro stasera alle 20 ci sarà un confronto tra Schlein e Meloni da Mentana sulla Sette e adesso le chiedo come interpreta questo colpo di scena
Quasi sicuramente è un'offerta di Meloni che serve a depotenziare l'Assemblea piddina del 14. Non a caso, Schlein l'ha accolta al volo perché le importa poco dell'assemblea e preferisce di gran lunga lo schermo televisivo e il confronto diretto con Meloni. Quella di convocare l’Assemblea da parte di Schlein è stata una risposta indiretta al trappolone subito da Meloni, ma la premier ha temuto evidentemente che quell'Assemblea nazionale desse comunque troppo spazio mediatico o rinsaldasse troppo il Pd al proprio interno e allora ha fatto l'offerta: vediamoci da Mentana, come dire, “i nostri due partiti non contano niente, contiamo solo noi”. Meloni è certa di divorarsela.
E inoltre avrà l’effetto di catalizzare la scollatura tra Schlein e il suo stesso partito
Temo proprio di sì: adesso Meloni conta più del Pd per Schlein.
Quindi l’ultimatum di cui si parlava prima potrebbe anche arrivare prima?
Non lo so, bisogna vedere. Ci sono le vacanze natalizie, dubito che prima possa muoversi qualcosa. I capicorrente del Pd hanno tempo per portare il partito a una crisi interna prima delle politiche del 2027.
È molto interessante tutto questo perché allo stesso tempo, al di fuori del partito, Conte accettando l’offerta di Meloni ha fatto scacco matto, perché ora si opporrà a candidare Schlein come premier alle politiche
Sono in molti a pensare che Schlein non abbia il physique du rôle.
Stamattina sul Domani c’erano due interviste una di fianco all’altra, una a Fabio Spadafora, ex Margherita ed ex contiano, il quale parlava della sua proposta centrista civica “Primavera” come quarto soggetto politico che mira agli astensionisti, e quella a Luigi Di Maio che adesso è al termine del suo mandato nel Golfo, ruolo che gli venne designato da Draghi. Secondo lei è possibile che una creatura politica di questo tipo riesca a iniziare a camminare con le proprie gambe? Forse è questa un’incognita che non stiamo tenendo in considerazione?
Ci credo poco. L'Italia ha già sperimentato governi tecnici con sua sostanziale insoddisfazione. Perché ci sia un candidato di livello nazionale deve avere una personalità politica, non una personalità tecnica. Nessuno voterebbe Monti, nessuno voterebbe Draghi. Alla fine, gli italiani o non vanno a votare, o se vanno a votare vogliono qualcuno che parli la lingua della politica, capace di far presa sui problemi. Tutte le ipotesi di centro, anche quelle gestite da politici di professione – Calenda, Renzi - sono ipotesi debolissime che non vanno oltre percentuali insignificanti, e diventano importanti solo se c'è l’attuale sistema elettorale. Se si fa la riforma del sistema elettorale nella direzione voluta dalla destra, cioè tutto proporzionale, con un sbarramento forte e con premio di maggioranza a chi raggiunge il 40 o 42%, gli si dà il 52-55% dei seggi, questi centristi hanno finito di esistere. E se qualcuno crede di riuscire in questa operazione centrista con politici esperti allora non ha proprio capito niente. Quelli che non vanno a votare non sono cittadini informati che disprezzano i politici disinformati; quelli che non vanno a votare sono cittadini arrabbiati o delusi. Non si conquista un cittadino arrabbiato o deluso presentandogli un politico galantuomo, magari competente, ma completamente grigio e che abbia come carattere soltanto quello di essere una brava persona. Non funziona così, non ha mai funzionato così.