Lui si ricordava bene di me. Ci eravamo sentiti anni fa, per un progetto. Poi è saltata. Non potevo non intervistarlo. Il richiamo della mia terra era troppo forte, e se guardi una foto di Francesco Faraci ti ritrovi catapultato nel cuore della Sicilia. O di Palermo. Lui entra nelle case della gente di quartiere come se queste fossero, da sempre, casa sua. Che poi è un po’ così sul serio.
Francesco quando racconta un posto, una persona, una storia, si vede lontano un miglio che ci si rispecchia dentro. Si intuiva dai suoi socials già qualche anno fa, prima che iniziasse a stampare libri, ad essere pubblicato su numeri come il Time Magazine, la Repubblica, o venisse scelta una sua foto per la copertina di un libro di Saviano. Emergeva la sua intima necessità di descrivere una parte di Palermo, quella in contrasto fra disagi sociali, miseria e bellezza. Di restituire alla gente una dignità regale, sotto finestre di abitazioni buie, illuminate dalla penombra di una luce immacolata. La loro solitudine incastonata, tra mura scorticate di spoglie camere da letto. Come se servisse introdursi nell'entroterra di certi posti per scovarne l'umanità. E poi le strade, consumate dal quel modello di Ape a 3 ruote, la cosiddetta Lambretta (pronunciato “Lambrìiietta” marcando forte sulla “i” se sei un vero Palermitanazzo). I bambini “scanazzati” di certi quartieri, con lo sguardo cresciuto. I Malacarne. Come il titolo del suo libro di esordio, su cui ha lavorato per 3 anni e poi pubblicato grazie al Crowdfounding.
Quando l'ho intervistato, in pieno lockdown, era in giro a fotografare.
Facciamo parte di un momento storico, sarebbe folle non fotografarlo
Stai lavorando? Ottima scusa per stare in giro! Esordisce con fare spettinato e una fragorosa risata.
“Ci sto a casa eh, sia chiaro! Ma la mia è proprio un'urgenza, ho bisogno di raccontare quel che vedo adesso. Fotografo la sospensione del tempo e la vita che ci vedo dentro. Sono fermamente convinto che facciamo parte di un momento storico (speriamo) irripetibile, paragonabile ad una guerra di cui una volta terminata dovremo raccoglierne i cocci, sarebbe da pazzi agire come nulla fosse. Palermo ora è spettrale. Camminare per queste strade è quasi come un film, anzi ne supera la fantasia. Non mi era mai capitato di sentire il suono dell'acqua nelle fontane dei Quattro Canti. L'ho dovuto registrare, per forza. Ho questo grande privilegio, ne approfitto.”
Ride, spesso. È solare. La sua sigaretta nel frattempo si spegne, ci combatte un po’, la riaccende.
Non mi masturbo guardando e riguardando le mie foto
E Francesco Faraci, chi è?
“Sono piuttosto autobiografico in quello che fotografo, quando lo faccio è come se tornassi bambino. Fotografo il me stesso piccolo che rivedo in quelle storie.”
Sei cresciuto anche tu come i bambini di periferia che ritrai?
“Vengo da una realtà semplice, sì, per cui non mi è troppo difficile entrarci dentro. Conosco il mondo della strada, le sue regole non dette e l'ho vissuta da vicino. Il doversi guardare le spalle, il rispetto fra i tuoi pari, le gerarchie. Quando fotografo tutto questo un po’ ci mi rispecchio, un po’ butto fuori le mie domande, quelle a cui ancora non sono riuscito a dare una risposta. La Fotografia è per me una continua ricerca. Ma, non so come dirti... La fotografia e basta non genera in me altra Fotografia.”
In che senso?
Altra risata. “Per me è impossibile rintanarmi solo nelle fotografie, cioè, non è che mi “masturbo” guardando e riguardando le mie foto. Mi lascio ispirare da ciò che leggo, i film che vedo, ma soprattutto la realtà che percepisco intorno a me. Solo così butto fuori una sintesi, che a volte è un autoritratto, altre un momentaneo appagamento alle mie domande.”
Non l'avevo in programma di fare il fotografo. È capitato per caso: io lo scrittore volevo fare!
Malacarne: quei ragazzini hanno un contatto diretto con te, guardano dentro l'obiettivo con schiettezza. Si capisce subito quanto siete connessi, c'è quasi una simbiosi fra te e loro. Poi abbiamo Atlante Umano Siciliano, anche lì sono presenti i bambini. Esplori l’entroterra della tua regione mischiandoti fra città e culture diverse. È così che hai suddiviso te stesso?
“Malacarne potrebbe raccontare la mia parte auto-biografica. Anche io sono originario di un quartiere popolare, per cui ho avvicinato quei ragazzi con facilità, perché ero uno di loro. Dovevo rendergli giustizia, perché nascere in un quartiere malfamato, spesso è solo una brutta targa che ti viene appiccicata in faccia. Atlante Umano Siciliano è la mia parte in evoluzione, quella intima e curiosa, affamata di esplorare e divorare il mondo. L'istinto ad aprirmi verso il nuovo. Una vera e propria ricerca, carnale, concettuale.”
In pratica un loop che non si chiude mai.
“Proprio così! Per questo continuo a cercare”.
Per questo hai scelto il reportage rispetto a generi più “comodi”?
“Esatto. Sono un randagio. Non poteva che essere questo il mio genere. È vero, in qualche modo potrei definirmi un reporter, se dovessi citare un riferimento che mi ispira direi Koudelka. Non mi fisso solo su Palermo, per quanto la ami e sia attaccato alla mia città. Mi piace raccontare anche altri posti, esplorare culture alternative. Infatti avevo pianificato un viaggio, da solo, da Palermo alla Val d'Aosta. Poi è arrivata l'emergenza Covid. Sono come uno zingaro, anzi sono proprio zingaro dentro. Amo troppo il fatto di prendere uno zaino e partire. Che poi a dirla tutta, non è che l'avevo in programma di diventare fotografo. È capitato per caso: io lo scrittore volevo fare! Adesso, la Fotografia è la mia ossessione.”
La seconda sigaretta se la fuma seduto a un “pirtuso” (che in Palermitano letteralmente significa “buco”, portone).
I Jova Beach Party? Si trattava di stare in mezzo alla folla, mi chiedevo come sarei riuscito a gestire tutta quella gente
Svelaci il tuo metodo: vai in strada e fotografi ciò che ti colpisce, oppure aspetti il fatidico “momento giusto”?
“Non ne so nulla di tecnica fotografica, mai studiata. Sono autodidatta. Sul campo ho capito cosa mi piaceva, cosa attirava la mia attenzione e cosa mi rappresentava. Non voglio dire che “rubo l'attimo”. Se potessi prevedere cosa avviene in un secondo dopo l'altro sarei un supereroe! A volte le fotografie mi capitano, altre sono io a cercarle. Quando dico che sono ossessionato dalla fotografia intendo questo, ci sono notti in cui non dormo perché magari ho in testa *quella* foto. La mia incoscienza fa il resto: sono talmente impulsivo che sono in grado di camminare chilometri a caccia di una risposta, ho fatto inversioni contromano perché avevo intuito un potenziale buono scatto. La buona fotografia è libera da standard canonici. Una volta che ho raggiunto il mio obiettivo, riportare quel messaggio, sono soddisfatto.”
Cavolo, alcuni scatti sembrano eseguiti con molta capacità di tecnica. Quelli più dinamici, con la presenza della “quinta”, per esempio.
“Chiaramente, nel tempo ho approfondito e perfezionato anche l'aspetto tecnico delle regole. Ma il loro ruolo è sempre secondario.”
Quindi se davanti avessi una foto “sbagliata”, ma buona, ed una semplicemente “corretta”, quale sceglieresti?
“Assolutamente quella buona. La bellezza è una solo una conseguenza. Se la foto dice quello che volevo dire, per me ho fatto bingo.”
Dalle strade di periferia ai “Jova Beach Party”, vero simbolo di delirio la scorsa estate. Che impatto ha avuto uno stacco del genere sulla tua persona?
“Non è stato facile, soprattutto all'inizio. Lorenzo è una persona stupenda e ha creduto in me prima ancora di me stesso. L'adrenalina c'era: si trattava di stare in mezzo alla folla, mi chiedevo come sarei riuscito a gestire tutta quella gente. Non sono un tipo mondano: a volte sento la necessità fisica di isolarmi, e per fortuna chi ho accanto lo capisce e mi sostiene. Quella era una prova, un passo avanti. Mi ha aiutato ad aprirmi, mi ha reso migliore. Perché la mia ricerca mira soprattutto alla persona che ho deciso di diventare.
I tuoi progetti in cantiere?
Sto unendo le forze con altri 4 fotografi che come me vogliono raccontare la potenza di questo periodo: Lorenzo Zoppolato, Francesco Comello, Lorenzo Cicconi Massi e Sara Munari. Ci siamo sentiti con l'editore e presto uscirà questa raccolta a più mani, dialogando ognuno col proprio stile. Sarà una cosa molto figa.
Ci salutiamo, ha una diretta. Mi collego per vederla. Purtroppo racconta che gli è stata appena scippata la macchina fotografica. Per altro una specie di ferro vecchio, di quelle robe che hai messo a posto alla buona con lo Scotch. Me ne dispiaccio. La strada dà, la strada toglie, penso.
Ciao Francesco!