Ho studiato Storia Moderna all’Università di Bologna. Confesso che è stato forse un errore di gioventù, perché venendo dal classico mi ero fidato di chi diceva che per entrare nel mondo del giornalismo (io ero un outsider, per di più un outsider di provincia, anche di una provincia non considerata neanche quando c’era da parlare di provincia, le Marche) avrei dovuto fare quel tipo di studi, seri, rigorosi, formativi. Nei fatti mi sono trovato a scrivere una tesi sul rap e il rapporto tra l’hip-hop e il movimento afroamericano, andando clamorosamente fuoritema, la Storia Moderna, checché il nome lasci intendere non arriva fino a noi, quella è la Storia Contemporanea, finendo poi per tutt’altri motivi a fare qualcosa che era limitrofo al giornalismo.
Ho comunque passato degli anni a simpatizzare con la Storia Moderna, scoprendo quel che in effetti è stata una scoperta, e cioè che il Medioevo, spesso usato, oggi forse più che allora, come simbolo di oscurantismo e regressione dell’uomo quasi a uno stadio animale, non era esattamente tutto così.
Non è questa la sede per affrontare la cosa, è evidente, ma vi invito a approfondire, scoprirete un’epoca sicuramente durissima, a tratti anche violenta, quasi disumana, ma se pensate che sia il Medioevo il periodo dell’umanità più oscurantista e bigotto, beh, temo siete un pochino fuoristrada.
Perché sono partito da fatti miei personali, l’aver frequentato un’università che in effetti tradiva in partenza le promesse che non mi aveva mai fatto in prima persona, per parlare dei Malacarna? Semplice, perché tendenzialmente io scrivo così, e perché i Malacarna affrontano, in maniera assolutamente credibile e incredibile al tempo stesso, un tema che quasi sempre viene ricondotto proprio a quell’epoca, la stregoneria, la figura della donna, o quantomeno di un certo tipo di donna non allineato, come essere malvagio e quindi meritevole di punizioni indicibili, i roghi, le torture, la morte.
Iniziamo dalle basi, chi sono i Malacarna?
Sono un progetto che fossi io uno di quelli che si avvale del lessico appropriato dei critici musicali definirei il side-project di Vince Pastano, chitarrista e produttore di Vasco Rossi, colui, cioè, che non solo ha preso l’eredità di Guido Elmi, ma che si fa carico, sul palco, di guidare la all star band del rocker di Zocca, ci scommetto quel che volete che è stato lui a suggerire al Blasco di inserire nell’ensemble quel portento, altrettanto oscuro, di Beatrice Antolini, in questa occasione in compagnia del cantante Tony Farina e di Dorothy Bhawl. Un progetto musicale che prende le mosse da due luoghi ben precisi, da una parte il noise, musica alla quale da sempre Pastano guarda con passione (chi ha assistito agli ultimi tour di Vasco avrà apprezzato non solo certe sonorità decisamente orientate da quella parte, ma anche le intro alle varie parti dello show, dall’iniziale alla ripresa, decisamente sperimentali e lontane dagli stilemi del pop), dall’altra un immaginario a tratti orrorifico, nei fatti assolutamente a fuoco e perfettamente aderente alle scelte musicali di Dorothy Bhawl, artista bresciano classe 1985, capace come pochi di accompagnare con immagini dai forti richiami esoterici, appunto, immaginifiche.
Nei fatti l’Ep dei Malacarna, questo il nome di questo progetto, è una commistione di storie legate alla caccia alle streghe, cantate in un suggestivo e sinistro dialetto lucano, su brani che spaziano da un folk-blues di matrice decisamente tribale e selvaggio all’industrial più spinto, con su tutti due numi tutelari, i Nine Inch Nails di Trent Reznor, che credo siano tra gli idoli indiscussi di Pastano, e i Black Sabbath. Ne esce un lavoro davvero eccellente, stratificato, che gioca tra tradizione, la malacarna cui fa riferimento il nome è appunto la strega, la donna che fa paura, la puttana, Rob Zombie, uno che fa una musica non troppo distante dai Malacarna, a questo ha dedicato il film Le Streghe di Salem, per dire, tradizione, dicevo, e contemporaneità, i suoni sono assolutamente aderenti all’oggi, come lo sono le immagini create ad hoc da Bhawl, post-industriale come pochi. Un mondo oscuro, il loro, cupo, dove il sacro e il profano, penso al brano “Oh Signore”, con un prezioso feat di Raiz degli Almamegretta, si incontrano e scontrano, esattamente come avviene allo sguardo gettato sul passato e il presente, una canzone, questa, che è una bestemmia mascherata da preghiera, niente è mai come sembra.
Un modo, forse, e togliete pure questo forse, per dimostrare che nulla è cambiato nei secoli, da quando cioè si tendeva a escludere quel che non si capiva, a eliminarlo, a oggi, pensate che in pieno Medioevo è nata e ha lasciato un segno indelebile una donna come Ildegarda Von Biden, per tornare all’incipit di questo mio scritto.
Pensate a un cortometraggio notturno e malato di David Lynch, e pensate che abbia per protagonista Marilyn Manson, quello di oggi, bandito dallo show biz, e pensate che a farne la colonna sonora sia Trent Reznor, magari in compagnia di Atticus Ross, a cantare il Reverendo Manson, oggi impresentabile stando agli attuali protocolli, il tutto uscito dalla penna, nel senso di plettro, di Vince Pastano, per certi versi quanto di più mainstream al momento, produttore e chitarrista di Vasco Rossi, a fianco anche di Luca Carboni, una sorta di sogno lucido jodorowskiano che si insinua sottopelle, aprendo varchi di angoscia, certo, ma al tempo stesso impedendoci in tutti i modi di staccare occhi e orecchi. Come si dice in questi casi, credo, un disco che mi ha letteralmente stregato.