Il 23 gennaio del 2004 Helmut Newton moriva a Los Angeles schiantandosi in un muro proprio fuori lo Chateau Marmont, il residence delle star in cui viveva. Aveva 83 anni e con il suo lavoro aveva rivoluzionato la fotografia di moda, rendendola personale, onirica, erotica.
Newton ha influenzato un’intera generazione di fotografi e soprattutto il nostro immaginario. Un’immaginario che oggi è molto diverso, molto più “emancipato”, soprattutto nei riguardi della figura femminile. Ma proprio per il punto in cui siamo arrivati è importante il lavoro del fotografo tedesco che ha spianato la strada alla libertà di rappresentare il corpo femminile come un romanzo noir e ha sgobbato una vita prima di arrivare a fare le “sue” foto. Non tutti lo sanno ma la gavetta di Newton è stata costellata di farica e incomprensione.
In pochi conoscono la parabola del Newton ebreo scappato dai nazisti che era appena un ragazzo. Ha vissuto in Cina, poi é stato deportato in Australia. Ha iniziato a fotografare da adolescente e ha subito avuto il desiderio del proibito. Nella sua Autobiografia (edita da Contrasto in Italia) racconta il suo rapporto con le donne, i suoi soggetti, i suoi lavori più importanti ed è una storia fatta di anni di rifiuti, di risultati scarsi (all’inizio), di scelte radicali per arrivare poi alla consacrazione. Newton è stato una star in vita, ha trasceso il mondo della fotografia e valicato quello dell’arte. Di lui oggi resta un lavoro monumentate, eterno, che potete ritrovare nei suoi libri.
Per celebrarlo abbiamo chiesto un parere su di lui a cinque fotografi completamente diversi tra di loro per poetica e stile ma appunto per questo esemplificativi di quanto l’opera di Newton sia trasversale.
I fotografi che hanno partecipato sono: Mattia Zoppellaro, Marcel Swann, Enrico De Luigi, Toni Thorimbert, Settimio Benedusi