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Freaks Out è una sòla

  • di Grazia Sambruna Grazia Sambruna

29 ottobre 2021

Freaks Out è una sòla
Lunghissimo, estenuante, pretestuoso: Freaks Out di Gabriele Mainetti è di una noia più mortale dei nazisti che mostra al pubblico in oltre due ore tra circo, superpoteri discutibili e la disperata ricerca di una trama. I tempi di Lo chiamavano Jeeg Robot sono lontani anni luce. E vi mancheranno moltissimo, durante la visione di questo "capolavoro" tanto osannato quanto inutilmente tedioso.

di Grazia Sambruna Grazia Sambruna

Capolavoro, kolossal, incredibile, fantastico, pare Spielberg, imperdibile. Scrosci di superlativi hanno accompagnato l’uscita di Freaks Out, il nuovo film di Gabriele Mainetti, in sala dal 28 ottobre e già trionfalmente presentato all’ultima Mostra del Cinema di Venezia tra applausi convulsi ed epilettiche standing ovation. Incontabile il numero di recensioni entusiastiche rispetto alla pellicola che doveva essere in sala a Capodanno scorso ma, causa Covid, è arrivata adesso, sotto Halloween, a infestare i cinema nostrani. Quattro i protagonisti, dotati di superpoteri straordinari (...davvero?), e quattro le uniche lettere della parola, stranamente non ancora utilizzata, con cui si dovrebbe definire questo film: sòla. Anche se ci piange il cuore.

Ci piange il cuore innanzitutto per avere vissuto l’esperienza di esserci sentiti sotto sequestro durante la visione del lungometraggio che ha la morbidissima durata di 2 ore e 21 minuti in cui lo spettatore prima crede poi spera che accada qualche cosa, oltre al fumo dei faraonici effetti speciali, sullo schermo. Ci piange il cuore anche perché siamo entrati al cinema carichi di aspettative (vuoi per il battage promozionale, vuoi per l’attesa lunga un anno, vuoi per il capolavoro che è Lo chiamavano Jeeg Robot, vuoi perché nella vita si ha sempre bisogno di qualcosa di bello in cui sperare) e ci siamo ritrovati davanti a un film interamente composto da aspettative. Aspettative che però non si risolvono mai in twist o snodi di trama che non fossero già chiarissimi, se non proprio sbattuti davanti al muso del pubblico, dal minuto 5. 

Sì, ma di cosa parla Freaks out? È il 1943, siamo a Roma, esiste la guerra e lo sgangherato circo Mezza Piotta tenuto in piedi dall’ebreo Israel (Giorgio Tirabassi) e dai suoi quattro freak: Cencio (Pietro Castellitto) un albino incantatore di insetti, Matilde la ragazza elettrica (dà la scossa, ma non quella che fu della Civitillo all’Eredità, una scossa mortale), Mario il nano calamitico superdotato (Giancarlo Martini) e Fulvio l’uomo super-peloso (Claudio Santamaria). Qualunque di questi poteri potrebbe tornare utile per vincere una guerra? Assolutamente no, risponderebbe Gino l’idraulico come chiunque dotato di buon senso. E invece sì è la risposta, alterata dall’etere, del nazista Franz, sei dita per mano, dono della preveggenza (à la Cassandra) e la strenua volontà di fare un regalo a Hitler nel disperato tentativo di essere accettato dal Reich nonostante la sua deformità fisica. Lui vuole questi quattro sciagurati, gli dà ossessivamente la caccia mentre pure i partigiani se li contendono strenuamente. Sapete qual è il bello? Nessuno: delle sorti di questa gente non vi interesserà assolutamente per l’intera durata del film. 

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I protagonisti di Freaks Out, annoiati già nelle immagini promozionali del film

I personaggi si muovono sullo schermo con lo stesso agile dinamismo di una polaroid sbiadita: per carità, vestiti e imbellettati benissimo (per i loro ruoli) e incorniciati da una fotografia grandiosa, oltre all’ineccepibile packaging non c’è altro che risulti interessante in loro: uno straccio di backstory, un inciampo, un incidente di percorso, uno che va a fare la spesa, qualsiasi cosa andrebbe bene ma no, loro, monolitici, sono riassumibili in due battute dall’inizio alla fine. Macchiette fini a se stesse, c’è più probabilità di provare empatia per chi ci è seduto sulla poltrona di fianco a sorbirsi queste due ore di esteticamente bellissimo niente che per i destini di sti quattro. Avete presente il carisma dello Zingaro (Luca Marinelli) in Lo Chiamavano Jeeg Robot? Ecco, dimenticatevelo. Il villain qui è a sua volta pretestuoso e abbozzato. La visione di Freaks Out, meravigliosi e a volte poetici effetti speciali circensi a parte - sì, se solo non esistesse Big Fish - è come l'ascolto della demo di una canzone, la primissima versione, quella con l’idea che solo una volta corazzata e sviluppata diventerà la martellante hit di stagione. 

“Non sembra un film italiano”, si legge in giro a proposito di Freaks Out. No, il punto è che non sembra un film. Più che una trama, siamo davanti a un’accozzaglia di roba messa insieme alla bell’è meglio. Una sequela di spunti anche interessanti che però non decollano mai verso una sorpresa per non dire un colpo di scena. Prevedibilissimo, è il film perfetto da guardare sul divano in una stanca serata invernale con l’occhio destro mezzo chiuso e quello sinistro vigile ma concentrato sulle rogne previste l’indomani in ufficio. Mentre le immagini scorrono, qualcuno spara, qualcun altro è troppo timido per farlo (e lo sarà per due ore e dieci minuti, signori, due ore e dieci minuti di irresistibile timidezza contro quei teneroni dei nazisti ma del resto, come ben dice Ricky Gervais, chi vorrebbe mai spezzare il cuore a un nazista). 

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Un post condiviso da Gabriele Mainetti (@gabriele.mainetti)

Dal regista che ci ha regalato un film pieno di “Cosa diavolo sta succedendo?!” come è Lo chiamavano Jeeg Robot, ci aspettavamo di più. O meglio: ci aspettavamo qualcosa. Se davvero volete sorprendervi con una pellicola che “non sembra italiana”, vi consigliamo il rewatch di Jeeg oppure di dare una chance al bistrattato Il racconto dei racconti di Matteo Garrone. Se invece avete voglia di andare incontro a una grandissima delusione, correte al cinema (che è pur sempre cosa buona e giusta) e lasciatevi annoiare dai freak di Mainetti. Gli X-Men de Roma incontrano Bastardi senza gloria e tutti insieme finiscono col fare una capatina a Dawson's Freak battendo il Guinnes World Record di sbadigli in sala fino ad arrivare a un finale che vorrebbe disperatamente essere una scena clou, ma risulta un mappazzone che siamo abituati a vedere regolarmente - solo, fatto visivamente meglio - in qualunque film Marvel ogni dieci minuti. Questi freak potevano rimanersene comodamente dentro le pagine di una sceneggiatura. Invece qualcuno li ha fatti uscire e ora sono a piede libero, pure primissimi al box office nella prima giornata di programmazione in sala. Che però questo film, successo di pubblico e critica o meno, abbia ridefinito il concetto di tedio mortale, andava detto. Seppur col cuore spezzato dalle aspettative, eccoci: sui vostri smartphone esiste l’emoji col tendone da circo. Fissatela per due ore e 21 minuti. Fatto? Bene, avete visto Freaks Out. 



 

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