Mentre la guerra tra Israele e Hamas continua, c’era un silenzio che iniziava a farsi pesante. Nel mare magnum di influencer che si sentono in diritto di dire la loro su qualsivoglia argomento, solo in nome dei millemila follower che hanno sui social, chi avrebbe potuto dire la sua ha scelto di restare in silenzio. Fino ad oggi. “Tanto se una cosa deve succede, succede. Tutta ‘sta fretta di fa succede le cose ce l’ha messa il capitalismo”. Strappare lungo i bordi docet. Michele Rech, meglio conosciuto come Zerocalcare, nelle stories del suo profilo Instagram ha finalmente preso parola sul conflitto che si sta consumando negli ultimi giorni. E lo fa con cognizione di causa, di chi da anni segue in prima persona la questione palestinese: “Posto che non sono un jukebox o un service, e che mi fa schifo al caz*o la ricerca del pensierino dell'influencer come se spostasse qualcosa, io ho una policy: parlo sui social solo delle cose che conosco e seguo personalmente, dove per seguire non intendo "leggo e mi informo" ma "partecipo a un percorso politico con continuità, mi confronto con altri/e con cui condivido un'analisi e ho un mandato collettivo per prendere parola". Giusto o sbagliato che sia, lo ritengo un argine alla mitomùania individuale del vip che la mattina si alza e dice la sua senza sapere un caz*o, che è una tentazione che uno rischia sempre (e se l'ho fatto in passato, una volta mi pare, ho sbajato)”. A Zerocalcare il merito di riuscire sempre a mettere in luce problematiche politiche e sociali reali, rompendo i tabù a cui la società ci vorrebbe ancorati. Di andare controcorrente in un mondo in cui ormai conta solo ciò che fa tendenza. Il duro lavoro degli influencer, inseguire e cavalcare i trend. E perché no, anche parlare di una guerra di cui non si sa nulla. “Ci stanno tre cose che ti fanno essere una persona giusta con gli altri: aiuta chi te lo chiede senza sta troppo a questionà, andare sempre al passo del più lento e non lascià indietro nessuno”. La differenza sta qui.
Tra i fumetti di maggior successo di Zerocalcare c’è “Kobane calling”, un’opera potente, un reportage in forma grafica del viaggio che l’ha portato fino al confine tra la Turchia e la Siria, a poco più di un passo dalla città assediata di Kobane. Il racconto di un viaggio fatto insieme a un gruppo di volontari romani, per narrare in modo obiettivo il conflitto. Zerocalcare con queste pagine è riuscito a portare all’attenzione del pubblico tematiche potenti, spesso marginali e su cui molto di rado vengono puntati i riflettori, affiancandole alla tipica e ristretta mentalità italiana. Ma la sua voglia di conoscere e raccontare non si è di certo fermata a Kobane: “Ora sono 17 anni che per motivi vari non sto appresso a percorsi collettivi sulla Palestina, quindi per me questo è un tema su cui di base *preferisco ascoltare che parlare* (e non perché un paio di buste de piscio mitomani pensano che sia per "l'argomento scomodo", perché invece parlà de 41 bis tipo era na passeggiata de consenso ve?). Che poi è il motivo per cui 15 giorni fa (in tempi "non sospetti") ho partecipato a un'iniziativa coi giovani palestinesi a Roma, per iniziare a ricostruire un discorso proprio perché mi sembrava che questa fosse una questione che non potevo continuare ad aggirare nella mia vita. Per dare un senso a quell'incontro, in questo momento mi pare corretto in generale rispondere a chi mi chiede cosa penso. Rimane comunque la mia opinione personale, vale quello che vale”. Dietro l’immagine del ragazzo di borgata, sempre in felpa e jeans, si nasconde, neanche troppo bene, un punto di riferimento intellettuale di non poco conto. La sua opinione su quanto sta accadendo a Gaza, inutile negarlo, era attesa da tantissimi, a riprova gli stessi messaggi che Zerocalcare ha mostrato nelle sue stories.
“Israele non può pensare di vivere in sicurezza mentre tiene segregato un intero popolo nel cortile di casa. Non ci potrà mai stare pace finché durerà l'occupazione e questo sistema di apartheid. Porre fine a tutto questo è un tema su cui paradossalmente ci si inizia a interrogare anche nel dibattito israeliano, mentre in Italia questa posizione viene indicata con disonestà intellettuale come "vicinanza ad Hamas". Lo slogan "No justice No peace" per me è vero sempre, anche in questo dramma dove non ha nessun sapore di compiacimento o di riscossa: è un dato di fatto, una legge naturale come la termodinamica; e chi pensa il contrario è prima di tutto un illuso, a tutte le latitudini del mondo”. Questa guerra è la storia di moltissime vite spezzate, vite che molto probabilmente non verranno mai ricordate. E Zerocalcare con questo messaggio ha dato ai suoi lettori quanto di più onesto. Ha restituito il suo sguardo da narratore, da persona informata, da uomo le cui parole non sono fini al racconto stesso. Ma vanno oltre. Oltre il meraviglioso e fatato mondo degli influencer, dove tra non molto spunterà un nuovo trend e di tutto questo non ricorderanno nulla, nemmeno forse come si scrive Hamas. Distinguere cosa sia giusto o sbagliato in battaglie di lunga durata come questa è un compito davvero arduo. Ma Zerocalcare, adesso come in Kobane calling, ci spinge a riflettere sull’importanza e la fortuna di essere nati nella parte giusta del mondo, a differenza di chi non ha casa, non ha patria e non ha libertà. E se non la pensate così non ce frega un caz*o, annateve a pija er gelato.