Pensavo fosse un calesse, e invece era proprio amore (scritto, diretto e interpretato con una cura sorprendente). Non avevamo grandissime aspettative su Lasciarsi un giorno a Roma, il nuovo film di Edoardo Leo, disponibile su Sky Cinema (e Now Tv) dal primo gennaio. Anzi, abbiamo pigiato play proprio con la convinzione di ritrovarci davanti alla solita, sgangherata commedia romantica italiana da sbertucciare, una di quelle sciagure falcidiate da amorazzi, corna e, in un raptus di brio, magari pure suocere invadenti alla bisogna. Invece, siamo stati piacevolmente accoltellati da un film che, nonostante un buon numero di dialoghi brillanti, non è una comedy come allo stesso tempo non può essere definito di genere drammatico. Somiglia più a un’indagine su sentimenti e relazioni, condotta con chirurgica eleganza attraverso le storie di due coppie che stanno per dirsi addio (oppure no?). Come un pugile che indossa guanti di velluto prima di assestare il diretto alla mascella che vi metterà ko, questo film è doloroso ma vi ha beccati, vince lui, giusto così. Lasciarsi un giorno a Roma ha poi il merito di ricordarci una grande verità: che stiano insieme da due ore, un decennio o pure il doppio, tutte le coppie si odiano. Cinico ma a suo modo confortante, l’improponibile ossimoro che comporta la pretesa di stare insieme per sempre si rende evidente scena dopo scena in tutta la sua brutale concretezza, nonché mirabile saggezza. Perché in fin dei conti siamo tutti degli stronzi egoriferiti e l’amore è la favoletta che ci raccontiamo per sentirci un filo migliori. E se ancora credete che non sia così, è arrivato il momento di disdire l’abbonamento a Disney Plus.
Ma veniamo subito alla trama di Lasciarsi un giorno a Roma: Zoe (Marta Nieto) è una spavalda trentacinquenne di origini spagnole che vive per la propria carriera (di grande successo) nell’industria dei videgiochi. Bellissima e vincente ha un’unica infinitesimale pecca: non sarebbe capace di rilevare un’emozione nemmeno se questa le suonasse l’Inno alla gioia con la vuvuzela di fronte al suo regal nasino. Praticamente, un cyborg, una replicante à la Westworld che sta da diversi anni con Tommaso (Edoardo Leo), scrittore di romanzi d’amore in mezza crisi editoriale che un bel dì decide di arrotondare curando, sotto lo pseudonimo di Gabriel Garcia Márquez (modesto, il ragazzo) la posta del cuore di una rivisticula. Non può certo immaginarsi che sarà proprio Zoe a rivolgersi alla sua rubrica perché decisa (forse) a mollare il suo compagno che, a quanto pare da sempre, non sopporta. Tommaso si ritrova, messaggio dopo messaggio, a ritrovarsi schiaffati in faccia tutti quei ferali difetti che lei non gli ha mai confessato di trovare in lui: ne esce il desolante quadro di una palla al piede a cui la sua esasperata compagna non vede l’ora di dire adieu. Tutto questo mentre sindaca di Roma Elena Veneziani (Claudia Gerini) porta avanti uno stanchissimo matrimonio con Umberto (Stefano Fresi). A unirli, vent’anni di relazione, della prole e un odio atavico vincendevolissimo che ormai li sta portando a una distanza siderale, tipo Abbiategrasso - Honolulu.
Da qui, il bivio: tentare di ritrovarsi o lasciarsi scomparire iniziando una vita totalmente nuova in beata solitaria? Le due coppie percorreranno ogni strada possibile, in un dedalo alla Snake Nokia 3310. Impossibile non rivedersi in almeno uno di questi tentativi perché di storie scoppiate ne abbiamo tutti in cv e il momento dell’addio, soprattutto la via crucis che porta a quella inevitabile data di scadenza è spesso una tortura che farebbe lacrimare pure Freddy Kruger come un alpaca sacrificale. È complicatissimo parlare d’amore senza ritrovarsi a essere stucchevoli quanto una tappetata di fragole dei Modà, oppure banalotti, troppo superficiali o, all’opposto, più pesanti della storica Wrecking Ball di Miley Cyrus in direzione ovarico-testicolare. Eppure, Lasciarsi un giorno a Roma, grazie a dialoghi particolarmente ispirati e situazioni paradossalmente realistiche, riesce a mantenersi in equilibrio quasi perfetto: non cade nella retorica della lagna, nè nel baratro del sentimentalismo a tutti i costi e va incontro al proprio inevitabile calcio in faccia, come da primo verso dell’omonima canzone capolavoro di Niccolò Fabi, con serena - ma variabile - ineluttabilità. Una scossa di terremoto, un bacio, due ceffoni, il tempo perso, la meravigliosa e bizzarra instabilità che rende ogni ultimo incontro pirotecnicamente impossibile da maneggiare con cautela. L’amore, del resto, non è cosa da quieto vivere.
“Si vivesse solo di inizi, di eccitazioni da prima volta” intonava sempre Fabi, in un’altra delle sue perle in musica: Costruire. E come dargli torto? Con il film Lasciarsi un giorno a Roma, per esempio, che vi farà appassionare a quella schizofrenica follia d’amore, dispetti, recriminazioni e ritardatarie confessioni che sono gli urticanti ma irresistibili jalepeños della fase più assurda, stressante e irrinunciabile di ogni relazione: il finale. Quando volano i piatti un secondo dopo l’essersi scambiati dolci bisbigli d’imperitura stima reciproca, dove i cliché diventano così retorici da provacare sconquassi in grado di far bestemmiare l’intero calendario Maya in faccia a chi, fino a poco tempo prima, si considerava una sacra istituzione personale. E dopo tutto questo, ritrovarsi, bloccarsi su Whatsapp, andare a cena insieme, accoppiarsi con qualcuno che resterà eternamente ignoto milite sacrificale. Dirsi “Ti amo”, voltarsi le spalle sotto la pioggia. Distrutti, o meglio, trasformati in una nuova e per il momento ancora imprevedibile tipologia di stronzi, come e più di prima. Ma, stavolta, a piede libero. L’invito di Lasciarsi un giorno a Roma, nascosto dietro a un beffardo sorriso diventa chiaro a un passo dai titoli di coda: Innamoratevi della fine, è da lì che ha inizio tutto.