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Ho ascoltato Gemelli di Ernia
e sono diventata schizofrenica

  • di Silvia Vittoria Trevisson Silvia Vittoria Trevisson

19 giugno 2020

Ho ascoltato Gemelli di Ernia e sono diventata schizofrenica
Ma ho anche realizzato che per fortuna, nella scena rap italiana del 2020, esiste ancora qualcosa di articolato. E vi assicuro, ve lo dice una che il rap di oggi non lo ascolta ma lo “sente”, lo fa passare da un orecchio all’altro e lo accompagna volentieri all’uscita. Ma con Ernia, stavolta, la questione è diversa

di Silvia Vittoria Trevisson Silvia Vittoria Trevisson

Conosco artisticamente Ernia da tre anni, dai tempi di “Come Uccidere Un Usignolo”. Mi è piaciuto subito, non solo artisticamente, e questo l’ha capito anche lui quando dopo qualche messaggio gli ho mandato il mio numero di cellulare su Instagram. Non sono una groupie, ma mi ero invaghita delle sue parole.

Matteo Professione, milanese, classe 1993, con le parole ci sa fare. Lo avevamo incontrato un anno fa assieme a Vicky Piria, nella prima puntata di S-Caricati. Un disco d’oro, uno di platino, e adesso dopo due anni arriva finalmente “Gemelli”. I suoi album da solista sono relativamente recenti, ma la musica è sempre stata parte integrante del suo vissuto. Basti pensare che le sue prime gare di freestyle risalgono ai tempi delle medie, con il suo “bro” Tedua, sulle famose panche di quartiere che cita ancora oggi nei pezzi.

Ernia è un rapper che pensa, forse troppo. Tra un album e l’altro c’è un limbo di tempo anomalo in confronto alla frenesia della scena attuale. Oggi siamo abituati a volere tutto e subito, ma così non ci rendiamo conto della quantità di cazzate che ci permettiamo di ascoltare. “Gemelli” vuole dirci anche questo: ok le cazzate, ma adesso mettiamole da parte, perché l’hip hop non può essere solo questo. E ad oggi, sarebbe anche limitante dire che l’hip hop sia per forza confinato alla strada, senza possibilità di evoluzione. Per ogni cosa c’è un rovescio della medaglia, un inizio ed una fine. Ciò che preme di più ad Ernia è raccontarcelo, mettendosi a nudo nelle sue mille sfaccettature, creando un album fluido, vero, ma soprattutto artisticamente elaborato. E sottolineando che non ha mai detto la parola “soldi” nei suoi pezzi.

La cosa più spaventosa è che elaborato non significa finto. Se fosse così, probabilmente non mi avrebbe colpito per niente. Non per tirarmela, ma sono un’ascoltatrice abbastanza attenta e vi ho già spiegato del meccanismo di entrata/uscita cranica che tengo in serbo per tutto il fake che circola oggi. Ma non sono immune a ciò che è veritiero, e soprattutto mi sciolgo davanti alle personalità complesse. 

Senza alcun dubbio, la consapevolezza è la chiave dell’efficacia di “Gemelli”. In primis consapevolezza tecnica, che gli permette di elevarsi notevolmente rispetto al resto della scena. Ernia fa musica di spessore, scrive di sé stesso, delle sue emozioni e delle sue esperienze. Non potrebbe mai farci lo storytelling dell’osservatore. I suoi testi assomigliano un po’ a dei flussi di pensiero, con una buona dose di parolacce che galleggia in un oceano di tecnicismi. Ma quando arrivano, quelle parolacce, sembrano proiettili. Non c’è tutto il materiale minuzioso di “68”, il suo secondo album, che poteva perfino sembrare meccanico e un po’ ermetico. In questo album c’è una grande presa di coscienza, che porta il rapper milanese a raccontarsi nel modo più naturale possibile. Eppure, con grande impatto. 

Ernia sa scrivere, sa pensare, e lo vuole fare al meglio. Si prende tutto il tempo che vuole perché sta al di fuori degli schemi mediatici. Mi viene da scrivere “vecchia scuola”, che alla mia età non so ancora bene cosa significhi, ma nella mia testa lo separa nettamente da tutte quelle star di Instagram che fanno tremila stories al giorno, facendoci intendere in modo assillante che qualcosa bolle in pentola. E alla fine della fiera, quando la pasta è pronta la mangiamo malvolentieri perché è scotta. 

“Vecchia scuola” mi fa anche pensare alla terza traccia, “Puro Sinaloa”, realizzata con Tedua, Rkomi e Lazza. Il pezzo rende omaggio ai Club Dogo, seppur indirettamente, con il beat di Don Joe di “Puro Bogotà”. Una bomba che non tarderà a diventare una hit per gli zarri di quartiere e non solo. In assoluto contrasto con questo ci sono “Superclassico” e “Ferma A Guardare”, con un romanticismo inaspettato, un po’ scazzato e un po’ dissacrante, con sonorità pop atipiche per Ernia. Per poi ritornare alla cara vecchia strafottenza di “Morto Dentro” e “Non Me Ne Frega Un Cazzo”. Il tutto condito con dei feat da paura, puntando ai rapper/colossi italiani come Fabri Fibra e Luchè. 

Ma se c’è un ingrediente che non manca mai, quello è sicuramente la nostalgia. In ogni brano c’è qualcosa che ti lascia l’amaro in bocca, un desiderio strozzato di tornare al passato per cambiare qualcosa, magari evitarlo, magari farlo meglio. Mi sono ancorata a questo sentimento ascoltando “Gemelli”, con la speranza di rimanere coi piedi per terra e di non lasciarmi sballottare da un album da montagne russe. Purtroppo per me non penso di esserci riuscita, ma anche tutto questo coinvolgimento emotivo mi rende una buona ascoltatrice, giusto? Non c’è dubbio che renda Ernia, oltre che un bravo rapper, un ottimo e imprevisto cantautore.          

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  • Ernia
  • Musica
  • Rap
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