C’era una volta un tempo lontano lontano, quando addirittura Instagram non aveva le stories e veniva considerato poco più di un’appendice del proprio rullino fotografico da smartphone. Un tempo lontano lontano in cui non esistevano influencer, scambio merci e #adv. Un tempo lontano lontano e felice in cui una modella - oggi seguitissima reginetta dei social - per rispondere ai commenti delle sue (ancora poche) follower avvilite dalla di lei beltà in bikini scriveva: “Ragazze, io vado in palestra da gennaio a luglio ogni giorno per avere il fisico che vedete qui, ci manca solo che me lo debba coprire, pure in vacanza al mare, perché vi dà fastidio che sia bello e tonico”. Un’affermazione cristallina, onesta, sincera, diremmo di più: incontestabile. Come detto oggi reginetta dei social, costei oltre alle classiche foto in posa da lavoro dove tuttora rimane una turbofregna (termine di magalliana memoria, quindi utilizzabile checché ne pensi la Crusca) ogni due per tre posta foto dei suoi “difetti” (terribili doppie punte, un neo nell’incavo del ginocchio destro e così via) per “normalizzare” la bellezza autentica e rassicurare chi la segue. Come se la bellezza fosse diventata qualcosa da nascondere, qualcosa di offensivo. A dar manforte a questa nuova e programmatica mentalità (che c’è ma non si dice) arrivano le recenti dichiarazioni di Emrata al Corriere della Sera che, in promozione del libro "Sul mio corpo", affermano quanto la top model abbia provato vergogna nei confronti del proprio fisico e, soprattutto, mostrano un malcelato biasimo verso se stessa: all’indice, il fatto di aver accettato di farsi fotografare in pose sexy perché “Mi sembrava una forma di empowerment ma la verità è che mi sono sentita sfruttata e sminuita”. Andiamo ad analizzare quest’ultima boiata, fresca fresca di giornata.
Posto che ognuno è libero di sentirsi come gli pare (ci mancherebbe solo fossimo noi o chi per noi a stabilire quali siano le corrette reazioni emotive di fronte ai casi della vita), non possiamo evitare di notare un gigantesco cortocircuito nelle parole di Emrata. Un cortocircuito che ci spaventa non poco. Prima di tutto, giusto perché val sempre la pena di ricordare che il cielo sia azzurro, postuliamo che posare (con o senza veli) fa parte dell’attività lavorativa di qualsiasi modella. Insieme alle sfilate, ci sono gli shooting per campagne e riviste, quindi lamentarsene col senno (?) di poi suona un po’ come se un idraulico, dopo dieci anni di onorata carriera a riparar tubi, venisse a dire di trovare la propria professione moralmente sbagliata e offensiva: quei rubinetti il destino li aveva voluti rotti, lui non si sarebbe dovuto permettere di intervenire alterando lo status quo della forzata scarsa igiene dei proprietari degli stessi. Non ha alcun senso? Esatto, proprio come le dichiarazioni di Em.
Va bene nascere incendiari e morire pompieri, capita un po’ a tutti, ma la matrice evil femminista che c’è dietro le affermazioni di Emrata fa paura, dicevamo. E fa paura per un semplice fatto: la bellezza è bella. E non è una questione solo femminile. Per esempio, con la recente morte di Rossano Rubicondi i social sono esplosi di suoi scatti appartenenti all’epoca in cui faceva il modello: desnudo e oliato, ammiccante e fisicamente perfetto, a nessuno è venuto da aggrottare un sopracciglio additando il patriarcato (gay, a questo punto?) o il marcio sistema della moda trovandosi davanti al muso queste immagini super sexy. Che poi non sono diverse da quelle che si sono sempre trovate e si trovano tuttora sulle riviste più o meno patinate: abbiamo avuto tronisti (da Costantino Vitagliano in poi) a mostrare le loro grazie sui settimanali di gossip, calendari biotti sia maschili che femminili. Certo, Alberto Angela non si è mai prestato a questo tipo di auto-promozione ma ognuno, appunto, fa il suo lavoro. Tranne quella volta in cui Matteo Salvini ci ha fatto l’occhiolino, desnudo, dalle paginone di Chi, e qui ci scusiamo per avervelo ricordato. Ma andava fatto, anche se fa male.
Una persona che fa politica, divulgazione, giornalismo, giardinaggio o pascolo brado potrebbe e forse pure dovrebbe sentirsi sminuita se, in occasione di un’intervista, gli si proponesse di farsi scattare senza veli, senza alternative. Ma chi fa della bellezza il proprio lavoro non è moralmente inferiore a chi sceglie qualunque altro tipo di professione e non è nella posizione di lamentarsi, quando le viene semplicemente richiesto di lavorare. Nemmeno dieci anni dopo per improvvise illuminazioni sulla via di #Damasco á la Claudia Koll.
Emrata aggiunge, sempre nel corso della stessa intervista, che suo padre fosse insegnante di disegno e la madre professoressa di inglese: nessuno dei due è mai arrivato a guadagnare un decimo degli introiti della figlia che, le piaccia o meno, ha scelto di considerare la propria bellezza come un valore (a occhio e croce decisione saggia visto che è un patrimonio coi piedi), un valore su cui ha fondato la propria vita professionale. Per tutto il tempo, poteva mollare e andare a fare la commessa da Zara, la sous chef, la postina o l’archeologa ma no, ha intrapreso una carriera e a quella è rimasta adesa, vedendo di essere salita, per meriti naturali e sacro fuoco d’allenamento, sul treno giusto. Solo che oggi è diventata femminista e allora rinnega il proprio passato, come a volersi censurare, come se in effetti avesse fatto qualcosa di sbagliato perché: “A vent’anni, non capivo che le donne che traggono potere dalla bellezza devono quel potere agli uomini in cui suscitano il desiderio. Sono loro a esercitare il controllo, non noi. Oggi mi chiedo: ho autonomia, ma posso chiamarla emancipazione?”. E Costantino Vitagliano muto.
Serena Em, a parte che il dramma di essere nata bellissima è stucchevole al solo pensiero nonché, questo sì, spiccatamente offensivo per noi tutte comuni mortali, svolgere il proprio lavoro, qualunque esso sia, dall’insegnamento al sex working passando per la pesca a mosca, è già di per sé la più nobile forma di emancipazione, forse l’unica possibile. In attesa che Alessia Merz torni alla ribalta cospargendosi il capo di cenere per il calendario di nudo artistico che fece uscire nel 2000, vogliamo ricordare quanto detto poco sopra: la bellezza è bella, può essere un lavoro legittimo come qualunque altro ed è pure complicato starci dietro a livello fisico e personale, non è da tutti riuscirci. Se qualsiasi femminista, hashtag dopo hashtag, volesse convincerci del contrario, le consiglieremmo un biglietto di sola andata per Damasco, sì, il luogo dell’evangelica illuminazione di San Paolo: lì le donne sono talmente rispettate che non possono girare per strada nemmeno a volto scoperto. Così nessuno le sfrutta o sminuisce e i loro corpi non arrecano offesa a chicchessia. È questo il mondo che vogliamo e verso cui stiamo indefessamente marciando di trend in trend, giusto? Mentre temiamo la possibile risposta a tal quesito, ci permettiamo di dare un umile suggerimento a Emrata: non vuoi più sentirti "sminuita" e "sfruttata" per la tua bellezza (che vale milioni e li vale comunque sul tuo conto in banca)? Benissimo, chiudi Instagram, i social tutti e trovati un lavoro nella contabilità o in qualunque altro settore in cui l'aspetto fisico non sia dirimente. Semplice, no? Vola verso l'anonimato, Em, dimostra che le tue idee non siano solo hashtag. Oppure no. Perché anche la coerenza sarebbe un valore, tanto quanto la bellezza.