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I migliori album del 2020
(per adesso)

  • di Luca Somaschini Luca Somaschini

17 aprile 2020

I migliori album del 2020 (per adesso)
Ecco quali sono gli artisti e le band che, fra conferme e sorprese, hanno pubblicato i lavori che meritano più attenzione in questi primi mesi del 2020

di Luca Somaschini Luca Somaschini

Come tutti gli appassionati di musica, anche noi di MOW amiamo le classifiche, ritrovare i classici e scoprire nuovi artisti, sia quando mettono d’accordo tutti, sia quando fanno discutere fino a notte fonda. Ecco quali sono gli artisti e le band che, dal rock al pop, dall’indie al grunge all’elettronica, fra conferme e sorpese, hanno pubblicato i lavori più interessanti in questi primi mesi del 2020.

Catfish and the bottlemen

Catfish ad the Bottlemen (The Balance, 2019)

Album del 2019 ma tour che ha toccato l’italia a febbraio per questa band gallese, in uno degli ultimi concerti prima della quarantena. In soli 3 album hanno macinato singoli e numerosi sold-out dal vivo, momento in cui mostrano al meglio il loro sound impeccabile: rock britannico con richiami a Johnny Marr e ai Mistery Jets . Testi diretti che inneggiano ai problemi sentimentali e ai conflitti interiori, motivo per cui sono amatissimi dai ventenni. Ma non solo: sono in grande crescita, teneteli d’occhio.

Pearl jam

Pearl Jam (Gigaton, 2020)

Ennesimo album per una delle band simbolo della musica grunge di Seattle sin dal 1990, il cui leader Eddie Vedder ha mostrato tutta la sua versatilità anche in vari progetti solisti (fra cui la colonna sonora del film “Into the Wild”, con cui ha vinto un Golden Globe nel 2008). Il nuovo album è potente e dai suoni brillanti, decisamente meglio del precedente Lighting Bolt, alternando al classico suono dei Pearl Jam ad alcuni spunti nuovi, oltre alle bellisime ballad (Rivercross e Comes then Goes) in cui un ispirato Vedder dà il meglio di sè.

Nada Surf

Nada Surf (Never Not Together, 2020)

Indie americano dalle canzoni dolcemente malinconiche, perfette per i lunghi viaggi e come colonna sonora delle serie TV in stile The O.C.. Divenuti famosi alla fine degli anni novanta con “Popular”, brano che inneggiava proprio sostanza in contrapposizione alla fatua sete di fama, sono sempre rimasti fedeli a loro stessi e al loro sound. Non fa eccezione quest’album: nove canzoni ben scritte che avvolgono durante l’ascolto, che parlano di rapporti umani e dell’importanza (oggi più che mai) del rimanere connessi.

Bombay Bicycle Club

Bombay Bicycle Club (Everything Else Has Gone Wrong, 2020)

L’album della band britannica indie-pop arriva dopo sei anni da “So Long, See You Tomorrow” che gli era valso una nomination al Mercury Music Prize, e dopo il quale la band sembrava prossima all’addio. Il sound è sperimentale, come da sempre ci hanno abituato nel loro percorso, ma anche soffuso e dolcemente malinconico, mixando sapientemente pop ed elettronica, synth e sax, violini e trombe. Da ascoltare per trovare conforto nella musica nei momenti di bisogno, come ha dichiararo lo stesso leader Jack Steadman, autore di testi mai banali.

The Strokes

The Strokes (The New Abnormal, 2020)

Julian Casablancas e soci, dal 2013, fra scaramucce e litigi, annunci e smentite, avevano gettatto in un’infinita attesa i fan che erano ormai prossimi allo sconforto. La band indie/rock di NY, famosa per i riff di chitarra minimal e le melodie vocali del loro frontman che ti si stampano in testa, sforna un album maturo, dai toni più soffusi rispetto al passato ma dal sound sempre riconoscibilissimo e anzi più credibile dei due precedenti episodi. Spiccano alcuni brani fra cui Brooklyn Bridge To Chorus e Bad Decisions, con la citazione di Billy Idol e della sua Dancing with Myself. Gran disco, da ascoltare tutto d’un fiato.

The 1975

The 1975 (Notes on a Conditional Form, 2020)

Il quarto LP della band di Manchester è atteso a fine maggio ma è stato anticipato da vari singoli. Secondo quanto dichiarato dallo stesso frontman Matthew Healy alla BBC “è un ricordo della cultura del mondo britannico notturno, dei club, del sound alla MJ Cole o The Streets, della bellezza della M25 e delle sue luci notturne, andando da McDonald’s ascoltando garage music, guidando nella nebbia in una vecchia Peugeot 206”. Fra le loro influenze Talking Heads, My Bloody Valentine e Michael Jackson. È il secondo di un ciclo di due album che la band ha denominato “Music for Cars”, il primo dei quali - intitolato “A Brief Inquiry Into Online Relationships” - ha ottenuto il punteggio di 8,5 sulla prestigiosa rivista musicale Pitchfork, con il Time che l’ha inserito nei dieci migliori dischi del 2018. C’è quindi molta attesa per questo lavoro che si apre con un monologo dell’attivista Greta Thunberg, e prosegue - a sorpresa - con People, singolo quasi grunge/metal, che spiazzerà i vecchi fan: il testo è un mix delle paure dei millennials, fra senso di inutilità, mancanza di soldi e distanziamento sociale. Il suono dei nuovi singoli si fa qundi più fresco e imprevedibile, fra synth pop, lo-fi, R&B e qualche richiamo shoegaze, fino a ricordare persino Bon Iver in “Jesus Christ 2005 God Bless America”, in cui Matthew Healy duetta con la cantante indie-rock Phoebe Bridgers. Band sempre in evoluzione e album interessantissimo.

Ozzy Osbourne

Ozzy Osbourne (Ordinary Man, 2020)

Il padrino dell’heavy metal, come è stato anche chiamato, non ha bisogno di presentazioni con oltre 100 milioni di dischi venduti dai tempi dei Black Sabbath. Ma le recenti vicissitudini e i grossi problemi di salute avevano fatto temere un suo addio. E invece no: Ozzy se ne esce nel pieno dei suoi 71 anni con un disco che segna un possibile cambio di stile, ricco di contaminazioni e collaborazioni con Slash, Elton John, Zakk Wylde e soprattutto Post Malone. Dai classici come Straight to Hell e Goodbye che richiamano il passato di stampo Black Sabbath ma anche qualcosa di vagamente grunge, fino all’auto-tune nei brani con Post Malone che potrebbero essere un assaggio di qualcosa che vedremo in futuro. E come canta lui stesso, nel duetto con Sir Elton dal sapore anni ‘90, “the truth is I don't wanna die an ordinary man”: la verità è che Ozzy non vuole morire come un uomo normale. E non c’è assolutamente il rischio che succeda, aggiungiamo noi.

Gigante

Gigante (Buonanotte, 2020)

Due anni fa, con l’album d’esordio “Hymalaya” dai suoni un po’ folk e un po’ elettronici, Gigante aveva convinto tutti e si era guadagnato l’attenzione della critica. Il cantautore italiano, appena entrato a far parte della Carosello Records - che ha pubblicato negli anni Gaber, Modugno, Vasco Rossi, e più di recente Bugo, Thegiornalisti, e Coez - sforna un secondo disco altrettanto valido, anche se piuttosto diverso dal precedente: intimista, casalingo e onirico, quasi cupo, amaro e notturno nelle sue ambientazioni. Suoni e arrangiamenti di alto livello, in cui è presente ancora l’ukulele ma diventa più marcato l’uso della chitarra elettirca e dominano i synth anni ‘80, ma in modo molto differente dalle mode attual del pop italiano: qui i riferimenti sono piuttosto a Battiato, Camerini e Battisti, ma anche qualcosa che ricorda Arctic Monkeys e New Order. Può essere una scoperta per chi non lo conosce.

Voina

Voina (Ipergigante, 2020)

I Voina, band di Lanciano, “la tundra della provincia abruzzese”, come dicono di loro stessi, sunonano un misto di rock - dallo stampo vagamente grunge -, pop elettronico, indie reock, emo, rap e persino trap. Ipergigante, il loro terzo album, parla di astrologia, di stelle, ma nei testi è molto marcata la storia della dura vita di provincia, di quel tipo di provincia abruzzese, della sua quotidianità noiosa, del bar sotto casa, del posto da cui si vorrebbe scappare (“Meglio le vertigini che le abitudini“) ma a cui poi si torna sempre, come se ci fosse una gravità, una forza di attrazione che ci riporta lì. Parla della sensazione di essere prigionieri in questo mondo e allo stesso tempo della voglia di alzare lo sguardo verso il cielo e guardare l’infinito. Disco vivo, dinamico, in cui generi diversi si fondono in maniera naturale. Un’ìspirazione che funziona molto bene.

Achille Lauro

Achille Lauro (1990, 2020)

Dopo il successo di “Me ne frego”, portato al Festival di Sanremo ed ennesimo disco d’oro, uno degli artisti più controversi e poliedrici nel panorama italiano attuale, passato dal rap alla trap al pop/rock, presenta un nuovo singolo che anticipa l’album 1990, come il suo anno di nascita e il sound di quegli anni, confermandosi artista a tutto tondo. Una ballad che ricorda da vicino quelle storiche di Vasco Rossi e la sua ultima direzione musicale: malinconia e rimpianto ma anche una (nuova) rinascita e una presa di consapevolezza (“Te ne vai come ci fosse un altro, come se ti stesse già aspettando, come se esistesse qualcun altro uguale a me”) nel “mese dei nuovi amori”, come ha dichiarato lui stesso sui social. Se cinque indizi fanno più che una prova, il disco in arrivo è già un successo annunciato.

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