State partendo all’avventura per un viaggio on the road, quelle cose un po’ selvagge e un po’ da film, senza una meta precisa. Proiettatevi fuori dal mondo e dal tempo, e immaginate di non sapere cosa sia il Bluetooth e di non voler perdere tempo nel cercare un segnale radio (la vedo dura, nelle sconfinate distese della Louisiana). Volete entrare nell’atmosfera giusta, e per farlo vi serve la musica giusta. Ma non parliamo di musica qualsiasi. Avete bisogno di una playlist che vi guidi sull’asfalto quando siete persi, che vi dia la forza per continuare, e che vi faccia sognare che alla fine di questo viaggio interminabile una meta ci sia per davvero. Vi serve una top ten di rock sopraffino. Niente paura, non vi lasceremo di certo partire alla sprovvista.
10. The Animals - House Of The Rising Sun (1964)
È bastato solo menzionare le distese della Louisiana, che già state canticchiando le parole più celebri della storia del rock. È New Orleans il vostro punto di partenza, la città di cui cantano gli Animals nella loro The House Of The Rising Sun. E con il sole che sorge voi vi mettete in viaggio sulle note di questa melodia antica, dalle origini remote e ancora oggi confuse. Alcuni sostengono che sia nata nel 1800 come canzone popolare inglese, altri ancora che sia stata inventata in Francia due secoli prima, ai tempi del Re Sole. Comunque, ciò che è chiaro è che ad oggi vanta di un successo transatlantico che l’ha resa la prima canzone della storia del folk rock, e dal 1964 in poi, uno dei brani più coverizzati della storia della musica in generale (menzionandone alcuni a caso: Eagles, Nina Simone). Pare che sia stato Bob Dylan il primo a proporre la sua versione nel ’61, ma quella degli Animals di tre anni dopo rimane la più famosa. Sicuramente anche perché lo stile di vita caotico e dissoluto di Eric Burdon, frontman della band, va a braccetto con il testo della canzone. Le tematiche del brano sono infatti piuttosto tristi e narrano di una vita sfortunata, passata a giocare d’azzardo e a far baldoria nella Casa (chiusa) del Sole Nascente. “Oh madre, dì a tuo figlio di non fare quello che io ho fatto”. E allora mettetevi sulla strada, accendete i motori e scappate da New Orleans; con il sole ormai alto, vi lasciate la sfortuna alle spalle.
9. Elvis Presley - Hound Dog (1956)
Un colpo di acceleratore, il viaggio si movimenta. Ora in direzione Tennessee, per rendere omaggio all’unico e acclamato Re del Rock. L’incalzante rockabilly, dominato dalla voce graffiante di Elvis Presley, ci proietta nel sogno americano di un decennio d’oro, ormai troppo lontano.
L’ironia, la melodia accattivante e l’utilizzo di uno slang che attraversa tutta l’America: sono questi gli elementi chiave di Hound Dog, scritta dagli straordinari Mike Stoller e Jerry Leiber. Il brano parla delle lamentele e delle sofferenze di una donna che è stufa di mantenere il proprio gigolo, e lo sbatte fuori di casa. Tematica anche abbastanza attuale.
In principio sarebbe dovuta diventare un capolavoro del blues, ma negli anni ’50 nessuno voleva prendersi troppo sul serio. C’era bisogno di un’ondata di leggerezza, ed Elvis era l’uomo giusto al momento giusto.
La sua interpretazione genera un boato a New York, ma nonostante ciò i due autori ritengono che il ventenne del Mississippi sia la persona meno adatta per esibirsi con Hound Dog. “Troppo bianco” pensa Mike Stoller, dopo aver ascoltato la sua versione velocizzata e ballerina. Basta poco però per rendersi conto che la sua vita, da quel momento in poi, sarebbe cambiata per sempre. Con i suoi movimenti di bacino, Elvis spodesta il blues malinconico e si appropria del pezzo, lo porta in vetta alle classifiche e tre anni dopo finalmente lo incide. Più di 10 milioni di copie vendute in tutto il mondo, il titolo di “emblema della rivoluzione rock’n’roll”, una parte della colonna sonora in numerosi film come Grease, Forrest Gump, perfino “Lilo e Stitch”. E non dimentichiamoci delle ragazzine isteriche durante i live. Insomma, c’è un perché se questa canzone ancora oggi ci fa sentire vivi.
Nonostante questo, come ogni genio incompreso che si rispetti, Elvis ha ammesso di non aver mai particolarmente amato il pezzo, motivo per cui si è rifiutato di suonarlo per intero nei suoi ultimi live. Chissà invece se oggi, guardandoci dalla sua isoletta deserta, ha cambiato idea.
8. Bruce Springsteen - Born In The U.S.A (1984)
Dal King al Boss, oltrepassando i confini a tutto gas, accompagnati ora da una delle canzoni più esplosive e fraintese della storia del rock.
Born In The U.S.A, il singolo tratto dall’omonimo album dell’84, venne percepita dal pubblico come un grande inno dell’orgoglio americano. E non solo dal pubblico, ma addirittura dal presidente Reagan, che la sbandierò davanti a tutti come un simbolo della sua propaganda politica. Niente di più sbagliato. Effettivamente se ci limitiamo ad osservare la copertina dell’album (Bruce di spalle, il suo iconico fondoschiena nei blue jeans, lo sfondo a strisce della bandiera americana) e ad ascoltare solo il ritornello della canzone, è facile prendere fischi per fiaschi. Ma il Boss, appena trentacinquenne ai tempi, aveva ben altro da dire. Canzonando il presidente, respinse qualsiasi travisazione politica e patriottica. Con il suo album e soprattutto con quel brano, voleva far aprire gli occhi ad un’America superficiale, troppo pompata da quell’orgoglio nocivo, che stava distruggendo i propri uomini con le sue stesse mani.
Born In The U.S.A è l’inno degli sconfitti, di chi torna in patria e non ha più sogni di gloria, perché la guerra in Vietnam glieli ha distrutti sotto agli occhi. È una denuncia al sangue sprecato e alle bombe. È una canzone che punta il dito all’ipocrisia, alla malvagità di una nazione che manda a morire i propri veterani. Il tutto condito con una batteria esplosiva e un ritornello esasperato, urlato in faccia, sparato come aria compressa.
L’album ha portato Bruce Springsteen all’apice del successo, incoronandolo come uno degli uomini più veri del rock and roll, oltre ad affermare la sua poetica attraverso uno storytelling americano dissacrante. E pensare che il disco ha venduto 30 milioni di copie, ma di queste solo 15 negli Stati Uniti. Bizzarro, vero? Alla fine, neanche tanto.
E mentre ascoltate questa canzone disillusa e senza speranza, anche se non capite il perché, il vostro cuore pompa ruggente insieme al motore.
7. Guns N’ Roses - Sweet Child O’ Mine (1988)
Ma adesso passiamo al sole, all’oceano, alla leggerezza del cuore. Perché d’altronde non raccontiamoci bugie, è la California il nostro vero sogno americano. E Los Angeles è proprio come ce la siamo sempre immaginati, un paradiso terrestre di spiagge ed edifici scintillanti. Oltre ad essere il palcoscenico delle rockband più hot della storia, come ad esempio i Guns N’ Roses. Facciamo partire la loro hit più famosa, Sweet Child O’Mine, e ascoltando le note di quel riff di chitarra estasiante, ci sembra quasi che in California si possa essere giovani per sempre. L’aura di leggerezza che ci avvolge è la stessa che probabilmente avvolge Slash, che strimpella la sua chitarra durante una sessione di prove nell’88. Insieme a lui c’è il batterista Steven Adler, che cerca di stargli dietro mentre si fanno le smorfie. Viene fuori questo riff interessante, e parte subito ad accompagnarli Izzy Stradlin con la chitarra ritmica. In quel momento Axl Rose è al piano di sopra, e si rende conto che qualcosa di eccitante bolle in pentola. Si precipita dal resto della band e inizia a cantare il testo che aveva composto per la sua fidanzata di allora, Erin Everly. E pare che ci abbia visto giusto, non solo perché Erin dopo l’ha sposato, ma anche perché Sweet Child O’ Mine in men che non si dica raggiunge la vetta della Billboard top 100, ed estende il successo dei Guns a livello globale. Oltre all’intro, anche l’assolo di Slash accresce la fama della ballata, rendendola una vera e propria perla del rock. La parte finale invece cambia il ritmo radicalmente, ed è stata suggerita dal produttore Spencer Proffer, che voleva aggiungere uno special alla canzone. Ma anche le rockstar geniali a volte hanno dei blackout mentali, e Axl, che aveva finito le parole, rimugina a lungo ripetendo tra sé e sé “che facciamo ora?”. Proffer sta già perdendo la pazienza, e decide che quella frase va benissimo per chiudere il pezzo. Quindi tutti sono contenti, le prove sono finite, e lo registrano.
Ed ecco fatto, in quattro e quattr’otto, il brano più iconico dei Guns N’ Roses.
“Where do we go now?”
6. Aerosmith - Dream On (1973)
La musica vi fa cambiare completamente rotta, e vi fa riconnettere con il vostro io interiore. Durante il viaggio, è come se i diversi scenari che vi scorrono in sequenza davanti agli occhi, sblocchino delle parti di voi che fino ad allora erano sconosciute. Partono le note di una canzone inquieta, malinconica, eppure così sognante. E iniziate a sognare anche voi, sugli accordi struggenti di Dream On.
Steven Tyler, un ragazzino di Boston, non è nemmeno maggiorenne quando compone la musica della ballata più bella e potente della storia del rock. La scrive per gioco, suonando il pianoforte tanto caro a suo padre, sognando ad occhi aperti e senza dare troppo peso alle parole. Dopotutto è stufo di continuare a suonare la batteria nelle band del liceo, e vuole mettersi alla prova come frontman. Qualche anno dopo il suo sogno si avvera, e diventa così leader e cantante degli Aerosmith, con Joe Perry e Brad Whitford alle chitarre, Tom Hamilton al basso e Joe Kramer alla batteria. E nel ’73 quel brano che era pronto già da un pezzo finalmente trova voce, e viene pubblicato come primo singolo della band. Il clima subito è di indifferenza totale, perché la Columbia stava lavorando al debutto di un certo Bruce Springsteen. Dovettero passare tre anni, prima che la power ballad degli Aerosmith venisse incoronata come canzone dell’anno dagli ascoltatori di una radio di Boston. Da quel momento in poi, il successo fu incontrollabile.
È difficile rimanere impassibili davanti a un pezzo così puro e glorioso, ed è altrettanto difficile credere che delle parole così incisive siano state scritte da un teenager. Spesso però la saggezza si racchiude nei cuori più puri, e per ritrovare la speranza occorre frugare nei ricordi, in tutto ciò che abbiamo dimenticato, e ritrasformarlo in sogno. Perchè alla fine, come si può continuare a viaggiare dimenticandosi di sognare?
Nel momento in cui la notte comincia a schiarirsi, le dolci note della ballata si affievoliscono sempre di più, e voi continuate a guidare.
“Il passato è passato, svanito come tenebre all’alba”.
5. Nirvana - Smells Like Teen Spirit (1991)
Un salto avanti, nel tempo e nello spazio. Inebriati dalla musica e dai paesaggi, senza rendervene conto, siete arrivati a Seattle. Dicono infatti che sia così che funziona quando arrivi a Seattle, non te ne accorgi nemmeno. Un grande cantante una volta raccontava che è proprio come te la immagini, una cittadina piena di pusher, benzinai e umidità. Però, nonostante l’aura spettrale che la avvolge, questo grande cantante è riuscito a scriverci il pezzo più amato e sconvolgente della storia del rock: Smells Like Teen Spirit.
Era il 1990 quando Kurt Cobain, sbronzo da morire, stava scrivendo “God is gay” sul muro di un nuovo centro per ragazze madri, insieme alla sua amica Kathleen Hanna, leader delle Bikini Kill. La serata poi è proseguita nell’appartamento di Kurt, dove Hanna si è divertita a imbrattare i muri con frasi senza senso. “Kurt smells like teen spirit” era una di queste, e per “teen spirit” si riferiva a una marca di deodorante femminile. Le più grandi canzoni nascono per scherzo, e in quel periodo Kurt stava lavorando al “pezzo pop definitivo”. Quale miglior titolo, se non uno che citava un deodorante conosciuto da tutti? Per la musica invece i Nirvana si ispiravano ai Pixies, e così il brano si sviluppò in un crescendo di intensità fino ad esplodere aggressivo nel ritornello.
Smells Like Teen Spirit ha letteralmente sfondato le barriere della musica underground, catapultando i Nirvana dai pub desolati di Seattle, al vertice delle classifiche rock degli anni ’90. Nessuno si aspettava che sarebbe diventato una hit, perfino il produttore Butch Vig non ci capì nulla la prima volta che lo ascoltò. Il brano sconvolge anche il target classico del rock, ed è narrato dal punto di vista degli adolescenti apatici dagli spiriti rivoluzionari, protagonisti del videoclip che ha dato un’ondata di freschezza al look di MTV. Dei ragazzi esattamente come Kurt, che viveva oscillando tra rivoluzione e alienazione, e non si aspettava certamente di diventare una celebrità. Ma nella sua genuinità, nemmeno se lo sognava.
Mentre le note della canzone si distorcono, lasciate Seattle velocemente, incazzati e con un nodo alla gola. Avete la sensazione che a quella città silente sia stato rubato qualcosa.
4. The Rolling Stones - Sympathy For The Devil (1968)
Dove siete finiti? Avete guidato così soprappensiero che siete vi siete ritrovati in Inghilterra. Non vi preoccupate, è la musica, ha questo effetto su tutti. È un’arma potente, inebriante e spesso pericolosa, ma se viene utilizzata nel modo corretto è in grado di smuovere i cuori e le masse.
Ad esempio i Rolling Stones, al contrario di quello che si vocifera, l’hanno sempre utilizzata con i migliori propositi. Probabilmente quello che è successo con Sympathy For The Devil, è stata solo una serie di sfortunati eventi.
La famosa “samba diabolica” è stata composta nel 1968, esattamente la sera prima dell’uccisione di Robert Kennedy. Ma in effetti, è solo il primo degli avvenimenti spiacevoli che hanno perseguitato questa canzone negli anni. In un concerto degli Stones, un fan fu addirittura accoltellato sotto il palco durante l’esibizione di quel pezzo. Si comincia così ad affermare l’idea che Sympathy For The Devil sia perseguitata da una sorta di bad karma, e la band si sente costretta a non suonare più quella canzone per 7 anni. In realtà, giravano già parecchi pregiudizi nei confronti degli sfacciati Rolling Stones. Una band così rivoluzionaria non poteva che destare fastidi tra il pubblico conservatore. Con gli anni, si arriva addirittura a sostenere che il gruppo, capitanato da Mick Jagger, faccia parte di qualche setta satanica.
Ciò che gli Stones vogliono dirci, invece, è che non esiste il Bene senza il Male. Ce lo racconta proprio Lucifero, attraverso una canzone dissacrante e diabolicamente ironica, che percorre tutte le tragedie della storia dell’umanità. E alla fine ci si guarda dritti in faccia, e ci si rende conto che Satana, il mondo delle tenebre e le forze oscure, non sono altro che storielle deliranti in cui l’uomo si rifugia per nascondersi dallo schifo che ha fatto. Ma hey, Keith Richards ci insegna anche che nella vita bisogna essere stoici: “cos’è il Male? Parte di noi”, risponde di fronte alle accuse di satanismo. E dal Male, si può imparare a fare del Bene.
Sympathy For The Devil è una canzone visionaria, un capolavoro di riflessione interiore che ha fatto pensare e ballare intere generazioni. Alzate il volume e lasciatevi guidare dal ritmo insistente delle maracas, cantando a squarciagola, fino a quando vi fa male.
3. Queen - Bohemian Rhapsody (1975)
È arrivato quel momento del viaggio in cui vi chiedete: “questa è la vita vera, o è solo fantasia?” Avete attraversato interi continenti, superato epoche e confini, tutto solo con l’aiuto della musica. Va bene, ma non stupitevi troppo, perché c’è qualcuno che l’ha già fatto prima di voi. E sono proprio i Queen. Non avevamo dubbi che fossero una delle band migliori della storia, ma anche chi ce li aveva, se li è tolti definitivamente qualche anno fa. Nel 2018, infatti, dopo l’omonimo film, Bohemian Rhapsody si è guadagnata il titolo di “canzone più ascoltata di sempre”. Ma facciamo un passo indietro, quando tutto ha avuto inizio.
Siamo alla fine degli anni ’60, e un giovanissimo Freddie Mercury si precipita correndo come al solito nello studio di registrazione, dove lo aspettano gli altri della band. In mano ha una marea di foglietti scribacchiati, probabilmente strappati dall’elenco del telefono. Senza guardare in faccia nessuno si mette al pianoforte e comincia a suonare “come la maggior parte della gente suonerebbe la batteria”, afferma il chitarrista Brian May. La canzone in cui si esibisce, oltre ad essere incomprensibile, è piena di lacune. Ma Freddie ci crede davvero, e spiega che le parti mancanti andranno poi colmate con cori, canti a cappella e “cose da opera”. Forse, è l’unico che fin dal principio ci ha creduto davvero. Bohemian Rhapsody è infatti la trasposizione scritta di Freddie Mercury in persona. Una canzone confusionaria ma minuziosa, prolissa ma sbarazzina, divertente ma piena di insicurezze. Ci sono simbolismi che si alternano per tutto il brano ad esclamazioni bizzarre e un po’ grottesche. Divisa in cinque sezioni, e con 180 parti vocali registrate, è una vera e propria rivoluzione musicale che mixa l’hard rock con l’opera, la ballata e i cori a cappella. Con una durata di oltre 6 minuti, la EMI non può certo correre il rischio di pubblicarla. Infatti Freddie pensa bene di passarla di nascosto a Kenny Everett, un amico dj che solo nel weekend la trasmette circa 14 volte. Il resto poi, è storia.
Bohemian Rhapsody ad un primo ascolto può sembrare un enorme non-sense, ma non è altro che il risultato che Freddie Mercury voleva ottenere. Un alone di mistero avvolge questa canzone, e il vero significato lo conosce solo lui. Ma forse se accostate un attimo ed alzate gli occhi al cielo, potreste riuscire a capirlo anche voi.
2. The Doors - Light My Fire (1967)
Riprendete a viaggiare a cavallo di un confine invisibile, tra realtà e fantasia. Il viaggio sta giungendo al termine, ma vi rimane ancora del tempo per gustarvi il panorama. E allora oltrepassate quel confine immaginario, e sfondate le vostre porte della percezione sulle note psichedeliche di Light My Fire.
Con 7 minuti di sperimentazioni musicali ed un lunghissimo assolo fuori dal tempo, Light My Fire è il primo esempio di rock & jazz fusion della storia. La sua psychedelia, oltre al massiccio utilizzo di droghe sintetiche, sta proprio nella composizione. Ognuno nella band ha condito il pezzo con una parte intima di sé. Krieger ci ha messo tutti gli accordi che conosceva, e un testo a dir poco passionale; Manzarek ha aggiunto l’organo, rispolverando la sua attitudine classica e le reminiscenze barocche; Densmore il ritmo scomposto della batteria; Morrison un tocco di mistero e inquietudine, ovviamente parlando di morte. Al contrario di tutte le altre canzoni del loro primo album, il Re Lucertola ha contribuito al testo solo nella stesura della seconda strofa. Forse, anche per questo Jim non ha mai sentito che gli appartenesse davvero. Ma d’altronde a Robby era stato dato l’incarico di scrivere qualcosa di “universale”, che non sarebbe scomparso dopo qualche anno.
E così fu. Light My Fire rimase in vetta alla Billboard Hot 100 per ben tre settimane, anche se drasticamente accorciata dagli emittenti radiofonici. Un affronto per Morrison e gli altri, ma fu ancora peggio quando all’Ed Sullivan Show fu chiesto alla band di censurare un verso della canzone, quello che sottintendeva l’utilizzo di droghe. Jim se ne infischiò (dopotutto un re fa quello che vuole), e i Doors non furono più invitati. Per non parlare di quando una casa automobilistica offrì ai Doors 75mila dollari per utilizzare la canzone in una pubblicità, e Morrison di tutta risposta minacciò di spaccare il cofano di una loro auto se avesse sentito Light My Fire durante lo spot. Severo, ma giusto. A rigor di logica, credo che a Jim avrebbero dato fastidio anche tutte le cover che sarebbero state proposte gli anni a venire. Me lo suggerisce il fatto che l’ultima volta che si esibì con questa canzone, non la terminò nemmeno, e lasciò il palco scaraventando a terra il microfono. Sicuramente lui oggi, dalla sua isoletta deserta, ci manderebbe tutti dritti a quel paese.
1. Led Zeppelin - Stairway To Heaven (1971)
Qualcosa dentro di voi vi dice che state arrivando a destinazione. Il vostro viaggio è stato un’escalation di alti e bassi, stati d’animo contrastanti ed emozioni intense. E si può riassumere soltanto con una canzone di chiusura.
Stairway To Heaven, pietra miliare dei Led Zeppelin, è un capolavoro di musica e di poesia. E come tutte le cose belle, è venuta al mondo in modo improvviso e inaspettato. Robert Plant ha poco più di vent’anni quando, in un momento di sconforto, comincia a scrivere di getto dei versi che rimarranno per sempre nella storia. La sua scrittura è automatica, un flusso di pensiero, e appena posa la penna si spaventa nel rileggere ciò che ha scritto.
Plant è alla ricerca della perfezione spirituale e nel farlo si è appassionato da tempo all’esoterismo. Uno dei suoi scrittori preferiti è Lewis Spence, e lo spiritualismo celtico è fonte di ispirazione per gran parte della sua produzione artistica. La verità è che Plant si sente un pesce fuor d’acqua, in una società che “considera oro tutto quel che luccica”. I suoi versi sono poesia, ma il pubblico non è disposto a comprenderli. Tutti gli puntano il dito contro, accusando i Led Zeppelin di essere parte di qualche setta occulta. Ma nulla come sembra, perché “a volte le parole hanno due significati”. I dolci arpeggi e il flauto accompagnano la sua voce limpida, mentre inizia a sussurrare una ballata ricca di simbolismi e metafore, che rimarrà per anni incompresa da tutti.
Stairway To Heaven è una canzone eterna, che si ribella a una società materialista anelando all’armonia collettiva. Un sogno ad occhi aperti, un climax emozionale che vuole infondere a tutti un forte messaggio di uguaglianza. Non perdete tempo ad ascoltare la canzone al contrario, o percorrereste un viaggio a ritroso. Piuttosto spegnete finalmente il motore, e fatevi cullare dalla dolce melodia del flauto. Godetevi poi l’istante in cui l’impeto di ribellione esplode nell’hard rock conturbante dei Led Zeppelin.
Vi guardate nello specchietto. Siete sfiniti dal viaggio, ma avete un sacco di cose nuove da raccontare. Ma ora che farete, salirete su quella scala?