Mia figlia tifa Arbolino. In casa non guardiamo molta televisione ma, inutile dirlo, guardiamo le gare. È un momento che, spero, ricorderà da grande. È una cosa solo nostra, io e lei, le gare la domenica.
-Quello con la moto rosa babbo, ma è vero che è il più bravo? Ha sorpassato! Ma ci sono le femmine che fanno la gara delle moto?
-Si, ci sono. C’è una ragazza che si chiama Kiara, ha vinto sei campionati del mondo. E poi ce n’è anche una che si chiama Ana, lei ha vinto il campionato del mondo contro tutti i maschi.
-Ma qui non c’è?
-No, oggi qui non c’è. Ma magari ne arriverà qualcuna.
-Ah. Babbo?
-Si?
-Che cos’è un campionato del mondo?
Il 4 dicembre MotorTrend ha lanciato Drive Me Crazy 2 con Irene Saderini, programma in 6 puntate da circa un’ora ciascuna in cui Irene si mette alla guida di qualsiasi mezzo a motore assieme a campioni di ogni categoria. Mi dicono guardalo, scrivi un pezzo.
Mi dico va bene, lo guardo con mia figlia di cinque anni. Mi piace Irene, che non rinuncia ad essere figa per vivere di motori e viceversa. Non rinuncia proprio a niente. Non ha mai vinto un mondiale, non ci ha nemmeno mai corso, però ha passione e Drive Me Crazy racconta di una donna che va oltre il limite. E mia figlia è entusiasta della svolta inaspettata del suo pomeriggio, il ventiquattresimo passato in quarantena.
La prima puntata è con Dorothea Wierer, campionessa di Biathlon. C’è Adelio Lorenzin che fa da preparatore ad Irene e Tony Cairoli che le spiega il kart-cross, una sorta di buggy da competizione con il motore di una moto. Un buggy che urla come un dannato in mezzo alla polvere. Lo vediamo su Dplay, il servizio di streaming di Discovery Italia che, tra gli altri, gestisce anche MotorTrend, canale 59 del digitale terrestre.
Le immagini sono eccezionali, seguono lo standard altissimo a cui ci ha abituati Red Bull che ha interamente prodotto anche la seconda serie. Vedi la velocità, la terra, la meccanica che lavora senza sosta. Sei praticamente in pista, dentro la macchina. La polvere che si alza, il motore che gira in alto, la leva del cambio sequenziale che è come quella delle auto da gara. O almeno questo è quello che vedo io.
Mia figlia vede una donna che non tiene l’ombrello per sorridere in camera ma una che prova ad andare forte per il gusto di farlo, per una scarica di adrenalina. Ad un certo punto, mentre Irene e Dorothea potrebbero spruzzarsi una bomboletta d’argento in faccia e lanciarsi nel Valhalla come i figli di guerra in Mad Max, mi chiede se sia vero o disegnato. C’è un gran polverone, le immagini sono surreali, le ragazze vanno fortissimo.
-Ma certo che è vero.
-Babbo, voglio andare anche io con la macchina velocissimo.
Drive Me Crazy non è un programma femminista che vuole convincerti che uomini e donne sono uguali in tutto, non cerca di aggrovigliarsi in campagne di genere - ormai spesso prive credibilità - per alzare lo share. È diverso. Se ci fosse un uomo con la stessa presenza televisiva di Irene probabilmente funzionerebbe comunque.
Perché quando guida non fa qualcosa che non le compete, qualcosa di troppo lontano dalla cucina per essere credibile. È folle normalità, ed è ben raccontata. C’è Dorothea che spara con un fucile, ma non lo fa per abbattere gli stereotipi. Lo fa perché ha vinto tre mondiali e due bronzi alle olimpiadi.
L’unica perplessità di una bambina di cinque anni è che si possano fare gare sullo sterrato. E, per abbattere questa barriera culturale, non c’è altra soluzione che vedere il resto della serie.
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