Che Italians do it better lo smagliettava già quella Veronica Ciccone di Madonna nel 1987 mentre seduceva il globo occhieggiando dal video di Papa don’t preach. Ora, anno del Signore 2021, a ribadirlo ci sono i Maneskin, reduci da un’incredibile ospitata USA al Tonight Show di Jimmy Fallon. Se non fosse l’anno in cui l’Italia avrebbe vinto pure i Mondiali di accarezzamento materassi Eminflex (se solo esistessero), ci sarebbe davvero da esclamare: Mammamia! Non possono sussistere più “ma” né “però”: questi quattro ragazzetti romani de Roma su cui nessun avrebbe scommesso un centesimo del Monopoli quando annunciarono la partecipazione al Festival di Sanremo con uno spavaldo: “Andiamo a fare la storia”, hanno vinto tutto, vivono da re pur avendo vent’anni e grazie a loro oggi l'intero globo terracqueo ci immagina ancora a sfornare pizze h 24, sì, ma cosparsi di glitter e con un’abbondante colata di eyeliner sulle nostre sexyssime (e fluide) palpebre italiane. Dove sta il problema, dunque? Probabilmente, ci arrendiamo, non c’è. Anche se...
A meno che non vi chiamiate Lorenzo Licitra, il vincitore di X Factor l’anno in cui i Maneskin arrivarono secondi (per l’unica volta nelle loro giovani vite), non potete avere nulla da obiettare sul successo mondiale della band che, numeri alla mano, fa paura più di Mario Giordano in prossimità di Halloween. Entrando nel merito musicale, di sicuro si è sentito di meglio ma lo snobismo verso tutto ciò che è mainstream oramai ha lo stesso effetto della musica balcanica, quello ben decantato dagli Elii nella storica (non proprio) hit Complesso del primo maggio. Ciò non significa, chiaramente, che le canzoni della band romana abbiano qualsivoglia valenza artistica, per non dire “rock”. E non siamo solo noi a dirlo, perfino Manuel Agnelli, loro coach ai tempi del talent con la X, ha recentemente rilasciato delle dichiarazioni che suonano un po’ come un prudente tentativo di pararsi le alternative terga.
Per essere uno, googlate pure, che non si è mai fatto problemi ad argomentare come mai gli facciano schifo i Queen, tanto quanto quando e perché David Bowie abbia fatto robe bruttarelle in carriera (per non parlare dei Beatles!), sui Maneskin il frontman degli Afterhours che ha l’onore (e l’onere) di averli scoperti, non “ci scatarra su”: pur ammettendo che “non sono rock”, prosegue paragonandoli agli Aerosmith (noto complesso romagnolo di liscio) e aggiunge: “Non ha senso un’analisi musicale dei Maneskin”. Perché improvvisamente siamo così laconici, Manuel?
Ai più malevoli, come chi scrive, verrebbe da pensare che il giudice di X Factor, non esattamente un fervente sostenitore del mainstream, si sia auto-censurato per evitare di focalizzarsi sul punto vero della questione: i Maneskin sono un prodotto che funziona (e funziona alla grande) ma con la musica hanno a che fare tanto quanto Achille Lauro con le salviettine struccanti. A proposito, chissà quanto starà rosicando lui, Lauro, a vedere questi ragazzetti vestiti tali e precisi a come andava abbigliato fino a poco tempo fa - ovvero prima di auto-considerarsi quadro/opera d’arte mobile/Marina Abramović de Roma -, riscuotere tutto il successo planetario che avrebbe potuto essere suo mentre la Rolls Royce che tanto decantava l’ha portato dritto dritto a diventare personaggio da reality (e, per carità, produttore musicale e televisivo ma è chiaro che ci sia più hype - comunque stanco - verso il nuovo post Instagram di Achille Lauro in gonnella rispetto all’uscita di qualsivoglia inedito di suo artistico conio).
Di Britney Spears, ai tempi di I’m a slave for you, si scriveva che se una bambola gonfiabile avesse potuto cantare, avrebbe avuto esattamente la sua voce. Questo non le ha impedito a Britney Spears di diventare una star intergalattica (nonostante il suo triste destino tra conservatorship e scazzi famigliari/legali). Dei Maneskin si può dire, come letto su Twitter, che tutti e quattro (a voler esser cattivi: tranne uno) sembrino semoventi sculture del Bernini, che siano irrimediabilmente sexy e che il quartetto sia composto individui nati per mangiarsi il palcoscenico: è impossibile non guardarli. Possibilissimo, invece, non ascoltarli. Perché, e siamo qui a scoprire l’acqua calda (anzi “hot”), non tutto ciò che ha successo (anzi, quasi mai) ha pure una valenza artistica. Di più, non tutto ciò che ha successo è necessariamente "bello". Per esempio, in questo caso, è solo che gli Italians lo fanno better l’Aserejé, pardon, il Beggin’.