Bi-Erre-1 o BR1 dovrebbe essere il suo vero nome da Hypercar del giornalismo italiano. Perché non è umano, anche se noi lo conosciamo come Bruno. Bruno Vespa, o Brunovespa, tutto attaccato e tutto d’un fiato. Oggi compie 76 anni e noi che lo amiamo alla follia (non siamo affatto ironici!) non potevamo non celebrarlo.
Del suo passato prima di diventare Brunovespa (tutto attaccato) si conosce poco, del suo presente sappiamo che ha smentito d’essere il figlio segreto del Duce, che ha creato il terzo Parlamento (Camera, Senato e Porta a Porta) della Seconda Repubblica, che scrive libri (che saranno pure pop ma sono una figata e te li leggi fino alla fine) impiegandoci meno tempo di quanto ce ne vuole a leggerli e che quando ci mette bocca, o la penna, fa sempre centro.Ve l’avevamo detto che non siamo affatto ironici: Bruno Vespa è un mito, veramente. Ed è l’unico giornalista in vita che custodisce l’arte professionale della tecnica deduttiva. Come quei maestri artigiani che un allievo lo vorrebbero pure, ma devono arrendersi all’evidenza che di allievi all’altezza non ce ne sono. Lui, Bruno Vespa, parte dal generale, ti porta nel particolare che gli interessa e te lo fa scomporre atomo per atomo. Astuzia, dialettica e metodo. Se l’ospite di turno prova a opporsi, allora nasce la sfida. E se nasce la sfida per noi spettatori comincia a farsi largo un piacere che è quasi sessuale. Perché è spettacolo puro. Sarà per questo che ultimamente lo vediamo un po’ triste. Dove vai a trovarlo in questo desolante scenario - di gialli unovaleuno, di verdi fagogitatoridinutella e di rossi rolexedisagio - qualche ospite capace di tenergli testa sul suo ring?
È la triste domanda che lui stesso – senza darlo a vedere: con garbo, eleganza e riservatezza – sembra porsi tra le righe del suo “Rivoluzione”, il libro che pare raccontare la nascita della Terza Repubblica, ma che, invece, profetizza una personale condanna: quella di doversi ridurre a perculare ospiti in un decrescendo di contenuti e decrescite felici piuttosto che sfidarli in uno scambio di contenuti e in un crescendo di futuro.
In questo suo 76esimo compleanno dovremmo provare a regalare a Brunovespa uno di quelli di un tempo. Quelli che se si sentivano portati sul piano della deduzione non si tiravano indietro, o che se volevano tirarsi indietro lo facevano attraverso l’arte del politichese. Solo che l’arte del politichese presuppone conoscenza e competenza. Roba rara di questi tempi. E se non sei un fenomeno a Brunovespa non lo freghi. Regaliamogli qualcuno di spessore da ospitare, ammesso che se ne trovino ancora.
Intanto, cercando un modo originale per fargli i nostri auguri nel giorno dei suoi 76, noi che abbiamo sempre i motori in testa vi raccontiamo, anzi vi recensiamo Bruno Vespa per quello che realmente è: BR1, l’unica hypercar del giornalismo italiano ancora pienamente marciante.
Storia
La data di prima immatricolazione è 27 maggio: oggi, ma di 76 anni fa. Il luogo è L’Aquila. L’approdo nel mondo delle corse giornalistiche, dopo rigorosa formazione, è però avvenuto a sedici anni. Come cronista sportivo, occupandosi di rugby sulle pagine locali de IlTempo. Due anni dopo era già un cronista Rai, senza lasciare però gli studi. La laurea, con tanto di tesi sul Diritto di Cronaca è arrivata nel 1968, ma è stata semplicemente una sorta di licenza per continuare a correre con le carte in regola. Perché la BR1 un nome già se l’era fatto sui circuiti della professione. Gli Anni ’70 e ’80 sono stati quelli di RaiUno e delle grandi interviste, con le edizioni straordinarie del suo TG1 che erano straordinarie veramente, perché sempre prime al traguardo: dal ritrovamento del cadavere di Aldo Moro alla Strage di Bologna. Nel 1996 trionfa su un innovativo circuito: Porta a Porta. Che diventa, in poco tempo, il terzo Parlamento della seconda Repubblica. Nel mezzo una quantità impressionante di editoriali e fondi per i quotidiani nazionali, su tutti Il Resto del Carlino, e una moltitudine di libri scritti, tanto da far venire il dubbio che sia davvero frutto di un solo motore.
Caratteristiche
Monta un 10 (il numero dei fuoriclasse) cilindri a V (come Vespa). Potente, quindi, ma non pesante. Perché la velocità, soprattutto nella cultura motoristica italiana, è figlia della leggerezza. E consente agilità. L’Hypercar BR1 è agile, tra gli ostacoli della professione, tra le curve del quotidiano, ma anche tra quelle del tempo, visto che ancora corre e vince. Ed è affidabile: lavorare a quei regimi per così tanti anni avrebbe fatto sbiellare qualunque altro motore. I consumi sono minimi, tanto da spiegare chilometraggi altissimi da uso quotidiano. Meccanica, ciclistica e dinamica collaborano e si integrano: sempre all’unisono, senza eccellere o mancare mai una rispetto all’altra. Ad accordarle c’è un computer di bordo a scansionamento perpetuo. D’altra parte, l’importanza di un continuo check dei parametri di marcia è vitale: come dimostra nelle pagine dei libri che ha dedicato alle storie d’amore dei grandi personaggi, raccontati attraverso le donne che li hanno accompagnati. Memorabile, a proposito, è l’intervista alla moglie di Craxi: pagine in cui scrittura e contenuti collaborano tra prosa e giornalismo come gas, frizione, freni, telaio e controllo di sbandata in scalata secca.
Si adatta a qualsiasi tipo di terreno e di condizione ambientale: negli anni lo hanno accusato di tutto. Dall’essere fazioso e riverente per la Democrazia Cristiana, all’aver intervistato mafiosi e papi tenendo la stessa linea. Passando per l’essere fascista solo perché non è mai stato dichiaratamente di sinistra, per l’aver sorriso alle barzellette di Berlusconi e per aver creduto a quelle di Renzi. Fattori esterni che possono compromettere le prestazioni di qualsiasi Hypercar, tranne, appunto, la BR1, che ha filato sempre sulla traiettoria scelta. In due parole: trazione integrale.
Pregi
Li abbiamo già descritti. Tralasciando le prestazioni, quindi, proviamo a concentrarci su esterni e interni. I primi lasciano a desiderare, non rispondono agli oggettivi criteri della bellezza, ma ci sono elementi di design, come quegli inconfondibili nei, che lo hanno reso unico e originale. L’espressione, accigliata, dimostra notevole aerodinamica ed è stata studiata per fendere al meglio l’aria dentro la galleria del pensiero. In alcuni tratti ricorda, in effetti, Benito Mussolini, ma meno incazzato. Sarà per questo che tra e il serio e il faceto la leggenda che ne fosse il figlio segreto s’è mantenuta negli anni, nonostante la mancanza di fondamenti storici e le sue stesse smentite. Gli interni, invece, sono curatissimi. E non nascondono nemmeno d’avere un cuore: il suo viso distrutto, realmente sofferente nel vedere le immagini de L’Aquila, la sua città, falcidiata dal terremoto, hanno mostrato un’umanità fino ad allora celata sotto la pelle del professionista che non si scompone mai. Ha interni curati nel dettaglio, persino morbidi, quindi, e strumentazione di bordo essenziale ma completa: velocità, giri motore, indicatore di marcia e bussola (che, attenzione, non è banale come un moderno navigatore).
Difetti
È uno solo, ma è duro da digerire: con i suoi plastici e alcuni approfondimenti sui fatti di cronaca ha aperto la strada alla spettacolarizzazione del dolore. Perché lui ha saputo giocare sul filo. Chi ha provato a scimmiottarlo, invece, no. E i risultati li vediamo tutti i giorni suoi quotidiani e in tv. La cronaca nera è spettacolare già di suo – il mantra sangue, sesso e merda vende da sempre – metterci sopra gli effetti speciali non serviva a niente. La tendenza dell’Hypercar BR1 di attraversare fatti di nera a gas aperto ha provocato ben più di qualche sbandata. Che su una Hypercar non sta mai bene, figuriamoci su tutte quelle utilitarie che provano a imitarlo e che, ora, sono un incidente continuo e rappresentano un pericolo sempre.