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Stranger Things e la nostra incapacità di raccontare il presente. La nostalgia degli anni Ottanta, l’inutilità della Gen Y e la speranza nella Gen Z

  • di Ottavio Cappellani Ottavio Cappellani

1 dicembre 2025

Stranger Things e la nostra incapacità di raccontare il presente. La nostalgia degli anni Ottanta, l’inutilità della Gen Y e la speranza nella Gen Z
Stranger Things non è solo nostalgia anni ’80. È il riflesso di un presente incapace di raccontarsi. Gen X, Gen Y e Gen Z reagiscono diversamente: tra archivi di frammenti e appropriazione del passato, solo la Gen Z sembra avere la materia per costruire un’estetica del presente, rompendo la genealogia culturale interrotta

di Ottavio Cappellani Ottavio Cappellani

Stranger Things e la nostra incapacità di raccontare il presente: la "bolla" e la frattura tra Estetica ed Etica

Stranger Things e la sua nostalgia degli anni Ottanta raccontano più della nostra epoca di qualunque saggio politico o culturale. Viviamo in un presente che non riesce più a raccontarsi: un presente inesistente, senza una narrazione capace di trasformare la realtà in immaginazione. E dire che ci sarebbe materiale. Ma è come se avessimo perso i mezzi, o — in termini più alti — il contatto con Estetica ed Etica. Senza queste due forze non nasce nulla che vada oltre l’intrattenimento, la superficie, lo smalto di un lavandino.
Dopo gli anni Ottanta riportati alla luce da Stranger Things, l’umanità sembra aver perso la capacità di trasfigurare il presente. Da qui il discorso intergenerazionale. La Gen X è nata dentro l’ultimo momento in cui la narrazione era davvero uno strumento di lettura del mondo. Film, libri, musica avevano un peso collettivo. Un colpo di fucile in Desperado era un colpo al sistema. Un’esplosione in un film di Tarantino era una traduzione visiva della ribellione possibile. Poi è arrivato internet, e la promessa orizzontale si è trasformata in un potere verticale delle Big Tech. Gli algoritmi, calibrati sul consumo, hanno dissolto qualunque narrazione comune. Sono nate le bolle, e ci hanno inghiottito.

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In questi giorni, sono attive parecchie discussioni sui parallelismi tra Stranger Things e Harry Potter (immagine da La Cine Estacion)

L'inutilità narrativa della Gen Y e la speranza nella Gen X

La Gen Y, nelle bolle, ci è cresciuta. Una generazione impigliata in una nostalgia di seconda mano, perché la sua epoca non ha avuto gli strumenti per creare una mitologia autonoma. L’unica estetica disponibile era quella ricevuta dagli adulti — film, dischi, poster — e però mediata da social pensati per la brevità, per la distrazione. In quell’estetica smaltata, la componente etica si è staccata. La Gen Y è diventata la generazione del “cool”: un’estetica senza etica, un contenitore che si definisce per posa. La versione adolescenziale del liceo dei fighi: moto, giubbotti, sneakers immacolate, e zero idea di cosa ci fosse sotto. Non è colpa loro. Ma i calci nel culo, simbolici, se li meritano.
L’unica speranza arriva dalla Gen Z. Ho guardato le loro letture, le loro serie, le loro scelte estetiche: fantascienza, fantasy, distopie. Il ritorno del bene contro il male: i loro romanzi di riferimento sono Harry Potter e Maze Runner, e anzi, in questi giorni, sono attive parecchie discussioni sui parallelismi tra Stranger Things (ancora più evidenti nella stagione 5, Volume 1) e Harry Potter; una genealogia che parla più a noi Gen X che ai loro genitori di mezzo. La Gen Z non prova nostalgia — non ha vissuto abbastanza per provarla — ma usa il passato come materiale. Suoni anni Novanta, estetiche Y2K, icone pop riciclate. Non è un paradosso: è un fatto. La Gen Z abita il presente con un repertorio che non ha composto, e questo racconta più dei trentenni e quarantenni che della Gen Z stessa.

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Maze Runner sta alla Gen Z come Stranger Things sta alla Gen X

La genealogia interrotta

Tra i trenta e i cinquanta anni c’è un vuoto culturale che nessuno vuole ammettere: la Gen Y è un bel barattolo di design che non contiene niente. Una generazione di crisi economiche, evaporazione del lavoro, social pensati per la disattenzione. Una generazione che non ha prodotto una forma riconoscibile del proprio tempo. Da questo tempo sospeso non poteva nascere un’estetica: è nato un archivio di tentativi. E la Gen Z questo archivio lo usa. Non perché sia un tesoro, ma perché è l’unica eredità disponibile.
Stranger Things è la prova generale di questo meccanismo: un rito collettivo nato su un’estetica che appartiene ad altri. Ma per la Gen Z non è archeologia culturale. È normalità. Il passato è un catalogo di strumenti. Lo stesso accade nella loro musica, nelle immagini che scelgono, nei linguaggi che costruiscono. Tutto può essere riutilizzato. Tutto è già accaduto.
E tuttavia, da questo riciclo potrebbe nascere un gesto nuovo. Qualcosa che non prenda in prestito, non replichi, non aggiorni. La Gen Z potrebbe essere la generazione che rompe la genealogia interrotta. Ha gli strumenti tecnici, la libertà espressiva, la distanza necessaria. Ha davanti il caos lasciato dagli adulti. Se decideranno di ordinarlo, anche solo provvisoriamente, nascerà finalmente un’estetica del presente. E sarà un atto politico (e metafisico).

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  • Stranger Things
  • Stranger Things 5

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