"Sto come uno che si è appena svegliato, ieri ho fatto le ore molto più piccole del solito". Sono le 15.30 di un pomeriggio di gennaio e così ci risponde Francesco Baccini quando lo contattiamo per chiedergli di condividere un suo ricordo di David Bowie che oggi, 8 gennaio 2022, avrebbe compiuto 75 anni. Mentre dopodomani, il 10, ne ricorre l’anniversario della scomparsa. Mentre è in uscita un nuovo disco di inediti del Duca Bianco, Toy, abbiamo voluto omaggiarlo insieme al cantautore che proprio per commemorarlo, nel 2016 finì in un indimenticato vespaio social per via di un post che non piacque proprio a tutti ma che lui ancora, legittimamente, rivendica con orgoglio. Anche se da quel giorno non scrive più nulla sui social in memoria di nessun conoscente celebre, che passa a miglior vita. Chi è stato David Bowie? “Un alieno, qualcosa a cui la mia generazione non era pronta né abituata”, conferma Baccini. E chi sarebbe oggi se fosse nato negli anni Novanta o Duemila? “Un poveretto come tutti gli altri di questa generazione ignorante e provinciale”. “Io sull’arte sono un talebano - prosegue - non posso parlare di cultura musicale con chi ha meno di 30 anni, finisce a botte”. Stupisce apprendere, dunque, che i tanto celebrati Maneskin non lo facciano impazzire. Però ci racconta anche del suo amore incondizionato per Luigi Tenco, su cui sta preparando un docu-film che verrà distribuito quest'anno in digitale. E una volta, dice, ha menato Red Ronnie “perché andava fatto”... Tra il ricordo del Duca Bianco e croccanti aneddoti di vita d’artista, su Mow è Francesco Baccini Show.
Chi era David Bowie?
Bowie è stato uno dei primi artisti a impersonare quello che cantava. Per lui l’immagine si rispecchiava pienamente nella sua musica e sembrava davvero un alieno in tutti i sensi. Lui una volta si presentava da uomo, l’altra da donna: ma non ti veniva mai da metterlo in discussione. Anche perché la sua sessualità era una cosa a cui non pensavi nemmeno. Quando vedevamo un cantante, ci interessava la sua musica, non con chi andasse a letto. Era un interrogativo che nemmeno ci sfiorava quello. Nè Bowie o chi per lui sentiva l’esigenza di dirci cosa gli piacesse sotto le lenzuola, ma perché mai avrebbe dovuto?
Mentre oggi…
Per certi versi, oggi c’è molta meno libertà. A parte che con tutto questo politicamente corretto, metà degli artisti del passato (forse anche di più) non avrebbe avuto nemmeno la possibilità di esistere, il rispetto di cui di questi tempi tanto si parla, alla fine è solo una questione di ostentazione e mai qualcosa di vero. Una roba che ha a che fare più col marketing che con la vita reale o, figuriamoci, con l’arte. E per questo, alla lunga, non funziona. A differenza di Bowie, tutta la musica che vediamo e sentiamo non è autentica. Comunque sia, noi ragazzi non eravamo pronti al suo arrivo quando David Bowie “cadde sulla nostra Terra”.
Come mai?
Sono cresciuto negli anni ‘70 e, per quanto riguarda la musica, non eravamo abituati a un alieno come Bowie perché a quell’epoca l’aspetto fisico ed estetico del cantante non era importante, contava proprio zero. Esempio: i Pink Floyd sono conosciutissimi ma quasi non si sa che faccia abbiano. Non hanno un’immagine.
E l’importanza che a qui tempi aveva la radio deve aver sicuramente influito su questo…
Sì, posto che i cantanti internazionali mica venivano nella tv italiana e che la radio passava quel che passava (io son cresciuto con Radio 1 che trasmetteva solo notizie, niente musica), è importante sottolineare come a quell’epoca fossero nate le famose radio libere che durarono uno o due anni, è vero, ma segnarono la generazione che le visse. Per noi erano una novità assoluta perché l’unico modo per ascoltare la musica fino ad allora era comprare dischi, ma i dischi costavano dei soldi, non è che tutti potevano permetterseli.
Lei?
Beh io, come tutti, rubavo mille lire alla volta alla mia mamma. Quindi ci mettevo pure del tempo per accumulare il denaro necessario all’acquisto. Devo dire che per Bowie, che ho scoperto grazie alle radio libere, la borsetta di mia madre ha subito parecchie intrusioni…
Fin da subito una folgorazione, allora. Si ricorda quale fu il primo brano di Bowie a colpirla?
Space Oddity, sicuramente. Quella è una delle tante dimostrazioni di come la sua musica sia immortale. Va bene che ha introdotto il concetto dell’importanza dell’immagine per un artista, ma i brani di Bowie puoi ascoltarli senza vederlo e non perdono un grammo del loro valore. Di quanti altri, passati e presenti, si potrebbe dire lo stesso?
Non saprei, ma la provoco: dei Maneskin?
Mah, sai che non ho nemmeno idea di cosa cantino?
Mi sta dicendo che non ha mai sentito una canzone dei Maneskin?
Mah, forse sì anche perché oramai ogni volta che vado in bagno ho paura di ritrovarmici dentro quel Damiano che canta qualche cosa. Quindi temo sia impossibile aver evitato di sentire almeno una loro canzone se sei un abitante del pianeta Terra. Detto ciò, non me ne è rimasta impressa nessuna. Però conosco benissimo il nome del cantante (ne parlano tutti!) e ho presente qualche foto di come si vestono.
L’immagine, insomma...
Eh, ma chissenefotte? Io sono appassionato di calcio ma non è che dico che un calciatore sia forte perché ha un taglio di capelli più figo di quell’altro. Ecco, metaforicamente ma nemmeno troppo, alla musica oggi è come se si applicasse invece proprio questo parametro per giudicarne il valore. Capisci che è assurdo?
Sì, un vero ribaltamento rispetto a come mi ha raccontato che funziovano le cose negli anni ‘70…
Esatto! Possiamo dire serenamente che se allora le cose fossero state come oggi, i grandi cantautori italiani dell’epoca non sarebbero esisiti: ti pare che Guccini o De André la buttassero sull’immagine? O che potessero farlo? I cantautori erano quasi tutti brutti e di questo, per fortuna, non fregava un cazzo a nessuno (ride, nda).
Pensa che se Bowie fosse nato negli anni ‘90 o 2000 avrebbe comunque avuto successo?
No. Penso che Bowie, fosse nato “oggi”, sarebbe un poveretto come tutti gli altri di questa generazione. Ma non per colpa sua, viviamo in tempi stupidi e i più giovani non possono far altro che assorbirli perché ci devono crescere. La mia adolescenza è stata negli anni 70 che erano anni in cui se tu eri ignorante, dovevi vergognarti. Anche per rimorchiare: se ti piaceva una ragazza, mica potevi dirle che la portavi in discoteca. Ti avrebbe tirato due ceffoni. Dovevi proporle di visitare un museo e poi andare con lei a seguire un piccolo cineforum con dibattito finale. Un po’ diverso da oggi, non trovi? In Italia oggi c’è un’ignoranza pazzesca. Anche musicale. Ma, del resto, non ci sono nemmeno più, ormai da anni, programmi e show che parlino di musica in modo serio. Tutto è affidato a questi ragazzotti che si improvvisano fini esoerti e invece sono palesamente tutto il contrario. Ti ricordi quel periodo terribile di Clubhouse, no? Menomale che è passato: ragazzetti ignoranti e Red Ronnie a parlare, male, di musica.
Red Ronnie lo conosce personalmente? Lui parla ancora molto di musica sui social…
Ma quello lasciamolo perdere, va. L’ho visto solo una volta e ci siamo menati.
Come mai?
Non ricordo. Ma andava fatto.
Bene, tornando alla musica: mi pare che non sia entusiasta della scena attuale italiana. Non si salva proprio niente?
Oggi a musica in Italia la definirei poco più di un rumore metropolitano. E questa è un’altra grande differenza con l’America, dove la musica è una cosa seria, non si riuscirebbe nemmeno a spiegare quanto qui nel nostro Pese perché da noi non esiste proprio il concetto. Lì, se parli di musica col taxista, ti rendi conto che ne sa davvero. Qui se provo a intavolare un discorso sulla musica con uno che ha meno di 30 anni, finisce a botte. Ma proprio da subito. Io sono un talebano: non si può scappelare su questo argomento con me.
La cosa che la infastidisce di più?
La teoria (ormai diventata pratica) del “chiunque può”: in America suoni e canti se sei capace. Se non lo sei, vai a fare i panini del McDonald’s perché è giusto così e lo sai anche tu. Noi qui in Iitalia oramai da tempo abbiamo solo esempi di gente che non fa un cazzo e diventa di successo. È chiaro che i più giovani vogliano poi fare come questi qua. Del resto, sono ormai troppi anni che siamo circondati da “nessuno” famosi. Che poi fanno un libro, un film, qualunque cosa… l’importante è che non la sappiano fare. Pensa che io all’inizio della mia carriera rifiutai di fare film, molti registi ritenevano che avessi la faccia da cinema, ma avevo l’umiltà di ammettere che quello non fosse il mio lavoro. Dissi di no perfino a Bellocchio!
E col senno di poi…
Ah, potessi tornare indietro accetterei sicuramente!
Anche perché negli ultimi tempi ha maturato una certa passione per la recitazione.
Assolutamente.
Prossimi progetti?
Un docu-film che ho prodotto. Dieci anni fa ho fatto questo tour che si chiamava “Baccini canta Tenco” dove io reintepretavo 20 canzoni di Tenco. Ho ritrovato tutta una serie di immagini fatte all’epoca, ci ho montato su una sorta di intervista ed è diventato un film dove io racconto Luigi Tenco attraverso me stesso. Un gioco di specchi, anche perché tra me e lui c’è pure una certa somiglianza fisica. Inoltre, lui è stato il primo tra i cantautori genovesi e io, tra virgolette, l’ultimo in ordine di tempo.
E dove uscirà questo docu-film?
Sicuramente sulle piattaforme, nel 2022. Anno in cui ricorrono i 55 anni dalla sua morte. Tengo molto a questo progetto perché ho un forte legame con Tenco. Ne parlavamo anche con De André e Paoli all’epoca e concordavamo: Luigi era il più grande. Perché Fabrizio diceva: “Io copio Brassens”, Gino invece diceva di prendere da Brel. Vedrai vedrai, invece, per esempio, era proprio Tenco e basta, era originale e non c’era qualcosa di simile all’estero. Anche di me si può dire la stessa cosa: sono un unicum nel panorama musicale italiano, non c’entro niente qui e non c’è nessuno al di fuori dell’Italia che facesse musica come la mia prima di me, qualcuno da cui io possa aver preso spunto.
Comunque sia, alla fine Bowie l’ha incontrato a New York nel 2002. Quando lo scrisse su Facebook il giorno della morte del Duca Bianco, scoppiò un grande polverone…
Sì. E scoppiò dal nulla.
Dal nulla?
Ma sì, dal nulla. O meglio: dal tipico provincialismo italiano. Ho incontrato Bowie in un pub di New York dove ero andato una sera, sul presto, perché la mia fidanzata di allora, che lavorava in borsa con orari folli senza mai guardare l’orologio, era sempre impegnata. Mi lasciava spesso solo per questo motivo e infatti mi rompevo le palle. In più, pensa che io non masticavo una parola d’inglese all’epoca! Per non rischiiar troppo, dunque, presi l’abitudine di andare nel bar sotto casa (tra l’altro, quella casa era un attico, un posto da film!). E fu lì, in quel bar, che una sera lo incontrai.
Secondo lei perché le persone reagirono così male a quel suo post?
Perché gli italiani sono provinciali. In America è perfettamente ordinario incontrare un personaggio famoso in un club (che poi sarebbe, molto spesso, l’equivalente di un comune bar, appunto). Fanno anche musica dal vivo e capita di incontrarci dei mostri dello spettacolo. A differenza degli artisti italiani che, appunto da provinciali, non metterebbero mai piede in un posto che non sia super chic o che ne so. Ne è prova il fatto che “indipendente” in Italia vuol dire sfiigato, mentre in America significa figo: gli attorii hollywoodiani fanno i film indipendenti non perché abbiano tempo da perdere, ma proprio perché considerano figo farne.
Certo, ma tornando all’episodio del 2002, veniamo all’incontro con Bowie…
Ah guarda, io sono entrato in quel bar sotto casa per mangiare qualcosa e ho visto lì uno con la chitarra, stava strimpellando e somigliava davvero molto a Bowie. Ho pensato: “Ah, sarà tipo uno che fa animazione. Come fosse un sosia di Elvis”... Chiedo il menù al bancone e il “sosia” comincia a parlarmi in italiano perché il mio accento mi aveva totalmente smascherato. Parliamo dell’Italia e a un certo punto mi dice che mi conosce, che sono un cantante. Da lì il discorso si amplia sulla musica italiana in generale, mi cita anche Battisti. Insomma, durante la conversazione mi rendo conto che si trattava proprio di Bowie, quello vero! Del resto, lui viveva in italia, a Venezia, per molti mesi l’anno ed è saltato fuori che avessimo anche degli amici in comune. Ma quando ho riportato questo episodio su Facebook, per ricordare Bowie nel giorno della sua morte, la gente ha cominciato a prendermi in giro. A tutti era sembrato impossibile che Bowie potesse conoscermi, come fosse un fatto risibile. Da quella volta, non scrivo più nulla sui social quando muore qualcuno. Mi sono stufato.